5x2: la morte del sentimento come thriller dell'ambiguità PDF 
Piervittorio Vitori   

Sarebbe esercizio (fin troppo) semplice etichettare ad una prima occhiata 5x2 - Frammenti di vita amorosa (2004) come l’opera più banale, e quindi meno “ozoniana”, di un regista che fino ad allora aveva abituato il pubblico ad un percorso intessuto di provocazioni narrative (almeno dal lungo d’esordio, Sitcom, per non voler tornare addirittura al corto seminale Une robe d’été) e/o eccessi stilistici (si pensi al kitsch di 8 donne e un mistero). In effetti, ad una lettura superficiale, l’arco della relazione tra Marion e Gilles, proposta attraverso 5 momenti (che dovrebbero essere) chiave, sembra privo sia di quell’ambiguità di caratteri che aveva contraddistinto le precedenti prove dell’autore, sia di quella sorta di crudeltà che spesso faceva capolino. Eppure, a guardar bene, questo film – la cui presunta alterità rispetto al corpus precedente era stata in un certo senso avallata dallo stesso Ozon, secondo cui “cominciamo con Bergman e finiremo con Lelouch”(1) – ha molto da dire, rivelando anche la sua coerenza con la filmografia passata del regista.

Non è il caso di sottrarsi alla facile tentazione di sottolineare quello che è l’elemento più palese di originalità rispetto alla “banalità” della fabula: la costruzione di un intreccio che procede a ritroso. Il film, cioè, si apre con il divorzio della coppia, seguito da un ultimo, violento amplesso consumato in una stanza d’albergo. Un salto nel passato ci porta quindi indietro di vari mesi, ad una cena in cui Christophe – il fratello di Gilles – e il suo giovane amante Mathieu sono ospiti dei protagonisti. Il terzo episodio è dedicato alla nascita del figlio della coppia, il quarto al matrimonio. Infine, il film si chiude con l’episodio del casuale incontro tra Marion e Gilles, entrambi in vacanza in Sicilia, che rappresenta l’avvio della loro relazione. Avendo come illustre precedente Tradimenti (1978) di Pinter – portato sullo schermo nel 1983 da David Jones per le interpretazioni di Ben Kingsley e Jeremy Irons –, e dopo essere stata utilizzata anche da Gaspar Noé in Irreversible, questa struttura a gambero assolve due funzioni distinte. La prima è quella di equilibrare, o meglio rendere più ambiguo, il tono della vicenda agli occhi dello spettatore, divertendosi a chiudere il film con quello che sarebbe un happy ending da cartolina – in un campo lungo che sottolinea le sfumature del tramonto vediamo i futuri amanti di spalle mentre entrano nelle acque del mare –, se non sapessimo che invece si tratta, semmai, di un happy beginning (non è fuori luogo, a questo proposito, notare come l’ultima inquadratura sia chiaramente opposta, come costruzione, rispetto a quelle predominanti nella prima scena: lì, mentre ascoltano le parole dell’avvocato che sancisce il loro divorzio, Marion e Gilles sono colti frontalmente e in primo piano, all’interno di un ufficio grigio e piuttosto angusto). La seconda funzione configura una sfida che il regista pone allo spettatore, invitandolo a risalire alle cause della rottura tra i due protagonisti. Un procedimento, questo, che Ozon confessa di aver mutuato dal dramma televisivo Two Friends di Jane Campion, storia di un’amicizia femminile narrata anch’essa rovesciando l’ordine cronologico degli eventi.

Probabilmente è appunto in questa dinamica instaurata con il pubblico, quasi di gioco gatto-topo, che risiede la maggior virtù del film. L’atout della sceneggiatura (dello stesso regista e di Emmanuèle Bernheim, alla terza collaborazione dopo Sotto la sabbia e Swimming pool) consiste infatti nel suggerire senza dire, nel sapersi fermare sempre prima di fare un passo di troppo verso la soluzione dell’enigma. Per questo è improprio definire momenti-chiave quelli attraverso i quali si articola la narrazione: ognuno di essi si pone al servizio di questa sfida fornendoci qualche potenziale indizio sulla verità della crisi di Marion e Gilles (e lo fa, altro pregio dell’opera, nonostante lo sguardo di Ozon rimanga sempre esterno, neutrale), ma alla fine non troveremo nulla di definitivo. I movimenti dello script, che in diversi momenti sembra prestare il fianco ad un’interpretazione, salvo poi parare il colpo con un rimescolio delle carte, portano forzatamente a rispolverare quel concetto di ambiguità fin qui solo accennato rispetto al registro generale dell’opera. Spostando l’attenzione sui caratteri al centro della diegesi, è chiaro come tra i due elementi della coppia il più ambiguo sia Gilles: l’aspetto più palese di questa sua ambiguità attiene all’identità sessuale, come evidenziato dal compiaciuto resoconto dell’orgia fornito al fratello e al di lui amante. E se questo ha portato la critica a supporre l’omosessualità latente del personaggio, altri dettagli porterebbero a spostare il tiro: la sua assenza al momento del parto di Marion; la violenza con cui, a divorzio avvenuto, la possiede nell’albergo (di fatto la stupra); l’uscita quasi infantile, poco dopo, con cui cerca di rivendicare una presunta superiorità su di lei (“E tu credi che potrei uccidermi per te?”); l’aver avuto accanto, anche prima di Marion, un carattere più forte del suo (Valerie). Tutti fattori che indeboliscono una lettura netta come quella legata all’omosessualità, favorendone piuttosto una che individua, più prudentemente, l’incapacità dell’uomo di assumere pienamente su di sé un ruolo adulto.

