2001: Odissea nello spazio. Genesi del cinema contemporaneo - Stanley Kubrick PDF 
di Andrea Fontana   

Negli occhi del feto gigante, che conclude il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001: Odissea nello spazio, continuo a vederci un riflesso. A volte sembra lontano, parzialmente suggerito. Ad ogni visione mi convinco che sia vero. È il riflesso di una visione che per un attimo è divenuta realtà, rendendo concreto l'utopia dell'Astratto in una materialità insolita per l'immagine.

Nel 1968 usciva 2001: Odissea nello spazio, un film destinato a lasciare una traccia indelebile e fondamentale nella storia del cinema. L'anno dopo l'uomo sbarcava sulla luna, ma non sembrava la prima volta. 2001 è un film di fantascienza, perché si svolge nel futuro (del 1968), dove astronavi ipergalattiche solcano l'abisso dell'universo. Ma è anche un film di fantascienza per almeno altri due motivi. Il primo riguarda l'anticipazione dell'evento storico sopraccitato. Il secondo riguarda l'anticipazione del cinema contemporaneo, essenzialmente costola del film kubrickiano per eccellenza. 2001 ha posto le basi per il cinema d'oggi, non solo quelle genuinamente strutturali (gli effetti speciali dominano l'attuale produzione cinematografica), ma anche quelle concettuali. In effetti, 2001 si presenta come un solco, nella storia del cinema e nella filmografia del suo regista. È il film della svolta, che coincide con la sintesi delle vecchie e nuove tematiche che più hanno ossessionato Stanley Kubrick.

La vicenda di 2001 inizia e finisce nella profondità della Storia. L'incipit vede scimmie antropomorfe, nostri padri, comportarsi da animali (perché lo sono!), urlando senza motivo, privi di raziocinio. È l'apparire di un misterioso monolito che cambia il corso della loro (e nostra) storia. La mano della scimmia che, timorosa, tocca l'oggetto apparso improvvisamente, ricorda in tutto e per tutto Michelangelo e il suo Adamo, che tende verso l'infinito, Dio. Il nero del monolito si staglia sopra tutto e tutti, mentre il sole sorge dalle sue spalle, ad indicare una nuova alba, quella dell'uomo. Tempo dopo la scimmia capirà come far valere la propria superiorità, con la violenza, la morte: è nato l'uomo.

La scimmia che uccide con un osso una sua simile, è l'anticipazione di Arancia meccanica, e di tutto quel discorso sulla vera natura dell'essere umano. Poi in un gesto di rabbia e di sfogo per il nuovo dono, la scimmia getta l'osso in aria, stacco, un'astronave volteggia nel vuoto spaziale. In quello stacco vive la sostanza del cinema, della Storia, delle occasioni, come direbbe Montale. In quello stacco s'intravedono gli occhi spiritati di Jack Nicholson in Shining, il mesto canto finale di Full Metal Jacket, il sorriso consapevole di Malcom McDowell in Arancia Meccanica, la luce fioca delle candele illuministe, che risplendono sul volto del figlio di Barry Lyndon, lo sguardo nello specchio di Nicole Kidman in Eyes Wide Shut, ma anche la beffarda risata del Maggiore "King" Kong in Dottor Stranamore, o il turbinio volante dei dollari perduti in Rapina a mano armata. Dopo quello stacco ci troviamo catapultati in un futuro lontano e sconosciuto, dove regna solo la musica ed il ballo delle Stazioni orbitanti. In questo luogo di incertezze e di speranze, l'uomo chiamato Heywood Floyd, figlio della scimmia assassina, si dirige verso la luna, per indagare sull'apparizione di un monolito nero, apparso appunto sulla superficie lunare. Della situazione iniziale rimane il protagonista (l'uomo-scimmia) e la battuta di una bimba, figlia del dottor Floyd, la quale desidera una scimmiotta come regalo di compleanno. Nel frattempo ci si chiede cosa potrebbe essere l'oggetto comparso così misteriosamente. Senza poter dimostrare nulla, l'uomo scimmia si limita a scattare fotografie, come per sottolineare la propria stupidità. Il monolito lo punirà, con un ultrasuono, urlo iroso, eppur controllato, di Dio.

