False verità e autentiche menzogne PDF 
di Marco Toscano   

Dentro il passato di un uomo, come dietro la porta di una lussuosa stanza d'albergo, si celano a volte debolezze inconfessabili, dettagli da rimuovere, verità sepolte e, forse, meno nitide di quanto potrebbero apparire. Sin dall'ossimoro del titolo, il film di Egoyan confessa l'oggetto della propria attenzione: sino a che punto l'uomo è in grado di conoscere l'esatta verità (sugli altri, ma persino quella che riguarda se stesso)? Quanto è possibile rintracciare il confine sottile tra autenticità e menzogna? E, prima ancora, ha senso fidarsi di categorie desuete e intercambiabili come quelle che attestano al di là di ogni ragionevole dubbio un vero e un falso? Ipotizzando una tale opposizione bisogna immediatamente confrontarsi con il suo inevitabile scacco, a maggior ragione nel momento in cui essa è inscritta nel territorio di per sé ingannevole della memoria. Così ogni elemento finisce per essere trasfigurato, ingigantito o sottostimato, e su ogni cosa incombe, terribile e sperato, il più nero degli oblii. Il grimaldello del ricordo si rivela inattendibile e fallace, al pari di qualsiasi ricostruzione tendenziosa, e pur opponendosi (anche malvolentieri, suo malgrado) all'insabbiamento programmatico della verità se ne mantiene, più o meno inconsapevolmente, distante.

Lanny e Vince sono la coppia di entertainer più nota del paese. Sono le star più richieste della tv, nel momento in cui (siamo negli anni Cinquanta) il mezzo televisivo ha ormai diffusione capillare negli Usa e garantisce ai propri eroi lo status di divinità. All'apice della popolarità e del successo i due comici sono chiamati a condurre la maratona televisiva per la raccolta di fondi Telethon. Sarà il loro ultimo numero insieme. All'indomani della conclusione, la misteriosa morte di una giovane cameriera, il cui corpo viene rinvenuto nella stanza d'albergo a loro riservata, porrà fine all'unione artistica di Lanny e Vince, anche se lo scandalo non li travolgerà del tutto, grazie alla celere opera di copertura da parte del loro nuovo committente (un gangster) e alla falsa testimonianza del capo della polizia. A distanza di quasi vent'anni una giornalista, incaricata dalla casa editrice di intervistare Vince per ricavarne una biografia, si imbatte gradualmente in una serie di indizi e di elementi che sembrano sconfessare la versione ufficiale dell'epoca (morte per overdose) e schiudere la porta su una vicenda contraddittoria e mai definitivamente sepolta nella mente dei protagonisti, come anche nella percezione comune se è vero che, pur continuando a lavorare e a godere di un buon seguito, l'immagine delle due star ne è risultata irreparabilmente compromessa (essendo stati da molti indicati come gli autentici responsabili).

Il gioco delle apparenze e dissimulazioni, delle reticenze e rivelazioni, permea dunque di sé tutto il film, confermandosi una delle dinamiche centrali nell'opera del regista armeno-canadese. Tutti si presentano per quello che non sono, tutti aspirano a indurre in errore la percezione altrui, tutti ugualmente affermano il falso a partire da chi la verità e la giustizia dovrebbe garantirle (la polizia) e dai due comici, la cui dimensione attoriale moltiplica la finzione morale ed esistenziale: se Lanny dimostra un carattere estroso ed eccessivo fuori e dentro la scena, Vince deve bilanciarlo incarnando la moderazione e il controllo, salvo poi confrontarsi con le proprie debolezze e perversioni. Già in The Adjuster (1991) ogni personaggio era soggetto e allo stesso tempo oggetto di manipolazione, e la menzogna rappresentava la modalità privilegiata di rapportarsi all'altro, ma prima ancora a se stessi. Parimenti il successivo Exotica (1994) si configurava come una riflessione sulla solitudine, sulla memoria e sul sesso come simulazione (condensato nella pratica dello streap-tease, che al termine rivela inevitabilmente un senso di frustrazione e di artificio). In False verità le frequenti scene di sesso assolvono la medesima funzione di costruzione e perpetrazione dell'inganno (e perciò sono tutte necessarie), sia quando si nutrono di un immaginario sia quando si rivelano pura messa in scena: così le innumerevoli donne che transitano nel letto delle due star sono espressione del desiderio infantile di un incontro ravvicinato con quelle che (ai loro occhi) non sono altro che icone medianiche. Così Morin (la ragazza in seguito uccisa) si concede premeditatamente a Lanny e Vince per poi ricattarli, allo stesso modo di come la giornalista è vittima a casa di Vince di una vera e propria rappresentazione finalizzata al medesimo scopo. E anche l'incontro tra Lanny e la protagonista costituisce un'eccezione solo in apparenza, dato che si fonda immancabilmente su una menzogna (un'identità fittizia) e da essa è reso possibile (se Lanny avesse saputo chi aveva realmente davanti, vale a dire una concorrente editoriale che minacciava di violare il suo passato, probabilmente non avrebbe approfondito la conoscenza), cosicché l'unico momento in cui il sesso diventa veicolo di verità su uno o più personaggi è costituito dall'esplicita avance di Vince nei confronti di Lanny (che a ogni modo sottintende un rapporto fino a quel punto non del tutto sincero e che non a caso, una volta affrontato nella sua verità, non potrà proseguire).

