Bisognerebbe innanzitutto chiedersi come mai un film uscito in Spagna nel 2007 sia arrivato solo nel 2010 ad affacciarsi nelle nostre sale. Forse il richiamo di due star internazionali come Adrien Brody e Penelope Cruz, forse la vetrina di qualche festival, sta di fatto che ci ritroviamo a visionare soltanto ora, in differita, la tragica storia del mitico torero Manolete, morto tra nel centro di un’arena a soli trent'anni, in pieno regime franchista. Il regista Menno Meyjes (già sceneggiatore per lo Spielberg di Indiana Jones e l'ultima crociata, L'Impero del Sole, Il Colore Viola e regista di pellicole mai apparse in Italia, come Max del 2002, Capa del 2007 e Martian Child del 2007) imbastisce un racconto fatto di flashback, montaggi alternati, misteriose voci narranti che scompaiono quasi subito, incornate al rallentatore, melodrammatiche scene madri, che hanno come unico effetto quello di allontanare lo spettatore dalla materia trattata e dai personaggi. Così, anche due attori di spessore, imbrigliati in questo gomitolo di banalità e retorica, non possono che fornire una prova sottotono. Brody, fisicamente, somiglia molto al torero Manolete, ma fa difficoltà a trasmettere l'aria di decadenza e autolesionismo del torero spagnolo, soprannominato “Il Mostro” per il suo aspetto fisico non proprio avvenente. Penelope Cruz, dal canto suo, si mantiene su livelli discreti, riproponendo sapientemente il ruolo della femme fatale, ma senza raggiungere le vette delle sue ultime interpretazioni (abbiamo ancora negli occhi la sua bella prova ne Gli abbracci spezzati di Almodovar).
Inquadrature che si soffermano su dettagli, moltissimi primi piani al limite del calligrafismo … non si ricorda una sola scena capace di risvegliare lo spettatore da quel vago torpore in cui, suo malgrado, è stato gettato: gli stessi combattimenti in corrida risultano troppo insistiti, ridondanti, barocchi. E, malgrado la cura nella ricostruzione degli ambienti, la fotografia ipercromatica (modello Wes Anderson) di Robert Yeoman, la scelta certosina dei costumi di Sonia Grande (Mare dentro), a conti fatti sembra di sfogliare una bella rivista patinata, piena di lustrini e pubblicità ma terribilmente vuota. Lo scontro Uomo/Animale avrebbe potuto generare una serie di parallelismi, simbolismi, metafore. L'antinomia Eros/Thanatos di freudiana memoria, la metafora di una Spagna infilzata e uccisa dal dittatore Franco, la rappresentazione della seduzione e della tempesta della passione, la danza macabra con la morte, il perbenismo di una società pronta a condannare le relazioni clandestine, i conflitti edipici mai rimossi, la dipendenza da alcol e cocaina. Manolete è fondamentalmente il mito del torero macho spazzato via dalla schiavitù dei sensi. Si poteva aprire un dibattito sull'aspetto fisico del “matador triste” e sulla sua necessità di farsi amare da una donna così bella e sensuale. Quel desiderio che alla fine trova il suo appagamento. E non importa se era tutto finto, era comunque un sogno che bisognava sognare. Un rinviare più in là l'appuntamento “alle cinque della sera”.
Niente di tutto questo. Il film si arena sulla banalità dei dialoghi e sulla ridondanza di un passato e di un presente che si mescolano togliendo qualsiasi punto di riferimento allo spettatore. Per non parlare della colonna sonora, completamente fuori tono, e della scelta, inverosimile, della lingua inglese. Insomma, con tutta questa sequela di errori e contraddizioni, Manolete non può che rappresentare un fulgido esempio di quanto vicino sia lo scarto tra un’opera filmica e un mero esercizio di stile.
TITOLO ORIGINALE: Manolete; REGIA: Menno Meyjes; SCENEGGIATURA: Menno Meyjes; FOTOGRAFIA: Robert D. Yeoman; MONTAGGIO: Frances Parker; MUSICA: Gabriel Yared; PRODUZIONE: Gran Bretagna/Spagna; ANNO: 2007; DURATA: 115 min.
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