La Passione PDF 
Andrea Bettinelli   

Sembra che i registi italiani, arrivati alla loro piena maturità, sentano il bisogno di raccontare storie su cineasti in crisi creativa. Dopo Bellocchio e Moretti, ecco Carlo Mazzacurati che disegna il ritratto di Gianni Dubois (Silvio Orlando), regista romano un tempo celebrato e oggi dimenticato dalla critica, ma a cui viene offerta un'ultima chance: scrivere un film per Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi), una giovane ed emergente attrice di fiction tv. Ma Gianni ha esaurito il proprio repertorio: non trova più storie dentro di sé, non ha più nulla da raccontare. Nel frattempo, viene chiamato con urgenza in un paesino toscano dove ha un piccolo appartamento: una perdita d’acqua nel suo bagno ha causato un'infiltrazione nella chiesetta adiacente, rovinando un prezioso affresco risalente al Cinquecento. Per rimediare al danno, il sindaco e l'assessore del paese gli ingiungono di dirigere la sacra rappresentazione che si tiene in paese ogni venerdì santo, con protagonisti gli stessi abitanti del paese. Il cast comprende un campionario di varia umanità: Ramiro, ex carcerato (Giuseppe Battiston); Caterina (Kasia  Smutniak), barista polacca; Abbruscati (Corrado Guzzanti), vanitosissimo conduttore di un programma meteo. Tempo per realizzare lo spettacolo: 4 giorni.

Mazzacurati si muove come sempre nell’humus dell’Italia provinciale. Questa volta non in Veneto, dove sono ambientati i suoi film più personali (Notte italiana, Il prete bello, L’estate di Davide, La lingua del santo, La giusta distanza), ma in Toscana, dove già aveva girato L’amore ritrovato, un film forse non del tutto riuscito. Qui, invece, l’innesto funziona e Mazzacurati ritrova nella provincia toscana tutti gli umori e i colori della provincia natale. La Passione è un racconto corale con una struttura narrativa apparentemente caotica, direi volutamente confusionaria, che è stata da più parti ingiustamente criticata. Come ha detto il regista, la storia non è nata per essere un film, "era semplicemente un racconto orale che ogni tanto mi capitava di fare". La sceneggiatura sembra infatti tradurre sulla scena – attraverso il ricorso continuo alla peripezia – questa intenzione di oralità, come un racconto le cui linee si perdono per mille rivoli ma alla fine arrivano tutti al loro esito naturale: il compimento della sacra rappresentazione, in un suggestivo scenario di pioggia. C’è quindi un senso di incompiutezza in questo film, una leggerezza che fa parte della natura  stessa della sua ispirazione e che va accettato senza riserve. Questo tentativo di tradurre in termini di scrittura cinematografica le movenze slegate della narrazione orale si inserisce in un sottile richiamo che la Passione fa alle correnti artistiche della nostra tradizione in cui meglio si è consumato il connubbio tra stile alto e basso, vocazione nobile e popolare. Che sono le tradizioni novellistica, pittorica e cinematografica. Come se Mazzacurati volesse in qualche modo tornare a scoprire un nucleo antico, in cui la ricerca dell’artista si fonde con le aspirazioni e le fatiche della gente comune, all’insegna di una concezione sociale dell’arte come momento di condivisione pubblica. Anche in questo senso si può leggere la virata stilistica dell'ultima parte del film, dal comico al tragico, in un percorso di abbandono del tono del bozzetto leggero per abbracciarne uno di più ampio respiro, dove non mancano citazioni colte (in primis a La Ricotta di Pier Paolo Pasolini). Alto e basso, secondo la lezione di stile dantesca, non sono in contraddizione: trascolorano naturalmente l’uno nell’altro quasi per una legge di necessità.

È suggestiva, e giustificata, la lettura in chiave politica che è stata fatta del film: come di un’allegoria dell’Italia di oggi, della sua deriva politica e sociale. Ma preferisco tenermi stretto alla valenza meta-artistica e meta-cinematografica: La Passione sembra essere il testamento poetico di Mazzacurati, una riflessione sul proprio cinema e insieme forse un invito al cinema italiano a lasciare i terreni abituali per muoversi nel caos della realtà. Abbiamo peraltro già scritto su questa rivista che il cinema italiano contemporaneo sembra raggiungere i risultati migliori quando abbandona le grandi produzioni centrali e si ritira in ambiti "periferici", all’interno di produzioni più leggere (come ne Il vento fa il suo giro o Il pranzo di Ferragosto). Gianni Dubois, accentando l’incarico della sacra rappresentazione, incontra un disordine salutare, che manda all’aria le sue certezze consolidate ma che alla fine lo vivifica, facendolo rinascere. La via crucis, la passione, il percorso di morte/rinascita sono innanzitutto quelli del cinema.

TITOLO ORIGINALE: La Passione; REGIA: Carlo Mazzacurati; SCENEGGIATURA: Umberto Contarello, Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello; FOTOGRAFIA: Luca Bigazzi; MONTAGGIO: Clelio Benevento, Paolo Cottignola; MUSICA: Carlo Crivelli; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 106 min.

 


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