Limitless PDF 
Marco Doddis   

Limitless sembra una di quelle gigantesche uova di Pasqua che fanno la gioia dei più piccoli: una confezione allettante, che promette cose enormi, e una sorpresa piccola, in grado di far scordare quanto sia gustosa la custodia di cioccolato. Si parte forte, con una buona idea e una messa in scena da applausi, e si finisce maluccio, con una pretestuosa grigliata fanta-politico-filosofica in cui la carne è davvero troppa e mal cotta. Un tizio aitante e ben vestito sta in piedi su un cornicione. Qualcuno vuole fargli la festa e lui ha intenzione di saltare giù. Visto che l’edificio non è una villetta della periferia londinese, ma un grattacielo nel cuore di Manhattan, l’idea è che stia proprio per andare al Creatore. È un inizio niente male, un tuffo in medias res che fa pensare a Fincher (Fight Club) e ad altri grandi nomi. L’uovo di Pasqua offre il migliore degli spunti narrativi allo spettatore, ingolosito dal desiderio di scoprire come il belloccio sia arrivato fino a quel punto e se ne uscirà salvando le penne.

Il belloccio in questione si chiama Eddie Morra (interpretato dal “leone per una notte” Bradley Cooper) ed è uno scrittore squattrinato, incapace di completare un romanzo. Almeno, lo è all’inizio della storia vera e propria, quella che prende le mosse dopo il flashforward del cornicione e dopo un’ipnotica sequenza di titoli di testa. Eddie vive e vegeta a New York, ma paventa l’ipotesi di tornarsene in provincia, dalle protesi odontotecniche del padre, qualora non riuscisse a sfondare nella Grande Mela. Un giorno, incontra l’ex cognato, uno che faceva lo spacciatore e che non sembra aver rinunciato del tutto a certi vizietti. Costui non gli propone crack o marijuana, ma una pilloletta trasparente in grado di potenziare esponenzialmente le capacità cerebrali di chi la assume. È la svolta: Eddie sperimenta i benefici del farmaco terminando il suo libro in pochi giorni e avviandosi verso una dipendenza deleteria. Quando fa visita al cognato per farsi vendere un’altra “dose”, trova l’uomo assassinato: è chiaro, dunque, che l’NZT-48 (così si chiama la pastiglia) non interessa solo a lui. Sul luogo del delitto, Eddie trova un sacchetto pieno zeppo delle sue pillole, una scorta sufficiente per realizzare quelle due o tre cosucce che tutti desiderano (meglio: che tutti dovrebbero desiderare, secondo chi ha scritto la sceneggiatura), come diventare una specie di superuomo, abbandonare la letteratura per la finanza, farsi un po’ di vestiti cool, conoscere amici nuovi e riconquistare la ragazza perduta, la bella Abbie Cornish.  E, alla fine, dopo traversie d’ogni genere, c’è anche spazio per la “discesa in campo” nell’agone politico. Come dire: con l’NZT-48 nessun traguardo è impossibile.

The Dark Fields. Si chiama così il romanzo di Alan Glynn da cui è stato tratto Limitless. Già la mutazione del titolo tradisce il difetto di fondo della pellicola: l’intenzione di strafare, di non porsi limiti, nella forma quanto nella sostanza. Lo sceneggiatore Leslie Dixon è il primo a forzare la mano, approfittando dello spettatore e della sua sospensione d’incredulità. Visto l'inizio coinvolgente (come potrebbe non coinvolgere la vicenda di questo moderno Faust?), decide di trascinare la platea con sé nel castello di una trama destinata a cadere. Accettiamo l’idea della medicina-elisir che potenzia la mente e prendiamo per buona la leggenda popolare, falsa, secondo cui ognuno usa solo il 20% delle proprie capacità cerebrali. Accettiamo anche i superpoteri del protagonista, l’innesco del meccanismo thriller provocato dal cognato ucciso e persino il suo tuffo nel mare di Wall Street. Al di là di questo però – è proprio il caso di sottolinearlo – si oltrepassano i limiti. Utilizzare appieno i propri neuroni non significa diventare un mostro del kung-fu, uno che vede mezza volta un video e sa compiere acrobazie degne di Bruce Lee o del Neo di Matrix (c’è pure una citazione autoironica all’opera dei Wachowski, ed è la spia di quanto gli autori temano l’effetto boomerang delle loro forzature sul pubblico). In più, non si capisce per quale motivo si debba farcire la storia dei soliti leitmotiv del tossico in astinenza, dei mafiosi russi e del pescecane dell’alta finanza travolto dal nuovo che avanza. E non serve neppure dare allo squalo il volto e le movenze di Robert De Niro (in forma) per cambiare le carte in tavola. Di fronte a tanto pot-pourri, la regia non cerca certo il basso profilo. E come potrebbe farlo quando il suo autore è Neil Burger, forse ancora convinto di essere alle prese con l’illusionista Eisenheim nella Vienna ottocentesca? Burger è bravo, si vede. Ma il fatto di cadere anche lui nella trappola del no-limits non gioca a suo favore. E se, all’inizio, la zoomata fisheye in giro per Manhattan è straordinaria (ed è soprattutto funzionale alla messa in scena), la magia degli effetti speciali sfiorisce di pari passo con il suo abuso. Non solo: tutto l’impianto del film sembra risentire delle forzature di Burger. Si guardi, ad esempio, la fotografia: Jo Willems, che ne è direttore, pare anche lui sotto effetto di una smart drug. Variazioni di tonalità e particolari sgranature sono assolutamente incoerenti, sempre tenendo per buono il postulato secondo cui ogni elemento, filmico e profilmico, dovrebbe riflettere la narrazione, il suo spirito e le sue implicazioni semantiche. Se no, vale tutto.

Cosa resta di buono, dunque, in questo Limitless? Indubbiamente, come già accennato, lo spunto iniziale; in secondo luogo, una regia accattivante, ancorché verbosa; poi, dei bravi attori (si badi che pure per Sua Eminenza De Niro, di questi tempi, è un complimento). Infine, la parte più gustosa dell’uovo di Pasqua è proprio quella più sottile e trascurata, quel ritratto della società americana nel quale non si fatica a scorgere riferimenti all’attualità. Burger non si sofferma tanto sugli ultimi, sugli outcast, quanto sui primi, su coloro che reggono i fili del sistema. Il protagonista sperimenta in prima persona l’intreccio finanza-politica. Soprattutto, si trova di fronte un universo drogato, letteralmente e metaforicamente. L’interrogativo non può che sorgere spontaneo: e se l’America trascinata nella crisi da speculatori senza scrupoli e da politici incapaci fosse simile a quella del film? Se i responsabili di bolle immobiliari e credit crunch fossero tutti stati “dopati” da una sostanza misteriosa? Assai probabile. E poco importa che la sostanza si chiami NZT-48 o, semplicemente, dollaro verde.

TITOLO ORIGINALE: Limitless; REGIA: Neil Burger; SCENEGGIATURA: Leslie Dixon; FOTOGRAFIA: Jo Willems; MONTAGGIO: Tracy Adams, Naomi Geraghty; MUSICA: Paul Leonard-Morgan, Nico Muhly; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2011; DURATA: 105 min.

 


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