Caterina va in città PDF 
di Mauro Brondi   

Con Caterina va in città Virzì firma una sorta di felice contraltare rispetto a My name is Tanino: tanto era divertente e "limpido" il personaggio di Tanino, tanto Caterina è un mistero malinconico agli occhi dello spettatore, e se il viaggio di Tanino in America era una fuga per perdersi, il viaggio-trasferimento di Caterina diventa l'inizio del suo trovarsi e conoscersi. Ma ovviamente fra i due film ci sono anche dei forti legami, così come, più in generale, Caterina va in città è in linea con tutta la produzione del regista livornese, che conferma le proprie capacità e sensibilità narrative.

Virzì, fedele alla tradizione "classica" della commedia all'italiana, capace in ogni caso di innovare il genere attraverso un uso dinamico e mai fine a se stesso dei movimenti di macchina (la steadycam) e del montaggio, sa che è necessario partire dalla scrittura, su carta ancora prima che su pellicola.

Ecco allora la forza di una sceneggiatura (scritta dal regista con Francesco Bruni) sempre viva che sa dosare novità a ritorni: la struttura a specchio, che mette a confronto la protagonista con le due amiche Margherita e Daniela, due facce opposte della stessa medaglia, non fornisce una scelta manichea, ma piuttosto necessaria rispetto alle esperienze di un'adolescente in balìa di una realtà cittadina (quella di Roma) abituata prima di allora alla dimensione del paese.

Caterina passa attraverso due esperienze di amicizia "forti": Margherita, di famiglia radical-chic di sinistra, tutta centri sociali e attivismo, e Daniela, figlia di un ministro della nuova destra, tutta lucidalabbra e mondo pop. Una certa estremizzazione dei caratteri è normale perché siamo all'interno di un genere, la commedia, che gioca continuamente tra l'essere "reale" e l'essere "deformato", ma Virzì non esagera, dosando momenti divertenti a scene più drammatiche e intense, grazie anche ad un Castellitto (padre di Caterina) sulla soglia dell'estremo, ma sempre credibile e intenso. Il film si regge su questo equilibrio difficile, entrando nel mondo dei ragazzi con una poesia e sensibilità unici nel cinema italiano (un casting eccellente, dialoghi efficaci, montaggio in funzione della storia, recitazione mai enfaticamente falsa) e sviscerando conflitti, interessi e piccole miserie degli adulti con un distacco e una lucidità sorprendenti. Virzì non costruisce personaggi-macchiette, semplici modelli senza anima per arrivare a spiegare una tesi, costruisce invece dei personaggi vivi e umani, capaci non solo di rappresentare lo schieramanto di cui fanno parte, ma anche la loro umanità. Due scene fra tutte: Margherita che recita una poesia e si commuove davanti alla lapide di un poeta a lei caro e Daniela in lacrime, rimproverata dall'autista di famiglia dopo una festa "trasgressiva", con il viso attaccato al finestrino con lo sguardo perso. Sono momenti in cui tutti i facili schemi costruiti (quella struttura a specchio di cui parlavamo) diventano complessi perché lo spettatore va a toccare, con gli occhi, l'anima di quei personaggi fatta di sentimenti.

E il sentimento, più in generale il sentire, nel cinema di Virzì è un elemento fondamentale. Anche in Caterina va in città il sentire è una costante che avvicina, da un punto di vista patemico, personaggi e spettatori. Così come accadeva per Tanino, che si eclissava in un mondo di sensazioni oniriche e infantili nei momenti critici della sua vita, anche Caterina si allontana dal mondo che ha intorno grazie alla musica, e più precisamente grazie ai cori verdiani. All'inizio del film avevamo visto Caterina cantare nel coro del paese, così nei momenti di crisi del personaggio (ecco la struttura solida della sceneggiatura) Caterina torna con la mente al coro ascoltando in cuffia la musica. Virzì usa un primo piano stretto sul volto di Caterina che ad occhi chiusi (o semiaperti) gira su se stessa aprendo la bocca per cantare, agitando le mani. In questi momenti non abbiamo solo una fuga o una pausa all'interno della storia, ma una precisa volontà di "sentire" e "far sentire". Grazie a questi momenti noi sappiamo che Caterina è un personaggio sensibile (in grado cioè di percepire le cose) comprendendo che il suo percorso la sta cambiando, o per lo meno, la sta toccando nel profondo. Una cosa che succedeva in modo simile, ma anche in maniera meno sincera e in chiave più estetizzante, alla Liv Tyler di Io Ballo da sola, in cui Bertolucci si divertiva a far saltare da sola in stanza la protagonista al ritmo del rock'n roll.

Caterina è una figura non risolta, come tutti gli altri ragazzi che Virzì si limita a raccontare. Il racconto di Virzì non è mai psicologico ma sempre esterno, fatto di azioni, di dialoghi, di baci e di abbracci, verrebbe da dire, di movimenti e di sentimento. Caterina va in città non fa eccezione nel corpus virziano, portando pochi elementi nuovi su vecchie strategie (anche la voce fuori campo, ormai vera e propria marca autoriale del regista, è rispettata, ma utilizzata in modo meno pressante e brillante rispetto a Ovosodo o My name is Tanino): per questo, a nostro parere, è già un classico.

 


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