La produzione cinematografica italiana non può non procurare dei veri e propri grattacapi a chiunque tenti di classificarla. Negli ultimi dieci anni si è potuto constatare un sincero impegno proveniente tanto da veri e propri produttori, che hanno deciso di scommettere sul cinema, quanto da enti pubblici, interessati alla promozione territoriale.
Ciò nonostante si è generata un'incredibile confusione produttiva che vede lo schizofrenico alternarsi di prodotti ben confezionati e competitivi con gli inspiegabili blockbusters natalizi (criptici fenomeni di massa che sfuggono a qualsiasi pronostico) e con pellicole minori che ancora presentano ingenuità creative e organizzative d'altri tempi.
Ebbene, il primo lungometraggio di Monica Lisa Stambrini appartiene proprio a quest'ultimo gruppo. Tratto dall'omonimo romanzo di Elena Stancarelli, Benzina narra la relazione omosessuale di Stella (Maya Sansa) e Lenni (Regina Orioli). Le due ragazze hanno costruito il loro microcosmo tra le pareti di un distributore di benzina, dove vivono separate dal mondo esterno e, soprattutto, dai fantasmi che le perseguitano. Ma il passato non si può dimenticare e non tarda a presentarsi.
La tendenza a imitare i modelli pulp provenienti da oltreoceano è una delle cause del malfunzionamento di questo film, insieme a una sceneggiatura zoppicante e alla volontà di fotografare le tendenze e le nevrosi giovanili. Tutto ciò concorre a favorire una dimensione fittizia e fasulla che non trova giustificazione nemmeno nella volontà di produrre un prodotto cinico e grottesco.
I personaggi sono appena sbozzati e scadono facilmente nello stereotipo: se Stella e Lenni sfiorano il ridicolo, rispettivamente per mascolinità ed ingenuità, Pippi, Sandro e Filippo, i tre giovani che le perseguitano, sono addirittura demenziali. Le loro azioni risultano irreali e spesso sproporzionate rispetto agli eventi che le muovono, assicurando in questo modo l'allontanamento dello spettatore dalla narrazione. La regia è incerta e soprattutto incapace tanto di estrarre dal testo quella forza immaginifica che lo ha reso un piccolo cult, quanto di trasmettere agli attori il senso dell'opera, causando un'interpretazione scialba e priva di mordente.
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