Come Dio comanda PDF 
Paolo Fossati   

"Gli hai fatto male?" Gli bastò guardare suo figlio negli occhi per capire. "Non gli hai fatto un cazzo!" Scosse la testa disperato. "Tu… tu non sai fare a botte". Fu una rivelazione. "Non sei capace di fare a botte". Lo disse con un tono tra lo scandalizzato e il colpevole. Come se non gli avesse insegnato a parlare, a camminare. Come se avesse avuto un figlio con un’allergia mortale ai farinacei e lo avesse obbligato ad abboffarsi di pane.
(Niccolò Ammanniti, Come Dio comanda, p.158)

Il connubio tra il Friuli e una tempesta evoca inevitabilmente la tragedia del Vajont. Né Ammaniti sulla pagina, né Salvatores al cinema si soffermano sull’argomento, ma la devastante desolazione e il senso di impotenza verso un destino crudele che pervadono la piccola comunità provinciale descritta in Come Dio comanda rimandano con forza all’idea di una catastrofe imminente, soprattutto nella prima parte del racconto. È l’ipotesi di un castigo divino a permeare la narrazione dopo lo snodo narrativo centrale, rappresentato da un omicidio. Pensare alla diga del Vajont, percepire il senso storico di quell’infrastruttura incastonata tra le anse della natura, quasi a volerne riempire i vuoti per mano dell’uomo, che si innalza orgoglioso al ruolo di “creatore”, non significa solo ricordare il tragico epilogo dell’ottobre 1963, quando venne spazzato via dalla furia dell’acqua il paese di Longarone e altri centri abitati furono devastati. Induce a riflettere sul rapporto uomo-progresso, sull’arrogante ed ambiziosa pretesa di onnipotenza dell’uomo che si concretizza da sempre in volontà di realizzare imprese faraoniche e, oggi, ha molto a che fare anche con un’ossessione per la visibilità, incarnata in primis dalla televisione, ma raccolta e fomentata dai singoli individui quando si omologano – forti di un alibi collettivo fondato sul mimetismo – mettendo in atto comportamenti che, se soli, non avrebbero il coraggio di osare (si diviene capaci, ad esempio, di filmare con i videofonini il funerale di un adolescente di provincia, avallandone l’assurgere ad evento mediatico indotto dalla cultura televisiva).

La storia messa in scena dal film, benché ambientata nel piccolo paese del Friuli, che la carica dei citati significati simbolici, racconta drammi universali a partire da una realtà locale. Primo tra tutti il rapporto padre-figlio, intorno al quale si intravede un intreccio di temi e si dispongono una serie di personaggi, come pastori intorno alla grotta di un presepe. Tutti alla ricerca di un dialogo con Dio. Rino è un quarantenne provato dalla vita che si rifugia nell’ideologia nazista per decodificare sommariamente una contemporaneità che lo spaventa, uno scenario che non è orgoglioso di consegnare al tredicenne figlio Cristiano, che ha cresciuto da solo e a breve vedrà avviarsi autonomo nel mondo. Il ragazzino si troverà presto a fare i conti con la sopravvivenza in un universo globalizzato (del quale ora vede solo i bagliori rappresentati dal tempo trascorso al centro commerciale, piuttosto che in una piazza, e dagli oggetti del desiderio più comuni: le moto, l’iPod…). Abiterà un tempo dove non è più facile arrabattarsi con lavori manuali occasionali, come il padre Rino aveva sempre fatto, perché l’economia ha insegnato a piccoli e grandi industriali che la manodopera degli immigrati è più semplice da sfruttare, rispetto a quando assoldavano i disoccupati della zona, che con il passare degli anni hanno imparato a rivendicare diritti, sono diventati esigenti e quindi scomodi.

