A.C.A.B. PDF 
Maurizio Ermisino   

“Celerino figlio di puttana”. Una cantilena, un coro, che ricorre più volte durante A.C.A.B. (All Cops Are Bastards), parole che ritornano come un mantra, che si piantano in testa anche parecchi giorni dopo la visione del film. Le cantano anche loro, i celerini, per caricarsi. A.C.A.B. è il film - tratto dall’omonimo libro di Carlo Bonini - che racconta “da dentro” il mondo del Reparto Mobile della polizia. Lo fa mostrandoci le vite di Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini). Il primo vive da solo, e praticamente per il suo reparto, che è quasi l’unica ragione di vita. Il secondo è dilaniato dalla storia (finita) con la compagna cubana, che non gli permette di vedere la figlia. Il terzo soffre perché, dopo aver ricevuto una coltellata, non può lavorare, e perché il figlio sta andando alla deriva verso gruppi di estrema destra. Che odiano la polizia. Nelle loro vite, e nel reparto, arriva Adriano (Domenico Diele), giovane recluta che potrebbe essere benissimo dall’altra parte della barricata (tra gli ultrà) e che ha gli stessi problemi di chi la polizia combatte ogni giorno.

Film controverso per il suo stesso assunto, A.C.A.B. ci mostra il mondo del Reparto Mobile dall’interno, facendoci cioè conoscere i suoi “elementi” come individui, e non come figure blu che attaccano in gruppo. In questo senso, i celerini ci appaiono umani, persone a tutto tondo. Persone con il loro credo, un loro sistema di valori, un senso di appartenenza e un orgoglio per il loro ruolo nel mondo. Valori come lo Stato, l’Ordine. Il Reparto come una famiglia, i colleghi come dei fratelli da non tradire mai, che vengono anche prima della Legge, la formazione come un gioco di squadra dove ognuno ha il suo ruolo e aiuta l’altro a vincere. La divisa come un simbolo e una corazza. Valori che possono non essere condivisi, che portano spesso a derive sbagliate, ma del tutto coerenti per chi li applica. Scegliendo di raccontare i poliziotti da questo punto di vista, il film ci fa per lo meno capire come nascono certi comportamenti, secondo quali logiche si muovono queste persone. Non le giustifica, assolutamente. Non le fa amare, men che meno. Capire, forse sì. E in questo modo A.C.A.B. viaggia dentro i meccanismi dell’odio sociale, della violenza che genera altra violenza, e li spiega piuttosto bene. Le storie dei poliziotti si incrociano con la Storia recente, tra l’omicidio Raciti e quello di Gabriele Sandri. Con il fantasma della scuola Diaz e del G8 di Genova (solo accennato) che aleggia nell’aria come la grande macchia impossibile da cancellare, per stessa ammissione dei protagonisti.

A.C.A.B. è diretto da Stefano Sollima, il regista della serie tv Romanzo criminale, serie per la quale, prima volta nella storia italiana, si è parlato di cinema portato in televisione. Il che vuol dire che il mestiere Sollima ce l’ha. E porta nella storia di A.C.A.B. l’impronta del cinema di genere: A.C.A.B. è teso, muscolare, violento, anche scorretto. Qualcosa che può avvicinarsi a certi poliziotteschi italiani del passato, o a certi film francesi relativamente recenti (L’odio?). Ma che mantiene una propria personalità. È un film che non risparmia nulla, o quasi. È un film dal quale si esce quasi disgustati, disturbati, per la violenza, per la cornice senza speranza, per un quadro dove non si sa per chi parteggiare, visto che non esistono personaggi positivi. Fare un film di questo tipo è senz’altro coraggioso, così come osservare la realtà dal punto di vista dei poliziotti. In tanti avevano già toccato il tema, altri lo faranno (è in arrivo Diaz di Vicari sui fatti di Genova), ma non così. Sollima spinge sull’acceleratore di un prodotto ipereccitato anche grazie alla musica, punk e rock duro (Police On My Back dei Clash, Seven Nation Army dei White Stripes e Where Is My Mind dei Pixies, come dire che non teme il confronto con il Fincher di Fight Club), e grazie all’interpretazione dei suoi attori, tutti eccezionali (su tutti Pierfrancesco Favino, da brividi nel suo assolo al processo). Il finale è aperto, alla Butch Cassidy And The Sundance Kid.

A.C.A.B. è un film che non giustifica e non assolve. Ed è un film che corre i suoi rischi. Perché a qualcuno quel guardare la storia con gli occhi dei poliziotti potrebbe sembrare quasi uno sposare la loro causa. E raccontare i percorsi con i quali si anima l’odio sociale potrebbe sembrare quasi giustificarli. La scena in cui, dopo lo stupro, viene fatto sgombrare il campo Rom è un esempio di come la politica agisca demagogicamente, e come questa demagogia abbia un seguito. Ma chi ci dice che tra il pubblico - ampio e variegato - che vedrà il film qualcuno non possa vedere l’azione stupro-sgombero come una conseguenza inevitabile e giusta? È un lavoro pericoloso, quello del celerino. Ed è pericoloso anche quello di chi lo racconta. Sollima, a cui vanno i complimenti per il coraggio, cammina costantemente sul filo del rasoio, riuscendo quasi sempre a evitare di cadere.

Titolo originale: A.C.A.B.: All Cops Are Bastards; Regia: Stefano Sollima; Sceneggiatura: Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti; Fotografia: Paolo Carnera; Montaggio: Patrizio Marone; Scenografia: Paola Comencini; Costumi: Veronica Fragola; Musiche: Mokadelic; Produzione: Cattleya, Babe Film, Rai Cinema; Distribuzione: 01 Distribution; Durata: 90 min.; Origine: Italia/Francia, 2011

 


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