Pi greco - Il teorema del delirio PDF 
Fabio Fulfaro   

Io non credo in un Dio personale e non l'ho mai negato, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare.
Albert Einstein

Pi greco è il debutto cinematografico di Darren Aronofsky ed è un film totalmente diverso dalla sua ultima opera premiata al Festival di Venezia, The Wrestler. A budget ridottissimo (60.000 dollari in tutto), sperimentale, claustrofobico, poco attento alla coerenza narrativa ma maniacale nel riprodurre una ambientazione angosciante, a tratti cronenberghiano – nella lacerazione della carne, nei liquidi organici che invadono i microchip di Euclide, computer sull'orlo di una crisi di nervi –, a tratti lynchiano – nella descrizione sincopata delle fughe psicogene, nel bianco e nero alla Eraserhead –, con molti debiti al cinema di Tsukamoto (Tetsuo), ai superuomini nietzchiani che possono salvare il mondo solo immolandosi (Matrix) e al Barton Fink paranoico dei fratelli Coen.

Max Cohen (Sean Gullette, coautore della sceneggiatura, una faccia che è un incrocio tra John Turturro e il compianto John Cazale) è un geniale scienziato ebreo che passa gran parte del tempo a scoprire quali leggi matematiche posso regolare gli andamenti della Borsa di Wall Street. Il suo desiderio di penetrare i segreti del cosmo risale all'infanzia, quando guardò la luce solare per tanto tempo rischiando di rimanere cieco. La sua filosofia può essere riassunta in tre punti. "Uno: la natura parla attraverso la matematica; due: tutto ciò che ci circonda si può rappresentare e comprendere attraverso i numeri; tre: tracciando  il grafico di qualunque sistema numerico ne consegue ovunque uno schema. In natura esistono degli schemi. Ecco le prove: la ciclicità delle epidemie e delle macchie solari, le piene e le secche del Nilo…". Più approfondisce le sue conoscenze e i suoi calcoli matematici, più Max sembra allontanarsi progressivamente dal mondo, dal quale si difende barricandosi a tripla mandata in casa. La vicina di colore che lo corteggia, la padrona di casa che lo detesta, la bambina che lo sfida in complicati calcoli a mente, il suo maestro di matematica che lo avverte che la strada della follia è lastricata da tante buone intenzioni, tutte queste figure vanno via via perdendo di importanza e spessore di fronte alla sua unica vera ossessione: entrare in contatto con la mente di Dio. Concentrandosi su diagrammi e sequenze, Max finisce per guardare il mondo circostante dal buco della serratura, raggiunto a volte dai rumori della vita (i vicini che fanno l'amore) e importunato da ebrei ortodossi e operatori finanziari che vogliono carpirgli il segreto dell'andamento delle azioni in Borsa. Il fondamentalismo religioso e il materialismo capitalistico sono in perenne conflitto con l'autonomia intellettuale dello scienziato che tende a spostare il limite della conoscenza per poter penetrare i tantissimi misteri della natura.

Non per un Dio di cartone, né per denaro: la spinta che porta Max a guardare dritto dentro la luce senza paura di rimanerne accecato è quella che ha spinto Icaro con le ali di cera verso il calore del sole e che ha mosso l'Ulisse dantesco per seguir virtute e canoscenza. Il problema di Max è che la sua ipertrofica sensibilità e la sua mentalità scientifica lo portano ad esporsi al virus pericoloso della follia. Come quasi tutti gli antieroi ossessivo-compulsivi di Aronofsky, il ricorso alle droghe e agli psicofarmaci è una specie di compromesso tra il progressivo allontanamento della realtà e la necessità di sopravvivere a se stessi, alla propria diversità. Con il proliferare di ipotesi e postulati, di tesi e dimostrazioni per assurdo, il fisico di Max viene gravemente minato: gli attacchi di cefalea sono sempre più violenti e aggravati dalla perdita di sangue dal naso. Come ne L'uomo senza sonno di Anderson, l'isolamento comporta il verificarsi di allucinazioni visive: formiche che si moltiplicano, il proprio cervello riverso nel lavandino, uomini dalle mani insanguinate, in un cocktail in cui non discerni più tra realtà e fantasia. Certo gli appassionati di matematica storceranno un po' la bocca di fronte alla disinvoltura con la quale il regista newyorkese mescola Fibonacci e Qabbhala (con particolare riferimento alla numerologia e al significato trascendente dei numeri), Go (gioco cinese simile agli scacchi ma con una complessita maggiore) e Wall Street, sezione aurea e teoremi pitagorici, geometria euclidea e principi di meccanica dei fluidi, spirali e numeri (216) dietro i quali si nasconde il nome del Dio ebraico. Ma se tralasciamo le verosimiglianze e certi personaggi improbabili, rimane la grande abilità nella messa in scena di Aronofsky, che lavora moltissimo con il montaggio di un video clip al ritmo hip hop, con la fotografia sgranata e in bianco e nero espressionistico, con i contrasti tra la luce divina e le ombre umane, con la macchina a mano spesso scossa da convulsioni di vertiginose soggettive, o ruotando in maniera peripatetica, con il suono scioccante (quello delle tre sicure alla porta di casa), con la musica allucinata dei Massive Attack (Angel) e di Clint Mansell (che compare in un piccolo cameo, è il fotografo che ruba una immagine al protagonista). L'effetto ipercinetico soggettivo viene  ottenuto con l'utilizzo della snorri-cam, una macchina da presa legata al corpo dell'attore che lo congela al centro dell'inquadratura. La percezione non è quella normale dell'attore che si muove nello spazio, ma dello spazio che si muove attorno a lui. Questo espediente verrà utilizzato anche nella seconda opera di Aronofsky, Requiem for a Dream.

