Il ritorno PDF 
di Manuela Russo   

"Da dove è sbucato?"
"E' arrivato."

Il luogo da cui improvvisamente si parte per quel misterioso viaggio iniziatico che è il film russo, vincitore a Venezia, non è altrimenti definibile se non come 'la casa', dove i due ragazzini russi vivono con 'la mamma' e 'la nonna', identificate esclusivamente attraverso il ruolo familiare, tanto da essere prive di un nome proprio. Difficilmente i personaggi femminili potrebbero essere più scarnificati e umbratili, la trama più esile e 'tutta nervi'. In questo ambiente senza alcuna connotazione spazio - temporale, i due adolescenti vivono un tempo del gioco già gravido di fatalità: le liti fra ragazzi e le piccole tragedie che si consumano per un atto di codardia sono avvolte da una luce livida, dai toni persistenti dell'azzurro cupo dell'acqua, dell'aria, delle pareti di casa, delle lenzuola, delle tende, persino degli sguardi di madre e figli.

La sequenza iniziale è già perfettamente strutturata perché si enuclei il discorso portante del film che, nel titolo lapidario, dichiara la propria vocazione all'apologo: la vicenda dei due adolescenti di fronte all'inaspettato e scioccante ritorno di un padre che non ricordano e non aspettano assume, infatti, la forma del racconto breve, di una parabola sull'ansia di conoscenza; su domande inghiottite come fossero sassi o sputate fuori, inutilmente, con rabbia; sulla sete di verità perennemente sospesa, nella convinzione che le risposte verranno date. Trama avvolta in una tensione sottile e allo stesso tempo, a tratti, soffocante, che viene mantenuta magistralmente per tutta la durata del film col ricorso a sapienti soluzioni visive.

Irrompe, con l'arrivo del 'padre' e la sua decisione di portare i figli in viaggio, per pescare, la dimensione del sacro e dell'ancestrale, sottolineata e scandita dal ricorrere di situazioni, immagini, forme e gesti.
Il padre alterna, infatti, sistematicamente attenzioni nei confronti dei figli a crudeli lezioni di vita, dando così inizio a un gioco assurdo e perverso di ruvido affetto e ricatto, e intessendo simmetrie all'interno della diegesi, riscontrabili anche, come si diceva, ad altri livelli del film.
Vi sono immagini che divengono evocative nel volgere di poche sequenze: è il caso della torre da cui Ivan, unico in un gruppetto di amici, non trova il coraggio di tuffarsi in mare. I bambini che si trovano sulla sommità del trampolino sono ripresi con angolazioni marcate; la torre stessa, inquadrata dal basso, campeggia simile al monolite di 2001: Odissea nello spazio (non certo una citazione, ma la volontà di rendere significante la forma/figura della torre: quel qualcosa di grande, alto con cui i due ragazzini devono confrontarsi - il modo in cui i due bambini affrontano la torre rispecchia peraltro quello in cui si rapportano al padre: Andrey è in grado di superare la prova del tuffo dalla torre/di accettare il ritorno del padre; Ivan non riesce a lanciarsi nel vuoto/non accetta di sottostare supinamente alla ruvidezza di un padre scomparso e poi tornato senza apparente motivo; non può non farsi e fare domande, posa lo sguardo sul padre statuario, come sulla torre, con rabbia e senso di sfida).

La seconda, inaspettata occorrenza della torre (la cui comparsa può causare un momentaneo arresto cardiaco nello spettatore partecipe) sarà invece sottolineata da un carrello circolare che passa intorno a Ivan, quasi a voler marcare l'incontro col suo limite e con la sfida già persa una volta; riferimento figurativo che, insieme con l'erta scala a pioli del trampolino, è un segnale che trova allarmante corrispondenza nel sottofinale. Perfino la disposizione dei fratelli nello spazio sembra rispondere a una volontà paradigmatica: spesso i due sono inquadrati insieme, posti uno di fianco all'altro, mentre in mezzo, di fronte a loro, sta il padre, appartenente a uno spazio altro rispetto al loro.

E' una stessa inquadratura, poi, a ritrarre i due fratelli di spalle, soli di fronte all'acqua, una prima volta mentre pescano e una seconda quando guardano impotenti la barca, su cui giace il padre, andare a fondo. Lo stesso primo incontro dei figli con l'uomo era stato veicolato da un'immagine forte che tornerà nel finale del film: il padre, appena tornato a casa, dorme disteso nel suo letto come il Cristo morto di Mantegna, immagine quasi monocroma come il dipinto, in cui l'alta tragicità nasce dallo scorcio violento che 'accorciando' la figura giacente, la impone allo sguardo; alla fine del film i ragazzi si troveranno ancora una volta soli uno di fianco all'altro a guardare il padre di fronte a loro, steso sulla barca. Mentre Ivan, solo, assume almeno due volte la stessa posizione di chiusura: seduto per terra con le braccia a stringere le gambe, sia sulla torre sia, nel corso del viaggio, sotto la pioggia, dopo che il padre lo ha fatto rudemente scendere dalla macchina.

