Paul Haggis è conosciuto principalmente per il suo lavoro di sceneggiatore e per aver raccontato, attraverso i suoi lavori, l’identità americana e lo spirito nazionalista che ne consegue, al di là degli stereotipi dogmatici o dei percorsi “politicamente corretti” tipici di certa cinematografia mainstream. E così, ripercorrendo le sue opere, scopriamo che Haggis ha affrontato le diverse sovrastrutture dell’America in termini contradditori e fuorvianti: il sogno americano di ascesa, successo e ricchezza illimitata con Million Dollar Baby, l’epopea patriottica contro “l’Impero del Male” (Flag of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima), oppure la miscellanea di etnie di un America geneticamente fondata sull’unione di più popoli e la tolleranza che ne dovrebbe scaturire (Crash - Contatto fisico). Ideologicamente Nella valle di Elah si ricollega proprio alla coppia di film di Clint Eastwood, lavori che segnano la svolta più importante, almeno sotto il profilo di genere (il film di guerra), raccontando la menzogna della guerra, la depravazione morale dei governi e la sopraffazione dell’individuo, che unisce, dalla stessa parte della barricata, il “buon americano” e il “cattivo” (i giapponesi, nel caso di Lettere da Iwo Jima). Il film, citando la Bibbia sin dal titolo - nella valle di Elah infatti, Davide, armato di una fionda, fu mandato dal suo re Saul a combattere il gigante Golia e lo vinse - è l’analisi dettagliata della scomparsa di un giovane soldato appena tornato dall’Iraq, del successivo ritrovamento del corpo massacrato e bruciato senza un’apparente ragione, e della lotta di un padre (Tommy Lee Jones), amante della sua patria ed ex poliziotto militare, che, aiutato da un’ispettrice di polizia dalla complicata vita personale (Charlize Theron), vuole capire perché tutto questo è accaduto. La soluzione dell’enigma pare inevitabile, quasi scontata: ad uccidere il soldato è stato il suo contingente, i commilitoni che erano quella sera con lui. L’esercito vuole insabbiare, la polizia se ne lava le mani, i filmati trovati nel cellulare del ragazzo suggeriscono che un tragico errore, motivo della ritorsione, sia avvenuto laggiù in Iraq… La pellicola segue il plot classico del thriller - le ricerche dell’assassino e dei suoi moventi -, ma queste sono solo coordinate narrative per percorrere un viaggio all’interno di una società che spesso viene dipinta con falsi ideali di giustizia ed equità (la stessa guerra in Iraq è stata definita da Bush “Guerra di Prevenzione”, inseguendo anodini propositi di pace). L’impatto politico-civile di quest’opera è più forte di qualunque documentario o inchiesta giornalistica. Il proposito di Haggis è quello di porsi delle domande sul conflitto e soprattutto sulle conseguenze che la guerra porta alle donne e agli uomini che l’hanno combattuta, certo che la potenza evocatrice di queste vicende umane valga mille volte di più di semplicistiche denuncie di circostanza. Pensiamo solo a chi in Iraq ci è andato davvero, o ai parenti dei veterani, perché tutto ciò che l’informazione non mostra, o non vuole mostrare, vive più forte in chi ha sfiorato la morte o in chi ha visto compiere queste atrocità, violenze che per Haggis accomunano tutti, sia le vittime che i carnefici. Non a caso il presunto assassino è un soldato di origini messicane, terra da cui parte la stragrande manovalanza dell’esercito americano e, sempre non a caso, i soldati-ragazzi, tornati a casa, mostrano quanto la guerra li abbia trasformati, amplificando i loro istinti più bestiali, usurando ogni coscienza morale, facendoli scivolare nel consumo di droga (eroina, anfetamine, cristalli), innalzando i codici militari ad unica etica possibile. Depositari di questa sofferenza sembrano essere ancor di più i parenti dei soldati, e così Haggis crea, nella figura del padre, un personaggio brusco e combattivo che Tommy Lee Jones esprime intensamente spazzando via tutte le altre figure del film. La provincia americana è uno sfondo inequivocabilmente atroce e polveroso, in cui sembra prosciugarsi il grande sogno americano. Un film in cui l’intensità drammaturgica della composizione classica porta lo spettatore ad interrogarsi senza trovare risposte efficaci, ma solo dubbi sulla legalità dell’agire umano e su buona parte dell’identità americana più integralista. TITOLO ORIGINALE: In the Valley of Elah; REGIA: Paul Haggis; SCENEGGIATURA: Paul Haggis; FOTOGRAFIA: Roger Deakins; MONTAGGIO: Jo Francis; MUSICA: Mark Isham; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 121min.
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