Il cinema di David Cronenberg PDF 
di Lorenzo De Nicola   

David Cronenberg appartiene a quell'esiguo numero di registi che per una ragione o per l'altra sono riusciti a costruire intorno a sé un alone mitico, quasi misterioso, dai quali ci si aspetta di tutto e che contemporaneamente ci spiazzano riproponendo con coerenza le proprie tematiche, sebbene inserite nei contesti più disparati.

E' proprio la coerenza una delle caratteristiche basilari che muovono l'opera del regista canadese. Dedito ad un genere difficile, da molti ritenuto addirittura ripugnante, è riuscito ad emergere da una realtà angusta, qual è quella canadese, e ad imporsi come uno dei cineasti più ambigui, "pericolosi" e oscuri del panorama cinematografico mondiale. La sua poetica cristallina si può riscontrare nell'incipit di Brood - la covata malefica (1979): Così come il dr Hal Ragan (Oliver Reed) "mette in scena" la guarigione di un proprio paziente attraverso un processo psicoanalitico (fin troppo semplificato), sotto gli occhi di un pubblico attento, allo stesso modo si comporta Cronemberg con i suoi pazienti-personaggi. Il suo scopo è proprio quello di scavare dentro il "materiale umano" che di volta in volta propone, al fine di scoprire quali sono quei meccanismi misteriosi che lo fanno essere così perverso, che gli fanno partorire quella prole di pensieri e azioni turpi.

Se i bambini assassini sono l'esplicita metafora di tali manifestazioni, l'escremento-fallico che si impossessa degli abitanti dell'Arca di Noè ne Il demone sotto la pelle (1975) o il pungiglione infetto di Rabid (1976), possono essere considerati i degni precursori.

Da ciò deriva un interesse immediato per l'uomo nella sua completezza; il corpo e la mente, e di conseguenza la sessualità e la psiche, sono al centro di uno studio minuzioso che costituisce l'argomento centrale della sua produzione. Il pensiero razionale è messo sotto accusa dal regista, sia per la sua inspiegabile instabilità, sia per gli effetti dannosi che quasi sempre ne scaturiscono: l'ostinazione scientifica di Seth Brundle (Jeff Goldblum) ne La mosca (1986), e il mondo visionario creato dal protagonista de Il pasto nudo (1991) sono solo due esempi - significativi per la loro opposizione - di questo atteggiamento.

Per Cronemberg non c'è niente di razionalmente certo e spiegabile; ogni riferimento logico che dovrebbe garantirci un saldo legame alla realtà materiale viene messo in discussione, dimostrando così l'indiscutibile fragilità della nostra esistenza. Non c'è differenza tra la dimensione che noi giudichiamo "vera" e il microcosmo generato dal nostro pensiero, ma al contrario balza agli occhi il profondo distacco tra il vivere quotidiano e quello del nostro inconscio.

Quest'ultimo sempre relegato nell'angolo più oscuro dell'ego nasconde volontà frustrate, sentimenti inespressi, desideri inappagati; e tra questi il regista è consapevole di quali forze esercitano il sesso e la sessualità sull'individuo. Non è un caso infatti che i sintomi dei morbi che si impossessano dei personaggi dei suoi primi lungometraggi siano proprio incredibili esplosioni e sfoghi sessuali (Stereo, Crimes of future, Il demone sotto al pelle, Rabid).

E se da una parte questa insistenza può essere confusa per una semplice caratteristica del b-movie, al quale inevitabilmente queste pellicole appartengono, dall'altra è consolidata dal riproporsi anche nei film successivi con una regolarità che non lascia dubbi sull'intenzione del regista di sviscerare fino in fondo l'argomento, e che trova il suo apice in Crash (1996). Qui il sesso e la sua ricerca affannosa rappresentano una boa, un'ultima speranza, in quel mare di cemento e solitudine che circonda i personaggi.

Uno spingersi sempre oltre i limiti convenzionali della quotidianità fino a giungere all'esperienza estrema e sublime dell'amore legato alla morte; a quel confondersi tra eros e tanathos che così frequentemente si ripropone nel pensiero collettivo di questa ultima decade di secolo.

Quindi da una dimensione prettamente mentale, che può arrivare addirittura ad uccidere come in Scanners (1980), si passa alla materialità del corpo sulla quale indubbiamente agisce. Anche in questo caso Cronemberg abbraccia una tesi scettica e pessimista. Infatti nelle sue opere il corpo subisce spesso delle mutazioni e dei cambiamenti che lo fanno diventare qualcosa d'altro. Una carnalità che ostenta i suoi profondi limiti, per il superamento dei quali l'uomo è sempre al lavoro.

Molti sono i ricercatori che per ovviare a queste debolezze, finiscono con innescare delle spaventose reazioni a catena che hanno come conclusione ultima l'annientamento dell'uomo stesso.