La natura metaforica del viaggio è più volte dichiarata durante il percorso: l'auto su cui si viaggia (di un rosso acceso, l'unico colore intenso nella pellicola) si trova ad andare in una direzione, mentre un treno passa sullo sfondo in quella opposta (il viaggio è al limite del metafisico, quanto mai lontano dal quotidiano). Anche le rare persone che attraversano i campi lunghi procedono sempre in direzione opposta a quella dei protagonisti (Andrey va incontro ad una signora a cui chiede informazioni su dove poter mangiare; in auto lo attendono il padre e Ivan che osservano incedere elegantemente verso di loro la silhouette di una donna che, superatili, si volta a guardarli per un solo breve momento). Ed è lo stesso regista a dichiarare: "Quando stavo girando il film non ho visto l'intera vicenda come una storia che capita tutti i giorni o a sfondo sociale. Per una buona parte il film è uno sguardo con intenti mitologici sulla condizione umana"

Mito e condizione umana, questi, dunque, i nuclei forti attorno ai quali si struttura Il ritorno. Il film sembra girato con riga e squadra e, anche alla luce della sopraddetta affermazione di Zvyagintsev, trova nell'asse verticale e in quello orizzontale di alcune inquadrature e nella forma di parecchi elementi del profilmico una forte corrispondenza con il sottotesto del rapporto fra condizione umana e mito, sottolineato a sua volta dal contrasto fra una macchina da presa che insiste su inquadrature dall'alto ed una sceneggiatura che impone invece una visione quasi sempre vicina a quella dei due ragazzi.

Elementi e figure che dichiarano la prospettiva 'verticale' della dimensione mitica sembrano essere la torre di ferro; i tralicci dell'elettricità; la statuarietà del padre; le inquadrature a piombo, dalla sommità della torre; le soggettive del padre sui figli, che guarda spesso dall'alto.
A dichiarare invece 'l'orizzontalità' della condizione umana sono invece elementi quali il paesaggio pianeggiante; il lago piatto, fermo; lo scorrere della vita quotidiana dei due bambini fra giochi e prove di coraggio (quotidianità bruscamente interrotta dall'irrompere della figura mitica del padre), il rapporto paritario fra amici e quello complesso e drammaticamente umano fra i due fratelli inquadrati spesso, come già detto, frontalmente l'uno di fianco all'altro.

La forte componente mitico/religiosa dichiarata dal regista stesso in parecchie interviste non si sostanzia solo nel rapporto fra un Padre silenzioso che professa un'etica dura e aspra (da Antico Testamento, si direbbe) senza spiegare nulla (il padre, appunto) e l'uomo lacerato dalle domande (il piccolo Ivan) o che accetta di non comprendere, a fronte della possibilità di essere amato (il figlio maggiore Andrey). Richiami al sacro sono evidenti, oltre che nel già citato dipinto, anche nei disegni sacri del testo biblico dentro cui è conservata la foto che Ivan corre a cercare per identificare l'uomo apparso in casa, e nel momento topico della prima cena con la famiglia al completo, durante la quale il padre divide la carne e versa il vino. Oppure ancora nella presenza insistita dei tralicci dell'elettricità che disegnano croci nei paesaggi deserti attraversati dai tre personaggi nel loro viaggio e nell'icastica inquadratura in cui i due ragazzi attraversano il lago "Stige" su un'imbarcazione a remi con a bordo 'l'anima' del padre.

Nel viaggio del Ritorno, il padre ha portato i figli ai confini: davanti a loro solo acqua. Dentro domande, bisogno d'amore e limiti da valicare. Ivan scalerà la torre di cui temeva la vertiginosa altezza. Andrey, come era stato prefigurato in una delle sequenze iniziali in cui, inseguito dal fratello, diventava, grazie ad un abile stacco di montaggio, inseguitore dello stesso, subisce un'importante trasformazione: da ragazzo totalmente dipendente dal carisma del padre e tentato dalla forza oppositiva del fratello minore, diventa uomo, attuando, nel lento e faticoso viaggio verso la terraferma, tutti gli insegnamenti pratici rudemente impartiti dal padre nel breve tempo concesso (sa tagliare i rami, sa di poterli mettere sotto i pesi perché vengano trascinati più agevolmente, sa guidare). L'esperienza mitica dell'incontro col padre lo porta ad identificarsi in lui.

Il silenzio algido e la musica straniante, quasi da thriller dell'anima, che pervadono il film sono rotti definitivamente quando si sentono i due ragazzi urlare spontaneamente per la prima volta all'unisono " papà!", mentre l'uomo va a fondo col suo scrigno di segreti. Frattura ancestrale, questa, raramente rappresentata con una bellezza così raggelante.

E' un esordio sapiente e tutt'altro che improvvisato, questo di Zvyagintsev, ricco di suggestioni antonioniane, come rivela lo stesso regista, ammaliato a suo tempo da L'avventura, pregno di una concezione temporale debitrice a Tarkovskij, delle atmosfere della tragedia greca e di rimandi a Dostoevskij. La potenza del film sta soprattutto nella dialettica interna che si stabilisce tra gli sguardi che sostanziano la narrazione, tra rappresentazione e omissione di parole. Come anche risiede nel potente ossimoro creato dalle sue atmosfere vitree, gelide, taglienti, che rinviano ad una severità interiore e a un rigore metafisico, e dall'empatia trattenuta dello spettatore, fino a trovare, finalmente, una più piena adesione emotiva al testo filmico nella successione finale delle fotografie di un viaggio mancato, quello immaginato dai ragazzi, rimasto fuori campo, avvolto nel mistero di una favola nera.

 


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