Comunque la si veda, siamo dalle parti di quel tipico lavoro ozoniano volto a “problematizzare l’identità come qualcosa di fisso” (2). Il personaggio di Marion appare invece meno esplicitamente contrastato, trovando la sua coerenza e la sua forza – quella che Gilles le riconosce nel dialogo che ha luogo dopo che i due hanno appena fatto sesso per l’ultima volta – nella stoica capacità di accettare tutto (in primis il sesso, che da lei pare sempre subìto, e il tradimento) tirando comunque avanti. Nonostante questo, però, la dialettica tra la donna e il marito li porta ad assumere posizioni pressoché speculari. Entrambi infatti commettono un adulterio in qualche modo “giustificato” (quello di Marion dall’incapacità di Gilles di adempiere ai suoi doveri coniugali la prima notte di nozze, quello di lui dall’assenso di lei); entrambi dicono una sola volta al partner “Ti amo”, e, significativamente, sempre dopo averlo tradito (Marion fisicamente, Gilles moralmente, evitando di assisterla durante il parto) (3). Infine entrambi, nella sequenza della cena, sono spettatori passivi di quello che potrebbe definirsi un tradimento più sfumato: Marion ascolta Gilles raccontare l’esperienza dell’orgia, poi Gilles osserva Marion ballare con fare sensuale insieme a Christophe e al suo partner. Il risultato è insomma quello di un sostanziale pareggio (“Non ho vinto né perso”, dice lei a lui nell’albergo) tra “due persone che non diventano mai una coppia” (4). Per rimanere costantemente sul filo di questo equilibrio tra le ragioni dell’uno e dell’altra, è naturalmente fondamentale il contributo degli attori, e nemmeno da questo punto di vista il film delude. Valeria Bruni Tedeschi riesce con successo a smarcarsi dal suo clichè di giovane donna nevrotica, accoppiando all’usuale fragilità una sensualità che non le si conosceva; Stéphane Freiss, bella scoperta per il pubblico italiano, è misurato nel rendere l’insicurezza e le inquietudini di Gilles. Il tutto affidandosi, oltre che (o più che) alle parole, al costante gioco di sguardi e piccoli gesti: rimanendo alla prima sequenza, il pensiero va a lui che davanti all’avvocato si fruga in tasca senza trovare la penna, o a lei che poi, durante l’amplesso, prima chiude gli occhi e poi li spalanca, come rassegnata a qualcosa di inevitabile.