Il tentativo di stabilire una relazione tra gli andamenti dei mercati finanziari e leggi matematiche e fisiche è abbastanza antico. Persino Ettore Majorana, scienziato siciliano scomparso misteriosamente nel 1938, si era occupato di politica economica ed equazioni matematiche. Di recente qualche altro scienziato ha parlato di teoria dei frattali e flussi di mercato, ma è l'ennesimo tentativo andato a vuoto di cercare di ottenere la quadratura del cerchio, e pi greco è un numero stranissimo, ottenuto dal rapporto tra la circonferenza e il suo diametro. Il film tende proprio a sottolineare questa impossibilità a raggiungere la verità:  per quanto lo scienziato si trovi a "sette passi da Dio", questa vicinanza senza piena conoscenza è comunque fonte di pazzia e disillusione. Gli incontri di Max con il suo mentore Sol dimostrano in maniera lampante due diverse posizioni della scienza di fronte alla realtà del mondo visibile, una specie di coincidentia oppositorum: da un lato lo scienziato che prova a rifiutare il caos per trovare una legge che riporti l'ordine e l'equilibrio dentro le cose, dall'altra la serena accetazione che la matematica non può governare il caos, e che bisogna non solo calcolare la vita, ma anche viverla. La storia di Archimede è emblematica: richiesto al grande scienziato siracusano un metodo per riconoscere l'oro vero da quello finto, rimase per molte settimane ad arrovellarsi, finchè la moglie esasperata dalla sua ossessione lo esortò ad un bagno caldo ristoratore. Nel momento dell'immersione nella vasca il geniale matematico si accorse che il livello dell'acqua saliva e trovò una legge che gli consentiva di calcolare il peso e il volume di un corpo immerso in un liquido. Eureka, dalla contemplazione del caos nasceva una delle fondamentali leggi della fisica.

Si gioca molto su questo contrasto tra bianco e nero, sulla luce accecante e sui black out emicranici, sullo scuro del sangue in contrasto con il pallore spettrale del volto di Max, sulle pedine bianche e nere sulla scacchiera goban che mimano il caos nato dal Nulla, sulle formiche che invadono i transistors, sugli ingrandimenti al microscopio che sembrano mettere in evidenza solo forme a spirali, come le trombe d'aria, come la via lattea, come una conchiglia. C'è una scena che riassume globalmente tutte queste linee di contrasto: Max al mare, sulla spiaggia mentre ammira i riflessi della luce sull'acqua; improvvisamente compare una figura strana, in mantello nero, con una specie di metal detector alla ricerca di materiale prezioso. Max si avvicina al bagnasciuga e raccoglie una conchiglia, osservandone forme e lineamenti e riconoscendone la perfezione nelle forme geometriche.

Ancora c'è spazio per ammirare una conchiglia, una foglia. La lezione del maestro è che bisogna avere fede nel caos e lasciare l'immaginazione libera di viaggiare, senza costrizioni numeriche e geometriche. Come diceva Nietzsche, bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella che danzi. A differenza del successivo Requiem for a Dream, qui Aronofsky riesce a fermarsi in tempo, evitando la tragedia elisabettiana e il furore estetico di voler mostrare l'indicibile, l'ineffabile. Pi greco rappresenta, proprio per questo sapiente equilibrio, una delle più interessanti opere prime che si siano viste negli ultimi dieci anni. La parte finale del film è risolta da Aronofsky nell'unico modo possibile: come il computer Euclide va in tilt nel momento di dover accogliere una serie complessa di dati, così la mente di Max non può accogliere il concetto di infinito spaziale e temporale, il pensiero stesso di Dio. Max non è Neo, non è il prescelto, non è il superuomo nietzschiano. Deve forare il suo cranio e lasciar uscire tutto il materiale sensibile e intellegibile che vi ha compresso. Deve decomprimere il suo encefalo, farlo ritornare alla sua dimensione originale, lasciando gran parte dei misteri irrisolti. E riscoprire la gioia di guardare la vita con il filtro dell'imperfezione umana, come la luce del sole filtrata dalle foglie, con accanto l'ingenuità e la purezza di una bambina che fa domande alle quali non vogliamo e non sappiamo rispondere.

TITOLO ORIGINALE: Pi; REGIA: Darren Aronofsky; SCENEGGIATURA: Darren Aronofsky; FOTOGRAFIA: Matthew Libatique; MONTAGGIO: Oren Sarch; MUSICA: Clint Mansell, Robert del Naja, Aphex Twin, Horace Hinds, Mushroom Vowles; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1998; DURATA: 84 min.

 


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