11 settembre 2001 - Episodio USA PDF 
Francesca Druidi   

ImageUn vaso di fiori avvizziti giace sulla finestra di un appartamento. Le stanze sono scure, l’ambiente è avvolto da un buio perenne. Si passa a un’altra inquadratura: gocce che perdono da un rubinetto. E poi una sveglia di quelle di una volta che trilla fastidiosamente. Dettagli di vita quotidiana. Quella di un anziano vedovo, il cui volto appartiene all’icona cinematografica Ernest Borgnine (Da qui all’eternità, Il mucchio selvaggio), che si trascina in un’esistenza solitaria, attraversata senza avere la consapevolezza della definitiva scomparsa della moglie. Una figura che, invece, per l’uomo è ancora centrale e ben presente, tanto da essere l’interlocutrice unica ed esclusiva dei suoi monologhi pronunciati a voce alta e anche la destinataria di un abito nuovo ogni giorno, scelto appositamente per lei dal marito tra quelli appesi nell’armadio e posato con dedizione amorevole sul lato del letto occupato un tempo dalla donna.

Come emerge dalle prime riprese, è un dramma intimo e privato quello che Sean Penn sceglie di realizzare per il progetto 11'09''01, in Italia uscito con il titolo esteso di 11 settembre 2001, nel quale undici registi di differente nazionalità - l’egiziano Youssef Chanine, l’israeliano Amos Gitai, l’iraniana Samira Makhmalbaf, l’indiana Mira Nair, l’africano Idrissa Ouedraogo, il nipponico Shohei Imamura, l’inglese Ken Loach, il bosniaco Danis Tanović, il messicano Alejandro Gonzalez Iñarritu e il francese Claude Lelouch - sono stati chiamati a dirigere un cortometraggio della durata simbolica di 11 minuti, 9 secondi e un fotogramma/immagine, per commemorare, ma anche per riflettere, sulla portata dell’attentato alle Twin Towers di New York. Un evento globalizzato nei suoi effetti e ripercussioni che, come sappiamo, da quel momento in poi ha sconvolto irrimediabilmente gli equilibri geo-politici internazionali, alimentando paure e pregiudizi. Unico cineasta americano nel novero, Sean Penn ha dimostrato con il suo episodio di aver raggiunto non solo una certa maturità stilistica, ma anche una profonda sensibilità nel raccontare una storia, dando libero sfogo al proprio personale modo di vedere il mondo, l’America, l’uomo. Qualità che sono state evidenziate in maniera ancora più incisiva dall’ultima acclamata pellicola Into the Wild.

ImageL’approccio adottato da Sean Penn nel suo corto si discosta da quello nettamente politico del quale è impregnato l’episodio di Ken Loach, tra i più duri e provocatori insieme a quello di Chahine e del bosniaco Tanović, che mira a squarciare il velo di indifferenza e silenzio calato negli anni su un altro martedì 11 settembre avvenuto nella storia dell’umanità, assai meno conosciuto. Fondendo afflato documentaristico e finzione cinematografica, il cineasta britannico concentra la sua mdp su un profugo cileno che, da Londra, scrive una lettera simbolicamente indirizzata a tutto il popolo americano in cui esprime solidarietà per le ferite provocate dal crollo delle Torri Gemelle, invocando però allo stesso tempo attenzione verso l’11 settembre cileno. Le immagini e le parole del protagonista tornano, infatti, a quella drammatica data, ricostruendo gli orrori del colpo di stato militare che nel 1973 rovesciò il governo comunista guidato da Salvador Allende acclamato dal popolo. Un golpe che viene ricondotto da Loach, senza mezzi termini, alla responsabilità dell’intervento statunitense, che impose Pinochet al vertice del Paese. Allo stesso modo, il lavoro compiuto da Sean Penn non può nemmeno rientrare in una sorta di riflessione sui media e sull’immagine come quella operata da Amos Gitai nel suo cortometraggio, dove una giornalista scopre che il suo servizio su un'autobomba scoppiata a Tel Aviv non è stato mandato in onda, scavalcato dalle notizie in arrivo da New York, e soprattutto da Alejandro González Iñárritu, che realizza un significativo esempio di non-cinema legato a un profondo ripensamento della capacità del prodotto audiovisivo e televisivo di rendere conto di una tragedia umana nei suoi aspetti più essenziali e, per questo, maggiormente drammatici. Lo schermo nero, commentato da voci spezzate e sovrapposte, sormontato poi dalle parole degli annunciatori dei telegiornali di tutto il mondo che informavano dell’evento, è abbagliato da inserti che riprendono le persone buttarsi dai grattacieli in fiamme, colpiti dagli aerei dirottati dai terroristi. Vittime che hanno fatto una scelta definitiva: cadere nel vuoto piuttosto che rimanere intrappolati nelle fiamme che ardono nelle Torri. “La luce di Dio ci guida o ci acceca?” è il commento finale di Iñárritu nell’episodio, un vero e proprio pugno nello stomaco dello spettatore per l’abilità di tratteggiare il climax dell’attentato senza ricorrere - se non in parte - alle immagini già codificate dall’archivio culturale collettivo.