E in una costruzione in cui il finale, oltre ad essere noto, appare pure ineluttabile, una sottolineatura ironica proviene dalla colonna sonora, composta per lo più da popolari canzoni d’amore italiane cui è delegato il compito di raccordare i diversi episodi. E se il regista ha sostenuto di averle scelte per la loro componente romantica come contrappunto leggero alla drammaticità della vicenda, non si può non segnalarne la collocazione all’interno dell’intreccio: Una lacrima sul viso di Bobby Solo accompagna il definitivo congedo di Marion dall’ex marito; Sparring partner di Paolo Conte commenta la danza della donna con Christophe e Mathieu, confermando l’intenzione ozoniana di riferirle a Gilles. L’apice viene però toccato da Smoke gets in your eyes dei Platters e da Se mi perderai di Nico Fidenco: posizionate rispettivamente appena prima dell’adulterio di Marion e in testa all’ultimo episodio, suonano come una sarcastica profezia circa il futuro dei protagonisti. L’ultima notazione tecnica di un certo rilievo è quella relativa alla costruzione dello spazio. Se tutti gli altri aspetti del film insistono sull’idea di ambiguità o equilibrio, questo è l’unico in cui si nota un’inequivocabile progressione: da luoghi chiusi e circoscritti (l’ufficio e la stanza del primo episodio, l’appartamento del secondo) si passa ad uno spazio aperto, la cui vastità sfugge all’occhio (il mare in cui si tuffano i due nel finale). Addirittura, Ozon pare premurarsi di segnalare questa progressione all’interno di uno stesso frammento, quello del matrimonio, in cui si passa dalla chiesa (chiuso) al gazebo della festa (semi-chiuso), alla sponda del fiume (aperto) dove Marion incontra il turista americano. L’aperto e il chiuso coincidono quindi rispettivamente con l’inizio e la fine del rapporto e, grossolanamente, con la felicità e l’infelicità dei protagonisti. Ma questo è un rilievo fin troppo banale. Più interessanti sono forse altre due considerazioni: la prima si dà notando come, nell’episodio del parto, in più di una circostanza la mdp inquadri Gilles in un interno (il bar, l’auto) rimanendo all’esterno ed utilizzando una finestra o comunque una superficie trasparente come diaframma. Si tratta di una soluzione già significativamente presente in Gocce d’acqua su pietre roventi: il motivo, tipico del cinema di Sirk, ha la funzione di indicare un senso di intrappolamento e distanza, in questo caso estremamente funzionale al carattere del protagonista. La seconda considerazione è relativa alla chiusura del film: le scene ambientate vicino all’acqua (o dentro di essa) e in località di villeggiatura costituiscono una delle costanti all’interno di quella che Thibaut Schilt ha battezzato “la trilogia sul desiderio femminile” di Ozon (Regarde la mer, Sotto la sabbia e Swimming pool) (5). Vi sono poi altri due tratti presenti tanto nella “trilogia” che in 5x2. Il primo è la centralità, nella vicenda, di un personaggio di donna che deve fare i conti con l’assenza di una figura maschile (marito o padre). È sicuramente il caso di Marion nel quinto episodio, quando si trova in vacanza da sola dopo la rottura della sua relazione. L’immagine, però, può essere applicata anche alla sequenza del parto e, azzardando, estesa addirittura all’intero film, dando per buona l’idea succitata di un rapporto a due che non diventa mai veramente coppia. L’altro tratto ricorrente è dato dall’esplicitarsi delle pulsioni sessuali attraverso la masturbazione o il sesso con sconosciuti: l’esempio ovvio è quello dell’adulterio di Marion, ma si potrebbe citare anche l’orgia cui partecipa Gilles, sebbene questa venga solo rievocata dal protagonista.

Alla luce di quanto sopra, non è troppo ardito sostenere che, risalendo verso l’inizio della storia della coppia, Ozon risale da Bergman al proprio cinema. Tenendo poi presente che il quarto elemento comune ai tre titoli succitati è, sempre secondo Schilt, la morte violenta che coglie uno dei personaggi, ecco che, in astratto, qui la vittima può essere ritrovata nell’amore di coppia. E, in effetti, chiedersi quando l’armonia si è incrinata non significa interrogarsi sulla morte dell’amore? Non a caso, Michael O’Sullivan sostiene che “5x2 funziona un po’ come un mystery, la cui questione centrale non è chi ha commesso il delitto, ma perché” (6). Domanda destinata a rimanere senza risposta. Ma intanto ci siamo visti servire, senza che il cuoco abbia rinunciato del tutto ai suoi ingredienti consueti, un gran thriller sulla banale fragilità dei sentimenti. Chapeau, monsieur Ozon.

Note:
(1) Interview with François Ozon (www.francois-ozon.com/en/interviews-5x2-five-times-two)
(2) Thibaut Schilt, François Ozon (http://archive.sensesofcinema.com/contents/directors/04/ozon.html), marzo 2004)
(3) cfr. Michael O’Sullivan, An Intriguing Lok Back At Love (www.washingtonpost.com), 01/07/2005
(4) Stefano Selleri, Solo (www.spietati.it/recensioni/rece-c/cinqueperdue.htm)
(5) cfr. T. Schilt, cit.
(6) Michael O’Sullivan, cit.

TITOLO ORIGINALE: 5x2; REGIA: François Ozon; SCENEGGIATURA: François Ozon, Emmanuèle Bernheim; FOTOGRAFIA: Yorick Le Saux; MONTAGGIO: Monica Coleman; MUSICA: Philippe Rombi; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1990; DURATA: 90 min.

 


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