Skyfall PDF 
Maurizio Ermisino   

Agitato, mescolato
Agitato, non mescolato. È questo il modo di preparare il classico Martini di James Bond. Agitato, mescolato è invece la ricetta del nuovo corso cinematografico dell’Agente 007, quello che vede protagonista Daniel Craig. Skyfall è il terzo atto di questo nuovo corso. Il nuovo Bond è agitato, in molti sensi. Fin da Casino Royale siamo abituati a vedere un Bond ferito, in senso letterale e in senso metaforico. Il primo Bond di Craig soffriva d’amore per Vesper Lynd, e sanguinava sotto i colpi di Le Chiffre e della sua banda. Anche in Skyfall vediamo un Bond ferito doppiamente: colpito a morte (apparentemente, perché noi sappiamo che si vive solo due volte…) dal fuoco amico sul tetto di un treno nel prologo mozzafiato che apre il film; e ferito nell’orgoglio, dopo che l’MI6 è stato messo sotto attacco informatico da un folle che si è impossessato di un file con tutti i contatti dei servizi segreti e li sta pubblicando in rete, oltre a far esplodere il quartier generale dell’MI6. Ma Bond è ferito nell’orgoglio soprattutto perché per la prima volta in un film di 007 - eroe invincibile e inattaccabile - si fa riferimento alla sua età, al suo essere inadeguato al nuovo modo di agire dei servizi segreti, alla possibilità di lasciare il suo posto ad altri. Tornato “dopo essersi goduto la morte” per senso del dovere, Bond fallisce i test per essere reintegrato. E, dal nuovo addetto all’approvvigionamento (la sezione Q, vi ricorda qualcosa?), viene paragonato a una gloriosa nave da combattimento che viene dismessa, come in un celebre dipinto di William Turner, La Valorosa Témériere.

La geniale sceneggiatura di Skyfall riesce a regalarci un Bond umano come non mai: trafitto dalle pallottole (avete mai visto un graffio sul corpo di Connery o Moore?) e colpito nell’orgoglio. E vulnerabile quando si tira in ballo il suo passato: Skyfall è il nome della tenuta in cui è cresciuto, e in cui ha assistito alla morte dei suoi genitori, altra ferita mai rimarginata. Gli sceneggiatori riescono anche a trasformare la sua passione per gli alcolici in una dipendenza , come se fosse Tony Stark, completando il quadro di un uomo alla deriva. Sì, James Bond è un orfano, proprio come un altro eroe archetipico dei nostri tempi, il Bruce Wayne di Batman. Proprio come nella trilogia di Nolan, il nuovo corso di Bond non solo azzera i film precedenti e riparte da zero (Casino Royale è il "Bond Begins"), ma opera una sorta di demolizione dell’eroe. Entrambe le serie ci mostrano la debolezza, la fallacia dei nostri eroi. Cioè la loro umanità. E prendono delle icone immortali e fuori dal tempo per portarle nella realtà di oggi. Nel nuovo corso di Bond il servizio segreto di Sua Maestà è alle prese con i finanziatori dei gruppi terroristici (Casino Royale), con le lobby che vogliono controllare l’acqua (Quantum of Solace) e con il terrorismo globalizzato senza bandiera e senza volto di oggi. “Non sappiamo più chi sono i nostri nemici. Non sono rintracciabili, non sono nazioni. Sono invisibili. È nelle ombre che dobbiamo cercare”, sentiamo dire alla M di Judi Dench. Il nuovo Bond è agitato anche perché in questi film l’azione è più concitata, più violenta, più reale.

Ma il nuovo James Bond, e questo Skyfall in particolare, è anche mescolato. Nel senso che Sam Mendes, autore con la a maiuscola, è un grande fan della saga di Bond. Così, oltre a firmare uno dei film più intensi e personali della storia dell'agente segreto, è riuscito a sfruttare al meglio l'heritage, l'eredità che Bond si porta dietro nei suoi 50 anni di storia, idea già messa in pratica in Quantum of Solace e qui resa alla perfezione. Tanti piccoli grandi elementi tornano in questo film, a partire dall'ironia, più secca e dura che in passato, alla Istanbul di Dalla Russia con amore, per arrivare alla Aston Martin di Goldfinger e ai capelli biondi del villain di Javier Bardem, che ricordano proprio l'antagonista di quel film, passando per piccole battute (Solo per i tuoi occhi, Bersaglio mobile) e personaggi storici che ricompaiono. C'è di nuovo Q, ma ce n'è anche qualcun altro, nel delizioso finale - che non vogliamo svelarvi - che è la perfetta chiusura di un cerchio, e il perfetto collegamento tra il vecchio e il nuovo Bond. Voleva fare un classico, Mendes, e c'è riuscito. Forte della presenza di Daniel Craig, ormai senza dubbio il miglior Bond insieme a Connery, e di un autore come Mendes, Skyfall è la perfetta sintesi tra il Bond classico e quello nuovo, il miglior 007 degli ultimi quarant'anni e uno dei migliori di sempre. Citando un altro Bond, verrebbe da dire "Mendes Is Forever", dateci Mendes per sempre. Ma la strada del Bond d'autore, più volte tentata (Michael Apted, Marc Forster), è una missione vinta e da ritentare. Noi vedremmo benissimo Christopher Nolan, che nei suoi ultimi due Batman e in Inception ha costruito sequenze dichiaratamente ispirate a Bond, usando anche le maestranze dei suoi film storici. Sarebbe un Bond agitato, mescolato, e ispirato.

