Amanti criminali PDF 
Marianna Marino   

Amanti criminali è il “secondo esordio” al lungometraggio di François Ozon, dopo il grottesco Sitcom (1998). Rispetto a questa pellicola parodica, rutilante e, soprattutto, “corale”, Amanti criminali instaura nella filmografia del regista la costante della coppia di personaggi e della gerarchia che essa implica (ovvero, del rapporto schiavo/padrone), pur nel contesto abbastanza anomalo di una fiaba andata di traverso che si incrocia, nella prima parte, con una sorta di Natural Born Killers franco-provinciale. Oltre ad essere molto diversa, quest’opera sembra anche molto impacciata rispetto ad altri titoli di Ozon: pare infatti quasi incredibile che subito dopo riesca a realizzare due opere così distanti come Gocce d’acqua su pietre roventi e Sotto la sabbia. L’impaccio qui deriva spesso dalla cura eccessiva dedicata all’immagine, costruita all’insegna della simmetria (si veda la scena clou nelle docce della palestra) e dell’estetizzante (la presenza insistita di specchi).

La strana situazione di “secondo esordio” riguarda sia l’autore che gli attori. Jérémie Rénier, tre anni dopo La Promesse dei fratelli Dardenne, si ritrova in un ruolo molto diverso, incastrato in un rapporto molto più anomalo e peculiare con il male che, tuttavia, anche stavolta, fa i conti con la sua “banalità”. Dalla provincia industriale belga a quella scolastica francese, cambia in ogni caso il valore di necessità che esso possiede. Se nel film dei Dardenne il male scaturiva da questioni di sopravvivenza e cura della famiglia (seppur in un’ottica alquanto distorta), nell’opera di Ozon il personaggio di Luc è trascinato al delitto in modo subdolo dalla sua ragazza, Alice (interpretata da Natasha Régnier, che purtroppo smentisce in questo film l’intensità e il rigore dimostrati nell’appena precedente La vi$e rêvée des anges di Erick Zonca). Per lei l’omicidio è al contempo un diversivo e una suggestione letteraria dovuta alla lettura in classe di un frammento de Une saison en enfer, di Rimbaud:

J’ai avalé une fameuse gorgée de poison. – Trois fois béni soit le conseil qui m’est arrivé! – Les entrailles me brûlent. La violence du venin tord mes membres, me rend difforme, me terrasse. Je meurs de soif, j’étouffe, je ne puis crier. C’est l’enfer, l’éternelle peine! Voyez comme le feu se relève! Je brûle comme il faut. Va, démon! [...] Je me crois en enfer, donc j’y suis. C’est l’exécution du catéchisme. Je suis esclave de mon baptême. Parents, vous avez fait mon malheur et vous avez fait le vôtre. Pauvre innocent! – L’enfer ne peut attaquer les païens. – C’est la vie encore! Plus tard, les délices de la damnation seront plus profondes. Un crime, vite, que je tombe au néant, de par la loi humaine.
(da Nuit de l’enfer)

Il desiderio di annichilimento di Alice richiede anch’esso un crimine da realizzare immediatamente, ma non possiede la stessa disperata consapevolezza che trasuda dalla scrittura del poeta. Gli amanti sono allora condannati a passare da un inferno all’altro. Dalla periferia al bosco, in un radicale cambio di luci e atmosfere che coincide con il loro processo di trasformazione (da liceali a sicari in fuga). L’inconsapevolezza di Luc è in ogni caso molto più esplicita rispetto a quella della compagna: essa infatti è già annunciata nell’incipit del film, durante il gioco sessuale che mostra lui bendato e legato a una sedia, mentre Alice lo stuzzica comunicandogli i suoi gesti di svestizione. Tuttavia, alla fine, è proprio lui che ci rivolge insistentemente il suo sguardo, non tanto per chiamarci in causa quanto per esibire i suoi occhi finalmente aperti e spalancati dal suo durissimo e molteplice rituale di iniziazione al male. Male che si serve spesso degli animali per manifestarsi simbolicamente: impagliati, intrappolati, ammazzati, mangiati, e finalmente vivi (ma come in un cartoon della Disney) ad assistere all’amore dei due ragazzi, conclusione apparentemente edenica in cui il peccato si reintegra alla natura rispecchiandosi negli occhi del carosello di animali che presenziano al coito. Falsa conclusione, che apre la scena a ben altro finale. Lo strano momento di sesso arcadico si risolve così in parodia, quasi come una rivincita dell’animale sull’essere umano.

Il personaggio di Alice si pone poi in netto contrasto con l’aspetto evocativo del suo stesso nome: la giovane si rivela infatti una strega incantatrice, e questo aspetto, insieme all’analoga ambientazione, richiama curiosamente alla mente (e in anticipo) il recente Antichrist di Lars von Trier, grazie anche alla breve incursione onirica della ragazza, forse un po’ fuori luogo in quanto esplicitazione superflua di perversioni sadiche a dir poco indiscutibili (Régnier indossa perennemente le vesti della lolita diabolica e isterica). Le stesse suggestioni letterarie vengono disattese per i conigli che puntellano vari momenti della storia: rischiano la testa, come il bianco personaggio di Carroll, ma si rivelano emblemi mortiferi ben più perturbanti. Un coniglio morente nel bosco comparirà anche più tardi, in Le temps qui reste (2005), a segnare un ricordo infantile del moribondo fotografo Romain. Il bosco vale forse per Ozon come luogo topico dell’emotivo, del sensuale, dell’irrazionale: si veda il caso di Regarde la mer (mediometraggio del 1997), in cui esso si fa rifugio di sesso oscuro e impulsivo, di uomini che vagano a caccia di corpi. L’aspetto fiabesco torna poi nella figura dell’uomo dei boschi (Miki Manojlovic), orco enigmatico e “morale”, che risulta del resto molto simile ai due adolescenti per la sua indole scabra e selvatica. Qui la relazione servo/padrone si fa visivamente molto più evidente, poiché non si tratta più di sudditanza psicologica (Luc verso Alice), ma di vero e proprio possesso (Luc legato al guinzaglio, oggetto d’uso e piacere).

Le disomogeneità del film, a prescindere da qualsiasi giudizio di valore, sembra imporre al lavoro di Ozon uno dei suoi marchi personali: l’eclettismo grazie al quale si destreggia con leggerezza tra i generi, tra gli ambienti, e per mezzo del quale riesce a costruire il suo stile, ricordando che questo è (lo ricorda tra gli altri Leo Spitzer) un compromesso tra l’unicità di un’esperienza e le costrizioni imposte dal linguaggio utilizzato. Solo quando il compromesso non è più resa è infatti possibile percepire l’originalità di un prodotto artistico. Cosa che Ozon continua, dopo questi inizi, a dimostrare, con una danza leggiadra e discretamente trionfale attraverso il cinema.

TITOLO ORIGINALE: Les amants criminels; REGIA: François Ozon; SCENEGGIATURA: François Ozon; FOTOGRAFIA: Pierre Stoeber; MONTAGGIO: Dominique Pétrot; MUSICA: Philippe Rombi; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1999; DURATA: 90 min.

 


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