L'azione si sposta nuovamente, sia in senso spaziale sia temporale. Ora siamo a bordo del Discovery, diretto verso Giove. L'astronave è completamente gestita dall'elaboratore HAL 9000, un computer talmente sofisticato da considerarsi un vero e proprio essere vivente. Ma ci sono anche umani in carne ed ossa, come David Bowman o Frank Poole, mentre il resto dell'equipaggio è in ipersonno. Tutto procede alla perfezione fino a quando HAL non rileva un errore nel funzionamento del Discovery, che in seguito si rivelerà operare perfettamente. HAL non accetterà di aver sbagliato ed ucciderà Poole, e, come assetato di sangue, tenterà l'omicidio di Bowman che fortunatamente si salverà e cesserà ogni attività di HAL.

HAL ha tutte le caratteristiche umane: invidia, paura, rabbia, violenza innata. E' con il gesto estremo dell'omicidio che HAL conferma e sancisce la sua natura umana, esattamente come la scimmia antropomorfa conquista tale umanità con il barbaro assassinio di una sua simile. A sua volta Bowman ucciderà HAL, come in un circolo vizioso senza fine, in cui la violenza e la forzata cessazione di ogni funzione vitale altrui fosse una necessità impellente. La morte di HAL assume i connotati di qualcosa di straziante, mentre Bowman lo "assassina", HAL parla, chiede perdono, infine, resosi conto dell'inevitabilità della situazione contingente, canta. Canta "girotondo", come a dimostrare che HAL era un bambino, che ha commesso una bravata infantile, poiché ancora non percepisce la differenza tra il Bene ed il Male.

Ed eccoci dunque alla conclusione del film e del viaggio. Bowman esce dal Discovery con una capsula, per inseguire il tanto misterioso monolito, che fluttua nel vuoto gelido dello spazio. Da quel momento inizierà un viaggio che diverrà eterno, metafisico e metaforico, assoluto. Mentre supera terre e luoghi inesplorati, Bowman spalanca gli occhi, perché nell'occhio risiede il mistero più grande: la visione. E noi sgraniamo gli occhi con lui, perché ci stupiamo, emozioniamo e vergogniamo della nostra infinita piccolezza. La capsula sfreccia nell'universo, lasciando dietro di sé una scia, sembra uno spermatozoo, che corre ad ingravidare l'ovulo-nebulosa, da cui sarà partorito il Nuovo, il cinema contemporaneo. Quando il "viaggio allucinante" si conclude, Bowman si ritrova in una stanza arredata secondo il gusto settecentesco, in qualche modo prefigurazione delle stanze di Barry Lyndon. Bowman si vede invecchiare ad una velocità impressionante, con una serie di stacchi e suggerimenti fuori campo tanto spettacolari quanto geniali.

Infine, ci appare Bowman sdraiato a letto, morente. Alza la mano in un ultimo gesto vitale, la tende verso qualcosa davanti a sé, fuori campo. È il monolito che si staglia in tutta la sua grandezza e magnificenza, pur privo d'occhi osserva il povero uomo morente. Traspare compassione da quest'oggetto completamente nero, di un nero abissale. Con uno zoom ci immergiamo in questo nero, stacco, un enorme feto riempie lo schermo con la sua figura, gli occhi fissano un pianeta, lo fanno con dolcezza. È giunto il momento di una nuova tappa dell'evoluzione, di un nuovo essere, che racchiude in sé non solo significati antropologici, ma anche metafisici, filosofici.

In quegli occhi finali, in quello sguardo indifferente eppure così colmo di leggerezza, vedo la morte, vedo la vita, vedo l'emozione di ogni visione, qualsiasi visione, non solo cinematografica, vedo il futuro, il passato, l'odio, l'amore, vedo un osso volare, e una voce metallica spegnersi lentamente.

In quello sguardo finale, vedo i miei occhi piangenti.

 


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