"Se non c'è un'altra vita, bisogna pur costruirsela con quegli stessi frantumi". È quanto, a metà della novella Le notti bianche, lo scrittore e filosofo russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij mette in bocca al suo "sognatore". Ma è anche quanto Leonard Kraditor (Joaquin Phoenix), dopo aver tentato il suicidio in seguito alla fine del suo grande amore, cerca di mettere in atto una volta conosciute Sandra Cohen (Vinessa Shaw), la bella e dolce figlia del socio di suo padre, e Michelle Rausch (Gwyneth Paltrow), l'affascinante e incostante vicina di casa.
La vicenda ed i sentimenti del protagonista de "Le notti bianche" sono alcune delle principali fonti di ispirazione di Two Lovers, ultima pellicola - costata 12 milioni di dollari - del regista e sceneggiatore statunitense James Gray, presentata in concorso al 61° Festival di Cannes e seguita da uno strascico di critiche entusiaste (su tutte le francesi). In Two Lovers come ne Le notti bianche, non c'è storia né azione. La città non ha un'esistenza autonoma: è lo sfondo dell'uomo, nonostante sia di esso impregnata. Ma il protagonista vive una crisi dilaniante: ha una feroce coscienza di sé, vive un profondo disagio esistenziale. È affetto da mal de vivre. Una finestra su una crisi così profonda riuscirà a spalancarsi grazie ad un fortuito incontro. "Sia terso il tuo cielo, e luminoso e tranquillo il tuo dolce sorriso, sì, sia tu benedetta per l'attimo d'esultanza e di gioia che donasti a un altro cuore, solitario e riconoscente! Mio Dio! Un intero attimo d'esultanza! È forse poco, fosse anche in tutta la vita di un uomo?".
Stando alle lunghe pause tra un lavoro e l'altro (sei anni tra Little Odessa e The Yards, sette tra The Yards e I padroni della notte), il film di Gray arriva sorprendentemente ad un solo anno di distanza dal poliziesco metropolitano I padroni della notte (anch'esso presentato nella medesima sezione del festival francese) che, nonostante polizia, traffici illeciti, locali notturni e mafia russa, ha di che condividere con Two Lovers: i legami di sangue e le aspettative familiari, spesso frustranti e castranti, il conflitto e le lacerazioni interiori, il dubbio, i dilemmi. Ma condivide anche le strade e gli edifici di New York City, città natale e tanto cara al cineasta, set di tutti i suoi film, così come la presenza di Joaquin Phoenix, l'attore feticcio di James Gray (assente solo in Little Odessa), qui probabilmente alla sua ultima performance cinematografica (l'interprete ha infatti dichiarato che lascerà presto il mondo del cinema per dedicarsi alla sua più grande pa ssione, la musica).
Un Phoenix che con la sua duttilità lascia al cinema un personaggio decadente, conflittuale, profondamente sofferente ed inevitabilmente imperfetto, attratto da soggetti confusi come lui, dalle stravaganze e dalle imperfezioni altrui, che sente proprie, innamorato di un'ossessione, ma che, dopo il dubbio del "tutto è perduto", ritrova la forza per rialzarsi, per ricominciare a sognare, per riprendere a credere e ad avere fiducia nella famiglia, nelle passioni, nell'amore e nella vita. Ed è qui che il regista prende le distanze da Dostoevskij: "Le notti bianche" presenta infatti una struttura circolare, inizia e finisce allo stesso modo (lo stesso che farà Luchino Visconti nella sua omonima trasposizione del 1957). Gray devia: dà la speranza in un futuro e in un amore puro anche in una strada che non avremmo voluto calcolare.
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