Soldi sporchi / A simple plan PDF 
di Fulvio Montano   

Riproposto in occasione della retrospettiva Il cinema di Sam Raimi, che il Museo Nazionale del Cinema (Torino, Cinema Massimo 3, dal 11 al 25 marzo) ha dedicato al regista americano, Soldi sporchi (A simple plan, 1998) ha l'indubbio sapore del cult. Misurato, realista, ben girato e magnificamente interpretato, il film testimonia di un Raimi talentuoso ed inaspettato, ben lontano dai B-movies che l'hanno reso famoso e in piacevole empatia con i suoi attori.
Se trama e ambientazione suscitano, immediato, l'accostamento con Fargo dei Fratelli Coen, l'atmosfera cupa e opprimente della provincia americana richiama invece alla mente un film come Il dolce domani (The sweet hereafter, 1997), in cui Atom Egoyan narrava di uno scuolabus difettoso che causava la morte di un'intera scolaresca, gettando nello sconforto gli abitanti di una sperduta località della Columbia Britannica.

Poeticamente sprovvisto dello humour nero che contraddistingue la cinematografia dei Coen, Raimi (come del resto Egoyan) insiste su una totale aderenza al reale, scegliendo di stimolare l'empatia dello spettatore presentando persone (anziché personaggi), riprese, se si esclude l'effetto flou delle scene in cui si vede Sarah (Bridget Fonda), la moglie di Hank Mitchell (Bill Paxton) protetta dall'intimità familiare, in luce naturale e senza enfasi.
La neve e le facce anonime da uomo qualunque del Minnesota, invece dell'unicità un po' surreale che hanno le battute e i gesti di Steve Buscemi vittima della sua stessa inadeguatezza, testimoniano il fallimento del sogno americano, e la triste realtà (senza futuro, né romanticismo) di provinciali emarginati, prigionieri e senza più sogni.
Se il gusto per il grottesco era in Fargo, filtro accattivante e al contempo scostante che giocava con l'identificazione dello spettatore, l'inevitabile e noiosa vita di provincia, fattasi d'un tratto insopportabile (la borsa con i soldi in A simple plan, l'incidente dello scuolabus nel film di Egoyan), suscita pietà e angoscia proprio per il suo essere quotidianamente riproposta a immagine e somiglianza di se stessa, tanto che Sam Raimi sembra volerci dire che sognare diventa possibile solo quando accade qualcosa di inaspettato o di talmente imprevedibile da distogliere le persone normali dalle loro normali occupazioni e illuderle di turbare l'ineluttabile grigiore delle loro esistenze.

Protagonisti e gregari, nonostante conducano esistenze a prima vista completamente diverse, sostanzialmente si equivalgono, sono tutti poveracci; chi perché benestante e costretto a lavorare per mantenere la sua posizione sociale e chi perché disoccupato snobbato dalla comunità e condannato a vivere di espedienti, come Jacob Mitchell (Billy Bob Thornton) e Lou (Brent Briscoe).
Impossibile quindi rinunciare ai soldi, maledetti sin dall'inizio (interessante qui il parallelo con la lettrice di carte additata come strega del successivo The Gift, su sceneggiatura di Billy Bob Thornton). E inevitabile la fine tragica della vicenda al di là delle anticipazioni della voce over, che sembra imposta per dare un contorno plausibile ai fatti e che non aggiunge nulla ad una vicenda già chiarita attraverso le immagini del protagonista che vende mangimi con maggiore coscienza, della moglie che, con rabbia, torna a riordinare i libri sugli scaffali della biblioteca pubblica e del trattore coperto di neve nella fattoria abbandonata.
I temi classici dei soldi e delle donne che rovinano le amicizie, sono qui riproposti in una dialettica nuova, senza moralismi e come semplice constatazione dell'inevitabile. Il denaro, cui tra l'altro siamo talmente avvezzi da non riuscire ad immaginarci come sarebbe viverne senza, non è che un pretesto per accelerare i tempi. I protagonisti, prima o dopo si sarebbero scannati ugualmente e l'esito sarebbe stato il medesimo: il brav'uomo avrebbe avuto la sua bella famigliola e i due balordi sarebbero finiti male, ammazzati dalla polizia o da creditori senza scrupoli.

È questo il senso del lavoro di Raimi sui personaggi/persone della sua storia. Dirottando l'attenzione da un'altra parte, il regista si dilunga nel descrivere i rapporti tra i personaggi con lunghe sequenze di dialogo che hanno lo stesso ritmo del monotono e inquietante silenzio della provincia coperta dalla neve, in netto contrasto con le scene d'azione e le poche concessioni splatter (il cervello di Lou che schizza sugli infissi della sua porta di casa, ad esempio).
Se guardando il film dei Coen, grottesco come la scena anomala del killer imbranato che si impanica con aspirapolvere e donna della pulizie in Mulhollhand Drive di David Lynch, era impossibile non ridere, guardando Soldi Sporchi non si riesce a ridere proprio a causa dell'eccessivo realismo. La rapidità con cui i personaggi si abituano ai crimini più efferati e di cui sono gli unici responsabili, si palesa in ogni momento, convincendoci che, se posti nella stessa loro situazione, reagiremmo un maniera identica, mettendo a nostra volta in scena una tragedia scontata nello svolgimento e, soprattutto, nel suo finale.

 


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