Un discorso che si amplia e assume le più svariate sfumature come in Inseparabili (1988) dove l'utero femminile diventa un mondo da sondare e sperimentare sotto le insegne della conoscenza; o ancora in Crash, nel quale viene gelidamente analizzata l'influenza deformante sul corpo umano da parte della manifestazione più esplicita del progresso: la macchina (volontariamente utilizzo in maniera scorretta questo termine per attribuirgli un significato più vasto!). Ingranaggi, acciaio, velocità assumono la funzione di protesi alle quali anela l'individuo imperfetto per fuggire la propria imperfezione , e di meccanismi autodistruttivi che si ritorcono sul loro ideatore. E' un darvinismo post-moderno quello indicato dal regista al quale però impone una fine incerta e senza speranza.

Un'evoluzione dell'uomo direttamente proporzionale allo svilupparsi di un progresso tecnologico che tende a inglobarlo, e che non può non investire, con tutte le conseguenze che ne derivano, anche il mondo della visione (ultima espressione della modernità post-industriale).

Un problema quest'ultimo affrontato sia in Scanners dove - come giustamente sottolinea Michele Marangi - c'è un chiaro "invito a superare il livello della visione fisica, per penetrare in quella metafisica" (Garage n°10, pag. 102); sia in Videodrome (1982) dove in maniera quasi profetica e simbolica, l'immagine si fa portatrice di un nuovo modo di vedere, la chiave per spalancare la porta su uno spazio immaginativo, onirico e condizionante dal quale diventa difficile uscire. Un'immagine quindi pericolosa e aggressiva, soprattutto se fuoriesce ininterrottamente dalla fonte televisiva, che si "innesta" nello spettatore inconsapevole fino a trasformarlo in un riproduttore facilmente controllabile. E' questo un discorso che mette in gioco diverse tematiche, senza escludere intuizioni su fenomeni che si presenteranno ampiamente qualche anno più tardi - come quello della realtà virtuale che è difficile non riconoscere quando Max Renn (James Wood) indossa il casco per catturare le sue allucinazioni (e infatti proprio quest'anno Cronemberg s'è confrontato con il significato di questo nuovo mezzo nel suo ultimo film EXistenZ) - e che cela al proprio interno un'ambiguità profonda. Infatti il mondo surreale nel quale il protagonista si proietta dopo aver subito le immagini di Videodrome, si può anche interpretare come le visioni di una personalità disturbata da forme di schizofrenia.

Quest'ultima è infatti un'altra costante del cinema del regista: fa parte di quel processo investigativo rivolto a sondare l'uomo dal suo interno e che trova il suo sfogo in pellicole come La zona morta (1983), Inseparabili (i gemelli Mantle sono interpretati ambedue da Jeremy Irons), Il pasto nudo, M.Butterfly (1993). Una malattia mentale quindi che nuovamente evidenzia la debolezza umana da sempre smascherata dal regista.

Al pensiero neo-illuminista di fine secolo oppone un uomo inconsapevolmente in balia degli agenti che muovono il mondo da lui stesso generato e alimentato. Un uomo alla merce' delle proprie pulsioni, alla ricerca dell'antidoto contro la propria decadenza fisica, in un'illusione di onnipotenza dovuta alla tangibile assenza di Dio.

Nei suoi film infatti si può sempre riscontrare una lotta tra bene e male, anche se spesso gli stessi contendenti si confondono, che non fa mai riferimento ad un a divinità precisa.

Anzi, provocatoriamente, Cronenberg arriva da ipotizzare una nuova Chiesa Catodica dove i disperati possono trovare sia un luogo di ricovero, sia un luogo dove riconoscersi come individui all'interno dell'indistinta e gigantesca comunità audiovisiva.

E di nuovo torna l'idea di una immagine-verbo che regola e trasmette nuove leggi ad un mondo ad essa sottomessa. Come si può ben comprendere il cinema del regista canadese nasconde sotto le fittizie vesti di una semplicità narrativa, tematiche forti e ricorrenti; una filmografia sempre in evoluzione che ha preso le mosse dal genere horror e splatter per approdare a qualcosa di diverso, ad un universo polivalente e inquietante.

L'aggressione esercitata nei confronti dello spettatore attraverso effetti speciali terrificanti, indubbiamente piegati più ad una volontà descrittiva che a quella di stupire, è una caratteristica ricorrente ma di cui non abusa; un modo per disturbare, con lo scopo di far penetrare più a fondo il proprio pensiero; una consapevolezza di poter utilizzare tutti i codici messi a disposizione dal cinema per dare vita a mondi immaginari.

Tutto questo concorre alla creazione di quelle dimensioni dominate da una palese confusione spazio temporale, dai risvolti allucinatori, deliranti e in parte terrorizzanti, che segnano in maniera indelebile le sue opere nelle quali si riconosce uno stile unico e personale, dalla fecondità stupefacente.

 

 


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