Midnight in Paris PDF 
Fabio Fulfaro   

L'arte ha valore perchè ci porta via da qui.
F. Pessoa

Dopo la stanca e insipida prestazione di Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, Woody Allen inverte la rotta della decadenza senile e narra con leggerezza la storia di Gil, sceneggiatore di Hollywood ma aspirante letterato che allo scoccare della mezzanotte si rifugia nel favoloso mondo della Parigi anni Venti, incontrando gli uomini e le donne dei suoi sogni: toreri, poeti, artisti, pittori, registi, musicisti, modelle. Chi conosce il cinema di Woody Allen sa quanto il regista tenga al rapporto tra arte e vita, interrogandosi sulle corrispettive relazioni e implicazioni filosofiche. L'oscillazione tra la comicità liberatoria dei primi film e il cinismo di certa ultima produzione (Match Point, Sogni e delitti, Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni) riflette il rapporto ambivalente di un intellettuale di fronte alla realtà che lo circonda. Da una parte il desiderio irrefrenabile di abbandonarsi al potere consolatorio dell'illusione spesso nascosta nello scrigno segreto di un passato mitizzato (si pensi a Stardust Memories, Radio Days, La rosa purpurea del Cairo), dall'altra la razionale paura che tutta questa messa in scena non sia che un tentativo di prolungare all'infinito la nostra partita a scacchi con la morte. E che il continuo proiettarsi in un altrove inesistente possa comportare una de-personalizzazione e un definitivo spaesamento identitario, facendo precipitare il soggetto in un isolamento narcisistico dalla realtà contingente, fatta comunque di relazioni sociali e responsabilità morali.

Gil (interpretato magnificamente da Owen Wilson, con un nevrotica performance che ricorda quella di Larry David in Basta che funzioni) sta scrivendo un romanzo ambientato nella Parigi de les annes folles, perchè fondamentalmente insoddisfatto del suo presente lavorativo e sentimentale: un lavoro mercenario che lo svilisce, una fidanzata pragmatica che lo avvilisce (e lo tradisce), tarpandogli i buoni propositi di cambiamento. Il libro che scrive coincide con la vita che vorrebbe vivere, allontanandolo da un hic et nunc claustrofobico. Uscire di notte per le strade di Parigi, magari sotto la pioggia, passeggiare sul lungo Senna facendo una capatina al mercato delle pulci, ascoltare una vecchio 78 giri di Cole Porter, leggere il diaro ingiallito di una modella parigina di inizio Novecento, condividere i propri interessi con una giovane antiquaria sulla sua stessa lunghezza d'onda. E poi allo scoccare della mezzanotte, tuffarsi in un altro luogo e in un altro tempo parlando con Scott Fitzgerald e la moglie Zelda, filosofeggiare con Hemingway, presentare il proprio libro a Gertrude Stein (una simpaticissima Kathy Bathes), ascoltare i deliri di Dalì (un irresistibile Adrien Brody), suggerire a Luis Buñuel il soggetto de L'angelo sterminatore.

Allen riesce a costruire un mondo di carta che prende il sopravvento su quello reale proiettando luci suoni, colori, profumi, sapori. E poi, da mago Splendini, dopo l'incontro tra Gil e Adriana (la modella contesa tra Picasso e Modigliani), tira fuori dal cilindro il colpo di genio di spostare la scena, nel tempo mitizzato da Adriana, quello della Belle Époque e del ristorante Maxim's (con le comparsate illustri di Toulouse-Lautrec, Gaugain e Degas), suggerendo che l'uomo tende sempre a voltarsi indietro per riscoprire nel passato la propria età dell'oro, coincidente quasi sempre con la propria giovinezza, e rivelando una commovente aspirazione all'immortalità. Questo tema del ricordo sempre magnificato e mitizzato, potrebbe essere una risposta indiretta del regista ai recensori che continuano a idolatrare i suoi film degli anni Settanta e Ottanta, trovando anonime le opere del presente. E spesso il ricordo non coincide con il reale accadimento dei fatti, ma è deformato dalla paura e dal desiderio di chi ricorda, con colpevoli omissioni o false sovrapposizioni: l'importante è avere l'onestà intellettuale di ammettere l'ampio margine d'errore. In questo senso, si possono muovere due appunti ad Allen: quello di parlare sempre della stessa alta borghesia americana repubblicana e anticomunista (in contrapposizione alla nevrosi dell'intellettuale ebreo e democratico) e quello di essersi fermato in superficie senza approfondire gli innumerevoli spunti della sceneggiatura. Alla prima critica si può rispondere che un artista non può che parlare delle cose che conosce meglio, e l'ambiente che Allen con sottile perfidia descrive è quello di una upper class che si ritrova dopo l'11 settembre alle prese con il grande sogno americano diventato incubo, confermando la deriva consumistica e autodistruttiva delle moderne società occidentali. Al secondo appunto si potrebbe obiettare che la scelta di tagliare, velocizzare e semplificare, in questo caso, è in linea con la leggerezza programmatica dell'opera, una commedia filosofico-romantica che tende a raggiungere il maggior numero di persone (e in effetti i risultati brillanti al botteghino in queste prime settimane di programmazione sembrano confermare questo dato).

In fondo il messaggio di Woody Allen è molto semplice e diretto: voltarsi a contemplare il passato può servire solo se ci consente di colmare le distanze dal nostro presente. Perchè il futuro, al di là delle equazioni vita-arte e delle testimonianze immortali delle opere di chi ci ha preceduto, non si trova alle nostre spalle.

TITOLO ORIGINALE: Midnight in Paris; REGIA: Woody Allen; SCENEGGIATURA: Woody Allen; FOTOGRAFIA: Darius Khondji; MONTAGGIO: Alisa Lepselter; MUSICA: Stephane Wrembel; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2011; DURATA: 94 min.

 


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