Brüno (con tanto di dieresi a sottolineare l’origine austriaca del personaggio) è Sacha Baron Cohen. Già solo queste poche parole sono sufficienti ad inquadrare il genere di film in questione. La regia porta nuovamente la firma di Larry Charles, come in Borat, e l’interesse è tutto ancora una volta per il camaleontico Sacha Baron Cohen. L’attore si trasforma qui nel conduttore, totalmente sopra le righe, di un programma di moda per la tv viennese, incarnando un altro personaggio improbabile, come lo era il giornalista kazako alla ricerca di Pamela Anderson. E proprio come Borat, anche Brüno è un mockumentary strutturato per sketch e candid di una semplicità disarmante, che vorrebbero strappare una risata facile e triviale.
Il camuffamento di Sacha Baron Cohen è maniacale: Brüno si veste in modo appariscente e inverosimile, ma soprattutto ostenta la propria omosessualità in ogni ambito. Il suo obiettivo è conquistare quei quindici minuti di vera celebrità di warholiana memoria, e questo suo fine giustifica gli assurdi mezzi utilizzati per raggiungerlo. Bandito dal mondo della moda a causa di un’irruzione sulle passerelle della moda milanese (che nella realtà è avvenuta davvero e ha portato l’attore a trascorrere qualche ora in caserma), decide di inseguire il proprio sogno americano e di diventare l’austriaco più famoso negli States, dopo Adolf Hitler e Arnold Schwarzenegger (sic!). Ha dunque inizio la lunga e tortuosa strada verso il successo, che si articola in vari passaggi: diventare un attore (con tanto di blitz sul set del telefilm Medium, anche questa realmente accaduta), realizzare un programma tv per celebrities, girare un sex tape con un politico, dedicarsi alla beneficenza, ristabilire la pace in Medio Oriente, farsi rapire in Libano, adottare un bambino di colore come Madonna e Angelina Jolie, e infine diventare eterosessuale con l’aiuto di un pastore che aiuta i gay a convertirsi alla causa etero.
È fin troppo evidente l’intento sarcastico di Brüno e la sua volontà di attuare una generica critica al mondo dei media e alla cultura, ma ciò che non regge è la forma che assume questa critica, portata verso un eccesso che non trova giustificazioni diegetiche. L’ironia non è dunque sottile, ma grossolana e infarcita di luoghi comuni riprodotti all’infinito. La struttura del film si ripete e rende prevedibile ogni azione del personaggio. Si potrebbe parlare anche di una volgarità fine a se stessa, ma il problema per Brüno, dichiarato nel trailer e sulla locandina come “il lato B di Borat”, risiede altrove. Ad esempio nell’incapacità di trovare la sintonia tra ironia e messa in quadro dei concetti. Lo spazio che separa tutto ciò che è volgare da ciò che non lo è contiene un vuoto incolmabile, la sfumatura non è concessa, l’eccesso fine a se stesso è l’obiettivo. Obiettivo perseguito ed ottenuto.
L’umorismo di Sacha Baron Cohen piace o non piace. Non può piacere solo un po’. Il film termina con l’improbabile, quanto surreale canzone Dove of Peace, interpretata inspiegabilmente da Bono Vox (U2), Elthon John, Chris Martin (Coldplay), Sting, Snoop Dogg e Slash (Guns n’ Roses), che si trovano a supportare l’inspiegabile causa di Brüno.
TITOLO ORIGINALE: Brüno; REGIA: Larry Charles; SCENEGGIATURA: Sacha Baron Cohen, Anthony Hines, Dan Mazer, Jeff Schaffer; FOTOGRAFIA: Anthony Hardwick, Wolfgang Held; MONTAGGIO: Scott M. Davids, James Thomas; MUSICA: Erran Baron Cohen; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 81 min.
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