Filippo Timi, attore protagonista del film, ha recentemente pubblicato con Garzanti il romanzo-diario Peggio che diventare famoso, scritto sul set durante il periodo di lavorazione di Come Dio comanda. In un passaggio, parlando del suo personaggio, racconta che Salvatores, per descrivere il ruolo che voleva affidargli, disse "Lo sai cosa dice Ammaniti di Rino? (…) È un padre che insegna l’odio al  figlio con molto amore". Cristiano cresce nell’adorazione di suo padre, che rappresenta un mito contraddittorio: è un etilista violento, capace però di farsi amico, difendere e rispettare un disperato come Quattro Formaggi (il personaggio al limite della follia interpretato da Elio Giordano), che barcolla nella vita dopo essere stato vittima di un incidente sul lavoro (nel romanzo, invece, la causa della sua sventura è un’altra: gettando l’amo s’impiglia con la canna da pesca tra i cavi dell’alta tensione). Proprio Quattro è l’artefice del fulmineo e sciagurato gesto che metaforicamente scarica in un climax narrativo tutte le tensioni accumulate dai singoli personaggi della comunità: uccide Fabiana, la ragazzina più carina della scuola di Cristiano, nella quale – complice la poca lucidità – riconosce l’oggetto del proprio desiderio sessuale. Scambia la ragazzina per Ramona, una pornostar della quale si è innamorato seguendone le gesta registrate su una videocassetta. In una notte buia e tempestosa la insegue in motorino nel bosco, dove, sentendosi respinto, trasforma il proprio amore in violenza. Rinsavito, in lacrime, chiama Rino, l’unica persona che lo ha sempre aiutato e difeso. Giunto sul posto, credendo che Quattro sia vittima dell’ennesima ingiustizia o disavventura, Rino si rende conto dell’accaduto e trasale. La sua condotta abituale gli rende già difficile tenersi la tutela di Cristiano, che i servizi sociali tengono d’occhio. Ora si ritrova sulla scena di un crimine, per di più compiuto da una delle poche persone alle quali dava fiducia. Un attacco d’ira lo porta a sollevare un masso enorme, quasi volesse punire Quattro schiacciandolo come un serpente. L’immagine è al contempo biblica e mitologica. Rino si ritrova giudice e giustiziere, mentre tutto il mondo lo ha sempre immaginato carnefice. Rino implode: lo sforzo per sollevare quel peso (enorme come le sue responsabilità) è tale da causare un’emorragia cerebrale al malcapitato, che cade a terra esangue. Quattro interpreta il fatto come una grazia divina, si sente sollevato dai sensi di colpa e decide di far credere a tutti quello che la mentalità comune non faticherà ad immaginare trovando i due corpi: Rino, l’uomo cattivo, intollerante e violento si è trasformato in belva assassina e si è accanito su una vittima innocente. Anche Cristiano finisce per ipotizzare la stessa situazione e, dopo aver confinato i sospetti su suo padre in un angolo della propria coscienza per occuparsi di salvare la reputazione di Rino, rendendosi conto di non avere la certezza della sua innocenza, cade in una silenziosa crisi esistenziale. Ma il solo pensiero d’esser capace di sospettare del padre lo riempie di un’angoscia silenziosa, incastrata nella gola come un peccato originale. Tutto quello che Cristiano ha sempre temuto si avvera: si ritrova solo, separato dal suo unico affetto, forse definitivamente. La morte o la pena detentiva sono le due più probabili aspettative per Rino. Il temporale notturno ha portato devastazione come un diluvio universale e solo chi è riuscito a salire sull’arca riuscirà a salvarsi. Cristiano lo sa e tiene suo padre a galla tra i flutti, tentando di farlo salire a bordo prima che sia troppo tardi. Il ragazzino si ritrova uomo. Cresciuto – nonostante la sua indole mite e sensibile – con il mito del superuomo, riesce a mettere in atto gesti visti (ed ipotizzabili esistere) solo dentro il piccolo schermo nelle serie televisive (non a caso Ammanniti cita CSI) ed occulta il cadavere della coetanea.

Il nuovo film di Salvatores riduce all’essenza l’intreccio narrato dal libro, diversamente dal primo incontro con Ammaniti (in ogni caso sempre co-sceneggiatore) avvenuto con Io non ho paura. Una scelta coraggiosa, che rischia di deludere i lettori, ma ripaga gli spettatori di quel tipo di cinema che s’impegna a raccontare con i mezzi che gli sono propri. La sequenza notturna dell’omicidio è dilatata e restituisce il pathos necessario a comprendere la vicenda. I particolari rivelano l’essenza dei personaggi: il presepe postmoderno che Quattro realizza da sempre sul pavimento della sua “tana”, fatto di statuette cosmopolite tra le quali puffi, alieni e rifiuti di ogni genere, nel film diviene emblema del mondo reale scempiato dalla cosmesi indotta dalla televisione, la cui voce ipnotica e narcotizzante nel romanzo continua a fare da contrappunto alla quotidianità dei personaggi. Il libro è più radicato nella realtà prodotta dall’immaginario televisivo: Ammaniti cita Vespa, La vita in diretta, le televendite, i processi televisivi e non si esime da riflessioni socioeconomiche e politiche sull’Italia dell’ultimo ventennio, chiamando in causa, seppur senza approfondire (forse proprio per rendere esplicita l’attitudine al superficiale tipica delle realtà che descrive) l’euro, Berlusconi, le nuove povertà ed altre questioni d’attualità. Un filone narrativo completamente escluso dal film, che si concentra sulla trinità Rino, Cristiano e Quattro Formaggi, è nel romanzo quello della pianificazione di una rapina ad un bancomat, che Rino, Quattro e Danilo (personaggio assente nel film e portatore di altri punti di vista drammatici) avrebbero intenzione di fare per tentare di dare una svolta alle proprie esistenze, come accadrebbe vincendo alla lotteria o al superenalotto. Alcuni espedienti narrativi cinematografici ripagano i tagli al romanzo e rendono merito alla scelta di concentrarsi sul rapporto padre-figlio e di suggerire un’analisi della comunità presa in esame: la statuetta del presepe rappresentante un agnello (animale emblema del sacrificio) calpestata dal tallone di Quattro mentre si suicida impiccandosi come Giuda; l’iPod che sostituisce la funzione che nel libro ha un anello a forma di teschio sottratto al cadavere di Fabiana. Il lettore mp3 fa parte del quotidiano per adolescenti (e non solo), ma rappresenta anche uno degli oggetti del desiderio tipici della nostra epoca ed è ironicamente capace di restituirne una descrizione attraverso le note di una canzone pop utilizzata come musica all’interno della diegesi (Robbie Williams canta con voce languida e scanzonata nei momenti più drammatici).

