Angela PDF 
di Fulvio Montano   

Strano film di echi Angela di Roberta Torre. Echi che risuonano di già detto, già visto e persino di già sentito, fedeli ad un'idea di cinema sempre più contaminata e sempre più da contaminare, mortalmente pervasa di atmosfere cupe da fin de siècle o (che dir si voglia) da Finale di partita, che a loro volta rimandano ad un esistenzialismo tardivo e senza speranza, caratterizzato dalla scorata certezza dell'inutilità dell'agire e dal conforto rassicurante dell'abitudine ai gesti, alle leggi e alle inevitabili dinamiche dell'ambiente che accoglie il dramma.
Determinismo che non ammette repliche insomma, tanto da scadere la fuga della protagonista nel patetico, nel surreale ed irrealizzabile sogno dell'ennesimo amore impossibile, proibito.
Echi comunque onesti, per carità, ricicli postmoderni di temi (la mafia, la passione, il tradimento), di regia (la camera a mano), di fotografia (realista e al contempo venata del sano kitsch degli esordi della regista milanese) e di musica (per lo più limitata ad un balletto di note alla Wong Kar-wai), per un'opera a carattere globale, facilmente esportabile e condita dagli ingredienti giusti.

Nella miglior tradizione italiana, Angela mette in scena una storia vera, la cui originalità è interamente affidata alla protagonista, personaggio fortissimamente caratterizzato e donna totale, che racchiude in sé tutte le possibili manifestazioni del femminile, imponendo non solo il ritmo agli eventi messi in moto dal suo agire, ma anche fissando insindacabilmente il punto di vista del film, totalmente aderente ai suoi dubbi ed alle sue certezze, alle sue scelte come ai suoi patimenti.
Il resto non è che sfondo, ambiente immutabile, indagato dall'invasiva presenza della camera a mano e fotografato con un realismo esasperato, in bilico tra il surreale delle fantasie irrealizzabili della protagonista ed il femminismo militante e rabbioso della regista, che condanna gli altri personaggi a gregari superflui, confusi alle quinte di muri e scatole da scarpe che opprimono la scena.
Il volto di Angela (gran merito di Donatella Finocchiaro) è tutto, tela bianca buona per ogni espressione e opera d'arte segnata dalla noia, dal dolore e dalla tristezza, dramma dell'eterna e ancora attualissima prigionia della donna e curiosamente privo di ambiguità, forse perché semplice prerogativa degli uomini, contraltare del cosiddetto sesso forte.
Angela è insomma, un melodramma esistenziale ed estremo, inappellabile perché reale, spurio perché contaminato.

Tanto contaminato da stimolare un parallelo con l'amore impossibile dei due amanti in un dramma dalle tinte meno cupe, come In the mood for love di Wong Kar-Wai.
Il raffronto ispirato dalle passeggiate di Angela nei vicoli di Palermo/Hong Kong, dalla curiosità spiona della macchina da presa, pedinante e a sua volta pedinata dall'occhio extradiegetico della regista intento ad indagare la sua stessa diegesi, è sostenuto dall'uso (molto simile a quello di Wong Kar-Wai) che Roberta Torre fa della musica, contrappunto lirico alla rassicurante abitudinarietà dell'esistenza dei rispettivi protagonisti.
Se Donatella Finocchiaro scambiasse la sua scatola da scarpe ed i suoi vestiti con il baracchino e gli abiti sgargianti di Meggie Cheung, ho come l'impressione che delle rispettive sequenze non cambierebbe nulla.

Coraggiosamente lontano dal cinema irriverente e teatrale degli esordi della regista, Angela (accanto al bellissimo L'ora di religione di Marco Bellocchio e al folgorante Respiro dell'esule rientrato in patria, Emanuele Crialese) rimane comunque uno dei film più interessanti della stagione.

 


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