E ora parliamo di un film quasi alieno, disturbante, che racconta senza sconti il rapporto di odio (che nasconde un reciproco e malatissimo amore) tra una donna priva d’istinto materno e un figlio difficile. Eva è una madre che non riesce a esprimere e a sviscerare l’affetto verso Kevin, un bambino capriccioso, intelligentissimo, furbo e cattivo. Se la cattiveria sia la causa o la conseguenza di una mamma “sbagliata” è il dilemma del film, irrisolvibile come quello dell’uovo e della gallina. Il conflitto nasce lieve e impercettibile nella pancia, durante la gravidanza, e cresce giorno dopo giorno, dalle fasce all’adolescenza di Kevin, fino a esplodere nel modo più violento che si possa immaginare. … E ora parliamo di Kevin non parla di Kevin, ma ruota totalmente intorno alla madre, all’idea che Eva cerca (invano) di farsi di suo figlio e alla mancanza di comunicazione non solo con lui, ma anche con il marito. È con quest’ultimo che Eva vorrebbe parlare di Kevin, ma i tentativi falliscono ogni volta.
La storia parte in un presente onirico in cui Eva si ritrova in mezzo alla folla, inzuppata dal rosso di tonnellate di salsa di pomodoro e tenuta in alto da decine di mani, come crocefissa. Il presente reale somiglia tristemente all’incubo: Eva si risveglia su un divano in una casa brutta, sporca e trascurata, e, quando esce, trova i muri imbrattati di vernice rossa, ennesimo dispetto della gente che non la perdona per aver generato e (mal)educato un figlio assassino. I flash sul passato svelano lentamente e dolorosamente la vicenda, ricostruendo i tasselli che hanno portato Eva a vivere una quotidianità drammatica, condannata a interrogarsi sulle proprie responsabilità, annientata dalla solitudine e dalle persone che la odiano, spinta ad andare avanti e a non mollare solo per ritrovarsi davanti ai colloqui periodici con il figlio in carcere, silenziosi, disperati e irrisolti. La fisicità algida e puntuta di Tilda Swinton dà vita a un personaggio davvero complesso, di fronte al quale si è sempre in bilico tra l’accusa e la comprensione. Eva è in fondo, a modo suo, una madre mediocre come ce ne sono tante, che si ritrova di fronte un figlio ingestibile, fuori da ogni norma e controllo, in una spirale di causa-effetto che una volta innescata è impossibile da interrompere. Muto e aggressivo nella prima infanzia, provocatorio e falso col passare degli anni, Kevin diventa con l’adolescenza un abilissimo e perfido manipolatore. Sullo sfondo c’è un padre che appare buono, affettuoso e accomodante (e che viene ricambiato con la stessa moneta da Kevin, in una recita ben riuscita), ma che in realtà è ottuso e sordo ai continui campanelli d’allarme lanciati dalla moglie. L’arrivo di una sorellina, concepita con la speranza di cambiare in meglio la situazione, ma anche come dispetto perverso di una madre verso l'odiato figlio, manda definitivamente in corto circuito la situazione. La stupida ingenuità del padre si manifesta anche nel fatale regalo per il compleanno di Kevin: l’arco e le frecce che in mano al ragazzo si trasformeranno nell’arma che, tra gli altri, ucciderà anche lui.
Alla regista Lynne Ramsay si perdonano sia le facili, ma comunque visivamente riuscite insistenze cromatiche - sul rosso in tutte le salse è il caso di dirlo (dal pomodoro, alla marmellata, alla vernice) -, che aggiungono venature horror a una storia che non avrebbe avuto bisogno di tale accentuazione, sia l’eccesso di meschinità con cui vengono dipinte le persone che circondano Eva, con un risultato che sfiora il bozzetto. Come se non fosse sufficiente la sua espiazione personale, la donna viene insultata, derisa, offesa e molestata da chiunque le capiti di fronte, in quanto genitrice di un figlio colpevole (in un rovesciamento del motto biblico per cui sui figli ricadono le colpe dei padri). Spogliato il film da questi incidenti di percorso, rimane la potenza nuda e cruda di una storia difficile e poco raccontata dal cinema. E di cui, forse, era ora di parlare.
Titolo originale: We Need to Talk About Kevin; Regia: Lynne Ramsay; Sceneggiatura: Rory Kinnear, Lynne Ramsay; Fotografia: Seamus McGarvey; Montaggio: Joe Bini; Scenografia: Judy Becker; Costumi: Catherine George; Musiche: Jonny Greenwood; Produzione: BBC Films, UK Film Council, Footprint Investment Fund, Piccadilly Pictures, Lipsync Productions, Independent, Artina Films, Rockinghorse Films, Atlantic Swiss Productions; Distribuzione: Bolero Film; Durata: 112 min.; Origine: Gran Bretagna/USA, 2011
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