ImageL’episodio diretto dal regista de La promessa risulta in ultima istanza più affine al corto di Lelouche, che tiene la tragedia delle Twin Towers sullo sfondo della storia d’amore tra una sordomuta e la sua guida, sviluppata nella contrapposizione tra suono e silenzio. Sean Penn adotta una messa in scena ricca e stratificata per trasmettere la condizione dell’anziano personaggio, rinchiuso nella penombra del suo appartamento ma soprattutto nel ricordo della moglie. Le potenti campiture coloristiche, le inquadrature angolate dall’alto verso il basso, i rallenty e gli split-screen impiegati dal regista statunitense, concorrono a esaltare la dialettica tra luce e ombra, tra vita e morte, che attraversa il testo filmico. Legandosi indirettamente alla frase chiave dell’episodio di Iñárritu, infatti, il protagonista dice “E Dio fece la luce” nel momento in cui apre l’armadio per scegliere il vestito da far “indossare” alla moglie. Sean Penn sa ricostruire, con pochi tratti salienti, la solitudine del vedovo nelle sue sporadiche uscite per fare la spesa, nei suoi pasti frugali, nelle sue banali azioni giornaliere come guardare la tv, stirare e radersi. La mattina dell’11 settembre, l’anziano protagonista dorme un sonno agitato mentre sullo schermo di un televisore, lasciato acceso durante la notte, appaiono le sequenze delle Torri colpite. La sveglia in primo piano riporta, infatti, l’orario degli attentati. Ed ecco la svolta: i fiori dell’amata consorte, che boccheggiavano sul davanzale, sbocciano dopo che la finestra viene per la prima volta illuminata grazie alla caduta del primo grattacielo. Ma l'entusiasmo dell'anziano per l’inaspettato irrompere della luce e del calore viene presto smorzato dalla presa di consapevolezza della perdita della moglie che si rivela nella sua essenza: un vestito, un involucro senza sostanza. Al rinascere dei fiori corrisponde lo spegnersi di un’illusione. Il crollo delle Torri, quindi, porta il personaggio ad affrontare la morte, il vuoto rappresentato dall’assenza della compagna di vita. È la tragedia collettiva che s’innesta in quella personale.


TITOLO ORIGINALE: 11’09’’01 – September 11; REGIA: Sean Penn; SCENEGGIATURA: Sean Penn; FOTOGRAFIA: Samuel Bayer; MONTAGGIO: Jay Cassidy; MUSICA: Michael Brook, Heitor Pereira; PRODUZIONE: Egitto/Francia/Giappone/Gran Bretagna/Iran/Messico/USA; ANNO: 2002; DURATA: 11 min.

 


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