La dimensione prettamente funzionale in cui il sesso si configura, mero esercizio di controllo e strumento di sopraffazione, risulta accentuata dall'irruzione di un altro elemento tipico del cinema di Egoyan, vale a dire l'invasione delle macchine nell'immaginario erotico contemporaneo, che si accompagna al tema dell'inaridirsi e della mutazione dei sentimenti nell'era della riproduzione tecnica. Se in Black Comedy (1987), così come in Speaking Parts (1989), la sessualità dell'uomo moderno si adegua (e subordina) al congegno tecnologico (telefono, videotelefono, videocassetta), in False verità il registratore nascosto da Morin nella suite delle due star e le fotografie scattate da Vince durante l'amplesso tra la giornalista e Alice svelano l'effettiva natura delle circostanze (senza contare che Vince e Lanny sono essi stessi la televisione, e come tali vissuti dalle proprie amanti). E se in Calendar (1993) l'obbiettivo della macchina fotografica o della videocamera diventa l'unico occhio in grado di restituire uno sguardo autentico e pregnante sulla realtà, registrando in maniera indistinta e sindonica ciò che l'uomo non è (più) in grado di vedere (come in Blow-up di Antonioni), in False verità si assiste a un parziale recupero del ruolo della parola scritta (le memorie di Lanny, il biglietto sottratto da Reuben, senza contare gli insistiti riferimenti ad Alice nel paese delle meraviglie), ma non a scapito dell'immagine, dato che sono ancora gli onnipresenti video e le fotografie a recuperare momenti consumati dal ricordo e tuttavia dimenticati, ribaltando il punto di vista su un dettaglio inosservato (come nel caso delle lacrime di Lanny e della frase pronunciata da quest'ultimo in direzione della bambina, in conclusione dello show). L'immagine si sostituisce così alla vita, ai corpi, alla memoria.

False verità si conferma un film intimamente egoyaniano non solo nei temi, ma anche nell'architettura: una struttura ricorrente e labirintica, un enigma costruito su puntuali e vertiginosi intrecci temporali che finisce per spezzettare e mescolare gli elementi della narrazione come le tessere di un puzzle, il cui disegno solo in conclusione si rende visibile (mantenendo in ogni caso una certa ermeticità). Una soluzione dunque complessa, ma funzionale a una vicenda che prevede incessanti esplorazioni di un episodio doloroso, tracce sparse e smarrite, occultate o messe lì a bella posta, in un continuo andirivieni tra diversi piani temporali (passato e presente), filosofici (vero e falso), ma anche ontologici (realtà dell'immagine e finzione nell'immagine) e linguistico/mediatici (televisione, teatro, cinema). Particolarmente convincente risulta la ricostruzione dei turbolenti anni Cinquanta, del successo e degli eccessi di Lanny e Vince (che sembra contrarre più di un debito con il Casinò di Scorsese), compresa la caratterizzazione stereotipata (e dichiaratamente autoironica) del gangster e soprattutto l'evocazione degli spettacoli della coppia, nonché l'utilizzo delle voci off per commentare e contrappuntare i passaggi della vicenda. Più convenzionale risulta, invece, lo scioglimento narrativo (tutto sommato l'assassino è l'onnipresente maggiordomo, burattinaio nell'ombra, come nella migliore tradizione del genere), nonostante l'efficacia dei cambiamenti di prospettiva rispetto a talune situazioni (il biglietto sul comodino, la ragazza trovata morta in mezzo alle aragoste e non nella vasca da bagno) che, con un effetto paragonabile a quello de Il sesto senso di Shyamalan, smentiscono quanto mostrato in precedenza allo spettatore, confutando in tal modo le sue illazioni.

Egoyan, confermando tutte le caratteristiche formali e concettuali del suo cinema, ne ripropone anche i vizi ricorrenti, in modo particolare le inutili sottolineature simboliche. È il caso della scelta di fare della giornalista la bambina testimone inconsapevole della fine di un sodalizio artistico e di un'amicizia (mentre pronuncia un ringraziamento ai due conduttori in conclusione della maratona Telethon) e, soprattutto, della prolungata allusione ad Alice nel paese delle meraviglie che, da un lato, identifica la giornalista con Alice stessa, protagonista di un cammino di scoperta e di crescita che le consentirà di andare "dietro lo specchio" (a casa di Vince ella dapprima è separata dalla cantante che ha interpretato Alice solo da un telo, attraverso cui le due donne si muovono in simbiosi proprio come davanti a uno specchio, poi addirittura si fonde sessualmente con essa), dall'altro avvalora la lettura lisergica del viaggio carrolliano (la protagonista è sotto effetto di droghe nell'occasione sopra descritta). Nonostante la verità sui fatti sembri alla fine essere stata ristabilita, rimane la sensazione indelebile dell'inconoscibilità dell'individuo. In un sistema regolato dalla solitudine e dall'incomunicabilità, l'uomo chiude la porta dietro di sé, rimanendo con i propri fantasmi e i propri ricordi ingannevoli.

 


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