Nel titolo Dio comanda. Proprio i comandamenti sembrano rimbombare come tuoni nella testa dei personaggi. Gabriele Salvatores si concentra su alcuni di essi. "Onora il padre e la madre" e "non uccidere", in primis. Sia il film che il romanzo iniziano con una scena d’apertura simbolica, un cortocircuito tra questi due comandamenti: Rino obbliga Cristiano ad uccidere un cane del vicinato che lo disturba abbaiando nella notte. Cristiano deve uscire al freddo ed impugnare una pistola per compiere un rito sacrificale: obbedire a suo padre è più importante del senso di colpa che sente nel cuore. Ma il “non uccidere” è comunque un imperativo intrinseco che porta padre e figlio a condannare il gesto di chi ha ucciso Fabiana (sebbene Cristiano sia pronto a perdonare: nomen omen). "Non avrai altro Dio fuori di me", in seconda battuta: Rino ama suo figlio e non sopporta che possa soffrire in futuro. Gli insegna ad usare le mani e ad orientare lo sguardo. Timi, nel suo diario, ci ricorda: "Il film inizia con Rino che spedisce il figlio ad ammazzare un cane che abbaia. Il cane ce l’ha dentro avevo detto a Gabriele. Il cane che Rino  vuole ammazzare è dentro di lui, è la miseria della sua vita. (…) È il terrore che gli portino via Cristiano. È la bestia che lui ha dentro, che un giorno o l’altro gli farà ammazzare qualcuno e lo spedirà in prigione lasciando suo figlio a una rovina certa. Svegliati, dice a Cristiano prendendolo per il collo. Svegliati! Svegliati da questa vita di merda. Devi dormire con un occhio solo. Devi sognare con un occhio e con l’altro ricordarti che i sogni fanno male. Bisogna prendere la miseria per le corna, uscire e farla fuori una volta per tutte". "Ricordati di santificare le feste" e "non commettere atti impuri", poi. Quattro Formaggi rappresenta questi due comandamenti, con tutta la forza contraddittoria interna al suo personaggio. Il suo presepe è un monumento che santifica quotidianamente l’esistere, una rappresentazione ossessiva di un mondo sacro e fiabesco che Quattro vorrebbe abitare, che diventa specchio delle contraddizioni reali, crescendo come una discarica. Addirittura negli atti impuri di Quattro s’intravede un senso mistico-romantico: in alcune scene del film di Salvatores Quattro mette in pausa il videoregistratore che trasmette le avventure pornografiche di Ramona e i contorni del primo piano della donna vengono ricalcati con un pennarello sullo schermo di vetro del vecchio televisore. Quattro eternizza il proprio amore per la donna dei suoi sogni (ad occhi aperti), creando un’immaginetta agiografica della pornodiva. A televisione spenta, però, sullo schermo restano solo i contorni di un vuoto da riempire. Fabiana è la predestinata per colmarlo e le conseguenze, purtroppo, sono reali.

TITOLO ORIGINALE: Come Dio comanda; REGIA: Gabriele Salvatores; SCENEGGIATURA: Niccolò Ammaniti, Antonio Manzini, Gabriele Salvatores; FOTOGRAFIA: Italo Petriccione; MONTAGGIO: Massimo Fiocchi; MUSICA: Mokadelic; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2008; DURATA: 103 min.

 


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