Speciale NUOVO CINEMA GIAPPONESE - L’universo esploso di Kurosawa Kiyoshi [ai margini dell’universo] PDF 
di Cinzia Chiarion   

In diverse interviste il regista del recentissimo Circuit [Kairo, 2001] ha dichiarato che i suoi film hanno un finale ottimistico. Ad un primo sguardo, però, le sue storie sembrano avere un tono apocalittico o, meglio, di fine di un mondo antropocentrico. Può essere interessante in tal senso confrontare l'esordio e il finale di alcuni suoi film più recenti: Cure [1997], Charisma [1999] e License to live [Ningen Gokaku, 1999].

La perdita di centralità dei personaggi nello spazio e nella storia è tematizzata già nei tre incipit: una scena in CM, in interni disadorni e asettici che lasciano scivolare il nostro sguardo verso lo sfondo, dove troviamo i personaggi. I rispettivi finali, poi, colpiscono per l'assenza di corpi: un campo vuoto, in esterno, riempito dalle voci e dai rumori off del traffico che sottolineano l'altrove della presenza umana; un CLL, in esterno, con Yabuike che da un PP si allontana scomparendo dietro una collina, lasciandoci ancora per qualche secondo a osservare la città in fiamme sullo sfondo; il dettaglio sui grattacieli di New York stampati su una cartolina. La città, tradizionale luogo di intrecci e legami umani, diventa il simbolo di uno spazio disumanizzato che costringe noi semplici spettatori ad un viaggio all'interno di noi stessi, nel tentativo di ritrovare certezze e valori che all'improvviso sembrano essersi volatilizzati, lasciando dietro di sé [e dentro di noi] un vuoto, che Kurosawa investe del ruolo di personaggio: Mamiya, Charisma, Yutaka, marionette che non appartengono a nessun luogo e a nessun tempo, presenze aliene che attraggono e ci risucchiano ai margini. E proprio questo senso di marginalità sembra una costante del suo stile.

Marginalità come limite, tra la luce e l'oscurità [la penombra che spesso avvolge gli interni], l'in e l'off [Takabe dentro la sua auto percepibile solo dal braccio che spunta dal finestrino aperto e dalla sua voce che parla al telefono, in Cure; l'assenza di porte e finestre degli edifici abitati dai contrapposti gruppi nella foresta, in Charisma], e che contribuisce a creare quel senso di indefinito spaziale che giustifica le domande più volte sentite nei suoi film: «Dove sono?», «Dove sei finito?».

Significativa quindi la presenza di spazi desertici, asettici, investiti di una funzione connotativa ed emotiva, che riempiono lo schermo annullando ogni tentativo di orientamento del nostro occhio. La prevalenza di Campi lunghi che tolgono centralità al personaggio, sempre più relegato ai margini dell'inquadratura con il pericolo continuo di uscirne, incapace di riconquistare il centro quando si scopre «altro-da-sé» [come il maestro di Cure che, raggiunto il centro della sua stanza d'ospedale, resosi conto, alle domande di Takabe, di aver ucciso la moglie senza motivo, è rigettato ai margini della stanza e dell'inquadratura, con la mdp impassibile nella sua posizione iniziale]. La posizione della mdp, in interni, rispetto agli astanti e alla scena è defilata, ferma sul margine delle porte che dividono i personaggi - e/o che la dividono dai personaggi -, al punto che se accenna ad avvicinarsi a qualunque individuo del racconto questi le si allontana immediatamente.

 

Ma la mdp di Kurosawa può defilarsi talmente da risultare addirittura all'esterno, come in License to live nelle brevi scene che raccontano dell'avvenuta ricostituzione familiare: la mdp riprende la cena della famiglia Yoshii dall'esterno dell'inferriata della finestra, cosicché la sensazione che crea, di reclusione, di marginalizzazione, stride con il felice quadretto familiare. I carrelli laterali che, rinunciando ad esplorare la profondità dello spazio, sottolineano una volta di più il contrasto tra l'apparenza della realtà e l'emergere di una componente irrazionale, resa attraverso il trattamento della banda sonora, tramite voci e rumori, i soli in grado di attraversare lo spazio e rammentarci l'imperfezione della visione, come nel caso del lungo carrello in avanti verso la cella di Mamiya, in Cure, che sembra marcare il passo di qualcuno, salvo poi accorgerci che al posto della mdp non c'è alcuna presenza visibile, suscitando così l'inquietudine per l'avanzare di qualcosa percepibile solamente attraverso un rumore ritmico, che si diffonde per tutto lo spazio circostante e anima gli oggetti.

Marginalità come spazio dell'incertezza che avanza e rende vano ogni tentativo di difesa di legami familiari, sociali: le ultime battute di Cure incutono il sospetto che Takabe abbia ucciso la moglie. La lotta attorno a Charisma si conclude con la dissoluzione dei diversi gruppi e il [dis]perdersi dei superstiti nella foresta. Infine, Yutaka dovrà rinunciare a ricostituire il proprio nucleo familiare, e verrà travolto da un mucchio di oggetti vecchi, abbandonati nel cortile: immagine emblematica di un'espansione entropica dello spazio e dell'inesorabile perdita di centralità della presenza umana dentro e fuori lo schermo.

 


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