Tropical malady PDF 
di Matteo Nicola Bottino   

Tropical malady, opera seconda del regista thailandese Apichatpong Weerasethakul, è un oggetto filmico molto particolare, affascinante, misterioso, innovativo, talmente sofisticato da risultare spiazzante e, a tratti, irritante. Il film, proprio per le caratteristiche che lo rendono non convenzionale e difficilmente classificabile, ha diviso pubblico e critica. Emblematico, a tal proposito, quanto avvenuto lo scorso anno al Festival di Cannes, dove è stato duramente accolto dalla critica, ma ha conquistato i favori della Giuria, in particolare del suo presidente Quentin Tarantino, che gli ha attribuito il Premio Speciale. La medesima situazione si è riproposta quest'anno al Festival Internazionale di Film con Tematiche Omosessuali di Torino, dove Tropical malady ha vinto il Gran Premio "Ottavio Mai" e il Premio Speciale della Giuria, lasciando tuttavia perplessa una parte degli addetti ai lavori.

Il film, co-prodotto per l'Italia dalla Downtown di Marco Müller, direttore della Mostra del Cinema di Venezia, Rai Cinema e Fabrica Cinema, è diviso in due parti, nettamente distinte tra loro: la prima segue la storia d'amore, romantica e appassionata, tra il giovane soldato Keng e Tong, un ragazzo di campagna; la seconda - ispirata a una leggenda thailandese che narra di un potente sciamano capace di trasformarsi in diversi animali - vede invece Keng, rimasto unico protagonista dopo la "misteriosa" scomparsa di Tong, addentrarsi nella foresta tropicale per dare la caccia ad una belva misteriosa che uccide mucche e depreda villaggi. Nella notte la giungla si anima di strane luci, suoni misteriosi e anime fluttuanti di animali morti.

Tra le due sezioni che compongono il film si crea, anche per merito dell'ottimo montaggio di Jacopo Quadri, una frattura narrativa e stilistica molto forte. Lo stile minimalista e realistico con cui il regista descrive la quotidianità dei due ragazzi lascia via via il passo a simboli e metafore, il tono svagato e gioioso che inizialmente caratterizza la loro storia d'amore diventa sempre più inquietante e ipnotico e i tempi narrativi si dilatano a vista d'occhio. Sogno e incubo, mito e realtà si fondono tra di loro indissolubilmente. L'immaginario cinematografico e culturale di Weerasethakul e l'utilizzo di una tecnica e di un linguaggio visivo fortemente antinarrativi e antispettacolari fanno del film un prodotto molto distante da quelle che sono comunemente considerate le "convenzioni" del cinema hollywoodiano. Il regista thailandese dimostra inoltre una notevole maestria - grazie ad un attento lavoro sulle immagini e sul sonoro - nella costruzione di atmosfere minacciose ed inquietanti, arrivando a trasformare la stessa foresta tropicale in un luogo "vivo" che, con i suoi rumori, i paesaggi, i colori e i suoi animali, si insinua irrimediabilmente, a mo' di terzo protagonista, tra i due amanti. La seconda metà del film, senza dubbio più enigmatica e ostica - ricca com'è di rimandi e riferimenti che difficilmente il pubblico occidentale è in grado di cogliere con immediatezza -, regala poi alcune sequenze indimenticabili, come quella che vede una gigantesca tigre, immobile sul ramo di un albero, fissare Keng, in un momento magico durante il quale l'uomo e la bestia si osservano e si studiano vicendevolmente, creando un corto circuito che ricorda per certi versi Il bacio della pantera di Jacques Tourneur.

Per apprezzare davvero Tropical malady, tuttavia, non è necessario convincersi dell'esistenza di chissà quali oscure interpretazioni, né tanto meno di dover per forza capire razionalmente che cosa realmente accade sullo schermo. È sufficiente lasciarsi incantare dalle immagini e dai suoni, facendosi "contagiare" dalla malattia tropicale, esattamente come succede ai suoi protagonisti.

 


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