Let's Get Lost PDF 
Elisa Mandelli   

Affacciatosi sulla scena musicale californiana nei primi anni Cinquanta, Chet Baker è rapidamente diventato un trombettista e cantante di fama internazionale. Con un talento innato e un fascino magnetico, un’incorreggibile inclinazione alla menzogna e una tenace dipendenza dalla droga, la sua controversa figura ha per decenni infiammato gli animi di innumerevoli amanti e fervidi ammiratori, diventati, dopo averne sperimentato la carica distruttiva, i suoi primi detrattori. Bruce Weber è uno tra i più noti fotografi di moda contemporanei, celebre per i lavori pubblicati su autorevoli riviste del settore (Vogue, GQ Vanity Fair, ...), per le campagne pubblicitarie di marchi come Calvin Klein e Ralph Lauren, oltre che per alcune incursioni nell’ambito dell’immagine in movimento, dai videoclip al primo lungometraggio Broken Noses (1987), documentario sul boxer Andy Minsker.

La sua seconda pellicola, Let’s Get Lost (1988), è il terreno su cui si gioca l’incontro con Baker, il punto d’arrivo (che la sorte vorrà in qualche modo definitivo, a causa della morte del musicista poco dopo le riprese) di una passione che Weber dichiara di essersi portato dietro fin dall’adolescenza, quando, di fronte alla copertina del vinile del 1955, Chet Baker Sings and Plays with Bud Shank, Russ Freeman and Strings, rimase folgorato dalla foto del musicista. Difficile resistere alla tentazione di cercare in questo aneddoto la chiave di lettura del film, che fa evidentemente dell’aspetto fisico - e in particolare del volto di Baker - uno dei perni attorno a cui ruotano le sue fortune musicali, amorose e di pubblico. E davvero il volto di Baker attraversa il film quasi come un’ossessione, in un inesausto e letterale faccia a faccia tra l’immagine del ragazzo attraente in bella mostra su copertine di dischi, riviste e quotidiani, schermi televisivi e cinematografici (tra cui riconosciamo i “nostri” Festival di Sanremo e Urlatori alla sbarra di Lucio Fulci, 1960), e le rughe di un cinquantasettenne segnato, più che dall’età, dalla sregolatezza e dalla droga. Scavando nel materiale di repertorio, una fascinazione magnetica e irresistibile sembra guidare la macchina da presa nell’inesausta esplorazione di tutte le angolazioni della bellezza del giovane Baker, la cui essenza pare sideralmente lontana dalla figura stanca e consunta che si muove di fronte all’obiettivo. Eppure, un sottile ma tenace fil rouge, una tensione sottesa e costante, si insinua tra le pieghe della narrazione, quasi un inconsapevole (per quanto non sufficiente) antidoto alla tendenza agiografica che ogni biopic porta con sé, e a cui Let’s Get Lost non riesce totalmente a sfuggire: la sensazione che trapela dai racconti di amici e amanti è che quel fascino contenesse già in sé i germi della dannazione (“volto d’angelo, cuor di demonio”, chiosò un magistrato all’indomani dell’incarcerazione di Baker a Lucca nel 1960), che il giovane musicista di successo fosse già, nell’animo, quell’uomo perduto di cui la spettrale figura dell’anziano non è che la definitiva rivelazione.

Il corpo e la musica sono i due poli di un’altra dialettica che percorre per intero il film, in cui le potenzialità artistiche del trombettista sono lette in relazione alle possibilità di azione (e reazione) che gli consente il suo corpo. Così, se il talento di Baker ha tutte le caratteristiche di un dono innato (al punto che la leggenda vuole che non sapesse leggere la musica), il suo fisico - quello stesso fisico che ammaliava le ammiratrici e rassicurava il suo pubblico borghese - pare opporsi a tale naturalità, subendo una degradazione progressiva non priva di conseguenze sulla performance artistica (emblematica è la caduta dei denti, che segna una cesura netta nella carriera di Baker, impedendogli di suonare per lunghi anni). Diventa allora evidente il senso di alcune sequenze di Let’s Get Lost, che sembrano opporsi a tale movimento, costruendo attorno all’ormai esile figura del trombettista situazioni (la corsa in macchina a Santa Monica, l’autoscontro) che tentano di rievocare una vitalità sfiorita (o forse mai veramente posseduta), circondandolo di corpi ancora giovani e adoranti, come se il loro vigore potesse circolare nelle sue vene con più efficacia della speedball cui sembra non poter più rinunciare. Ma sono, in chiusura del film, le parole stesse di Chet Baker a sancire la natura effimera di questo tentativo: “un sogno” che a pochi fortunati è dato di vivere, ma che resta pur sempre tale. Ironia della sorte, le due immagini apparentemente così discordanti che una stessa difficile esistenza ha dato di sé si ricompongono, tragicamente, nella morte: come ricorda il cartello finale, il rapporto della polizia dichiara di aver trovato, sotto la finestra dell’albergo di Amsterdam da cui Baker cadde il 13 maggio 1988, “il corpo di un uomo di 30 anni con una tromba”. Baker avrebbe compiuto 59 anni.

Titolo originale: Let's Get Lost; Regia: Bruce Weber; Fotografia: Jeff Preiss; Montaggio: Angelo Corrao; Produzione: Little Bear Productions, Nan Bush; Distribuzione: Columbia Tristar (Home Video), BMG Video; Durata: 120 min.; Origine: USA, 1988

 


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