L'emploi du temps: la realtà e la libertà PDF 
Umberto Ledda   

Tutte le repubbliche del mondo occidentale sono fondate sul lavoro. Ancora più che le repubbliche, che sono un’astrazione civile del tutto impersonale, è possibile dire che la maggior parte degli esseri umani del mondo occidentale è fondata sul lavoro. Sostanzialmente, poi, lavoro è un termine che si è mantenuto identico nonostante il significato che lo sottendeva sia variato radicalmente nel tempo: in origine stava per fatica manuale, gesto, sudore della fronte. Poi, in mancanza di migliorie lessicali, lavoro è passato a significare (anche e soprattutto) l'impegno terziarizzato delle ultime generazioni. Che con il dispendio fisico ha poco a che fare, e si risolve invece in una declinazione estremizzata e competitiva delle relazioni sociali complesse. Telefonate, riunioni, diplomazia, previsioni, relazioni: tutte forme della fatica intellettuale, tutte forme astratte senza un preciso referente fisico. Qualche decennio fa, osservando questa nuova declinazione di un lavoro sempre più slegato alla pratica fisica e alla realtà dei fatti, si parlava di alienazione: oggi il termine è passato di moda, è diventato scontato e ovvio. Ma la sostanza non è cambiata molto: il lavoro del nostro secolo è in gran parte una forma mentale, un atteggiamento prima che un gesto. Con l'avvento dei mezzi di comunicazione portatili il lavoro ha smesso di avere confini temporali, soprattutto nei campi terziarizzati di medio-alta responsabilità: il fatto che una telefonata o una mail possa arrivare a tarda sera, nel tempo tradizionalmente delegato al riposo, vuol dire che potenzialmente occorre essere in assetto da lavoro ogni ora del giorno. Non appartenendo più al campo del mondo tangibile, ma a quello della comunicazione e del pensiero, e senza più un limite preciso nel tempo, il lavoro è diventato una parte della personalità del lavoratore. Un parassita, un cancro.

Questo è più o meno l'orizzonte su cui si muove Laurent Cantet in A tempo pieno. Vincent è stato executive in una ditta di cui non si conosce il nome, ma che si suppone di medio-grandi dimensioni. Perso il lavoro, il lavoro rimane con lui mentre lui si sforza di uscirne. Ammazza il tempo come può: guarda i bambini passare, gareggia coi treni, va al parco giochi, guida cantando  senza una meta precisa, dorme nell'auto. Esplora i luoghi dove altri lavorano (consulenze economiche, sguardi seriosi e concentrati) come un ospite, abita aziende e agenzie, incapace di uscire dal suo mondo, si isola in una sperduta baita montana, dove continua lo stesso a lavorare di un lavoro idiota e inutile, costruito come passatempo: l'impiego del tempo libero non può prescindere dalla professionalità. Nella mentalità (e nel mondo) di Vincent non avere un lavoro equivale a non esistere. Per cui mente. Di fronte alla moglie, di fronte al padre, di fronte ai tre figli. Conduce con un impegno disperato una menzogna sempre più sottile e faticosa: parla loro di riunioni, di impegni, di cene di lavoro e di una rete del tutto campata in aria. Mentre non muove un dito per trovare un altro impiego, tira in ballo un nuovo lavoro, migliore, all'Onu, terrorizzato dalla realtà e da come potrebbe essere percepita dalla sua famiglia. Per garantirsi e garantire alla famiglia lo stesso tenore di vita chiede soldi agli amici in vista di improbabili investimenti su sospette economie emergenti. Si mette in affari con un losco contrabbandiere, lavora nell'illegalità, ne è nauseato e umiliato, ne scappa. Nel frattempo, per evitare che altri vedano la sua angoscia e risalgano ai motivi, e da questi alla verità, cerca di apparire entusiasta e felice: gli altri si fidano di lui e si entusiasmano del suo entusiasmo, e in Vincent all'angoscia della menzogna si aggiunge quella di aver suscitato aspettative sempre più alte e sempre più distanti dalla verità. Non ha ovviamente tenuto conto (o forse ne ha tenuto conto, ma non ha potuto far altro) del fatto che quello della menzogna è un tunnel: ogni volta che un elemento cede la struttura da costruire è sempre più grande, più inverosimile, più esigente di nuove, e più complesse, spiegazioni. Lentamente, si allontana dalla famiglia e dagli amici, sempre più confusi riguardo ai suoi pensieri: è qui che inizia a non reggere più il gioco, e la verità inizia a farsi strada.