(L'uomo nell'ombra) Vive e lascia morire
"Viene dallo stesso posto di Bond, un posto che lei non conosce. Dall'ombra". Sono le parole di M sull'inedito villain di Skyfall, il Raoul Silva di Javier Bardem, che compare, grande atteso, dopo un'ora e un quarto di film. Osservate il suo ingresso in scena: la mdp è fissa, Silva arriva con incedere lento dal fondo della scena, come in una messinscena teatrale, e tiene banco per qualche minuto con un monologo. Anche questi sono indizi che ci ricordano che Skyfall è sì il ventitreesimo film della saga di Bond, ma anche il sesto film di Sam Mendes. Un regista che viene dal teatro. E si vede. Da questa scena, o da altre inquadrature, come il primo dialogo, ripreso di profilo, tra M e il funzionario Mallory. O ancora, il processo a M, che si conclude con un monologo, degno di Shakespeare, con citazione della poesia di Tennyson. Forte di una grande sceneggiatura, e dialoghi che a volte sembrano usciti da Shakespeare, altre volte da un western di Leone, lo 007 di Mendes ha la profondità di un classico, di un'opera teatrale senza tempo. Con attori degni di questo nome, che si chiamano Judi Dench, Ralph Fiennes, Albert Finney e il già citato Bardem. Ma Mendes non è solo questo. Il rosso delle bandiere britanniche posate sulle bare in una sala vuota, altra sequenza da brivido di Skyfall, ci riporta a quel rosso - amore e morte - delle rose di American Beauty. E ci ricorda come Mendes sia oggi soprattutto un grande regista di cinema. Mai prima d'ora un film di Bond aveva avuto inquadrature così studiate e una fotografia così curata (è di Roger Deakins, quello dei fratelli Coen). Proprio come quando immergeva Mena Suvari in un bagno di petali di rosa, Mendes si dimostra un maestro nell'astrazione, nel prendere i suoi personaggi e isolarli in ambienti vuoti e metafisici fino a renderli assoluti. Si veda la scena nella notte di Shanghai, neon, vetri e acciaio, o il sottofinale in Scozia, sfida da western in un campo desolato tra un lago di ghiaccio e un cielo di fuoco. Viene dall'ombra, come il suo rivale, Bond. E una delle sue ombre arriva dalla sua famiglia.

E anche in questo senso Skyfall può essere visto come l'ultimo tassello dell'opera di Mendes. Quasi tutti i suoi personaggi convivono con delle ombre, dal Kevin Spacey di American Beauty, al Tom Hanks di Era mio padre fino al Di Caprio di Revolutionary Road. Se ci pensiamo, sono tutti drammi che si consumano all'interno di una famiglia: quella disagiata nascosta dietro alle rose perfette di American Beauty come quella solo apparentemente perfetta nelle villette di periferia di Revolutionary Road. Fa eccezione la coppia di American Life, felice ma circondata a sua volta da famiglie disfunzionali. E, in fondo, è una famiglia anche il corpo dei marines di Jarhead. Una famiglia dalla quale non si può scappare. Così come è una famiglia l'MI6. E, come tutti i personaggi di Mendes, anche James Bond qui fa i conti con la sua famiglia: quella vera - i genitori persi da bambino, ferita ancora aperta - e quella putativa, i servizi segreti: il rapporto con M, madre ideale, è di amore e odio. "Ha a che fare con la morte?", chiede Bond al suo rivale Silva. In tutti i film di Mendes c’è un alone di morte che incombe sulla storia dall'inizio alla fine (Spacey che racconta la sua storia da morto, Hanks che ha la vita segnata da una sentenza, i marines che partono per la guerra, che della morte è chiaramente sinonimo, il tragico destino che aspetta Kate Winslet in Revolutionary Road). Inizia con una morte, quella di Bond, Skyfall (ma, lo sappiamo, la morte può attendere), e si conclude con un'altro, tragico decesso. Il Bond di Mendes vive e lascia morire. E ci lascia assaporare un grandissimo film.

Titolo originale: Skyfall; Regia: Sam Mendes; Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade, John Logan; Fotografia: Roger Deakins; Montaggio: Stuart Baird; Scenografia: Dennis Gassner; Costumi: Jany Temime; Musiche: Thomas Newman; Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer, Danjaq, Eon Productions, Sphere Studios; Distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia; Durata: 143 min.; Origine: UK/USA, 2012

 


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