Per Laurent Cantet la perdita di un lavoro è insieme un problema e un'opportunità, quella che il suo protagonista non riesce a cogliere, ossessionato dalla percezione del problema. In realtà, il suo stesso licenziamento ha cause ambigue: il lavoro gli sta stretto, al punto da ricercare la solitudine, il tempo per sé, la libertà da un giro opprimente e impersonale. Vincent ama guidare, ama stare da solo e osservare. Al punto da saltare impegni di lavoro pur di continuare a starsene da solo, osservare, guidare. In pratica, Vincent si è fatto cacciare, ha accettato la situazione che lo avrebbe portato ad essere estromesso dalle logiche del lavoro. È di fatto un uomo che, cacciato dalla società, ha deciso di sfruttare l'occasione. Eppure il lavoro lo viene a prendere, perchè lui stesso non ha avuto il coraggio di abbandonarlo davvero, non l'ha allontanato da sè. Vorrebbe aver abbandonato, ma di fatto è stato abbandonato. Senza questo scarto, non ha speranza di liberarsi. Nell'ambiguità di questa situazione, fra la liberazione dall'oppressione e  l'angoscia dell'essere fuori dai giochi, si muovono le dinamiche della sua paura, che lo obbliga a mentire. Può essere utile osservare l'impostazione spaziale che Cantet dà al suo film: Vincent si muove in geometrie solide e ingabbianti quando visita i luoghi del lavoro, e in spazi sgangherati, pieni di curve che non si incrociano per bene, colorati, quando si trova in luoghi vitali, naturali, slegati dalla professione. Il suo atteggiamento, all'interno di questi luoghi radicalmente diversi non cambia. Nell'ossessione dell'essere in torto, anche la libertà che si è costruito diventa impercettibile e perde valore. Nell'uomo che non lavora emerge ancora, inutile e tarpante, l'abitudine al lavoro. Vincent, nel momento in cui ha tutto il tempo libero che avrebbe sempre voluto, fa la spola da un luogo all'altro convinto di non essere nel luogo giusto. La sua liberazione è incompleta, il lavoro, inteso come status mentale, è diventato nella sua mente più importante di lui.

E così la storia dell'uomo che mente si trasforma nella storia, più universale e comune a molti, dell'uomo con un segreto impossibile da confessare. Il suo è di aver desiderato di essere libero dalla schiavitù terziarizzata del terzo millennio, libero dal labirinto astratto e vischioso della gestione finanziaria. Mente perchè sa che se l'è cercata, mente perchè sa che nessuno accetterebbe il suo desiderio: Vincent è un uomo che si scopre non all'altezza della sua individualità. Come suo solito, Cantet non ha molto interesse a ricostruire una realtà esteriore, gli interessa più quella del suo protagonista: una verità intima, privata, anche assurda, ma inequivocabilmente umana. Esplora un territorio sottile che sta dietro ai fatti, quello delle motivazioni personali, della matrice umana e non sociologica che sta dietro ai problemi più sgradevoli della nostra società. Partendo da un tema rappresentabile principalmente secondo le dinamiche del cinema sociale, Cantet racconta una storia personale, che proprio nell'essere slegata da analisi generiche riesce ad essere universale. Siamo esattamente a metà fra due altri ottimi film sul lavoro e sulla sua assenza. Il primo è L'avversario di Nicole Garcia, tratto dal libro di Emmanuel Carrere, a sua volta ispirato alla stessa vicenda di cronaca alla base di A tempo pieno (1993: Jean Claude Romand, sedicente medico internazionale, dopo vent'anni di menzogne uccide moglie, figli, e genitori e poi si ammazza). Il secondo è I lunedì al sole di Fernando Leon de Aranoa. Il soggetto del primo è grossomodo identico a quello di A tempo pieno, ma a differenza che nel film di Cantet, si mostra più aderente con la realtà dei fatti, incentrandosi su un freddo e sgradevole massacro. Il secondo è una commedia triste di vite scompaginate dal licenziamento: una sorta di riabilitazione alla percezione del mondo e della natura. I due film sono diametralmente opposti. Il primo si muove su territori quasi satirici negli intenti, raccontando la necessità del lavoro e soprattutto del ruolo sociale in maniera grottesca e paradossale, smontato in una serie di flashback che gli danno una sorta di aura psichiatrica. Il secondo è un (forse ingenuo, ma sincero e umano) inno alla vita, una dichiarazione di speranza che sì, uscire dall'alienazione è possibile: magari difficile e scomodo, ma possibile, quando si ha il coraggio di mantenere la propria dignità, qualunque cosa accada.

A tempo pieno
sta nel mezzo. Non c'è l'ossessione per lo status sociale, né la svolta cruenta de L'avversario, eppure la visione della società è simile: il lavoro è un parassita che promette benessere e prestigio, e che mantiene quanto promesso, ma in cambio si prende un bel po' di spazio dell'inconscio del lavoratore. De I lunedì al sole c'è invece la rivalutazione di una vita libera e senza l'oppressione del lavoro, di come possa valer la pena vivere anche senza una carriera ben avviata. Vincent è incapace di sfruttare la sua opportunità, è vero, e torna nei ranghi una volta che il suo inganno è scoperto. Ma c'è, nel suo ultimo sguardo in macchina, nel pieno di un colloquio di lavoro che è nello stesso tempo promettente e nauseante, una sorta di amara consapevolezza di aver comunque visto l'altra realtà. Una realtà che è fatta di una sorta di emarginazione sottile, ma che può contare su un elemento inesistente in campo professionale: l'osservazione e il godimento della vita. Fosse anche solo il sole sulla faccia in una mattina serena.


TITOLO ORIGINALE: L'emploi du temps; REGIA: Laurent Cantet; SCENEGGIATURA: Laurent Cantet, Robin Campillo; FOTOGRAFIA: Pierre Milon; MONTAGGIO: Robin Campillo, Stéphanie Leger; MUSICA: Jocelyn Pook; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 2001; DURATA: 134 min.

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.