We are the future of containment. John Hillcoat's Ghosts…of the Civil Dead PDF 
Nando Dessena   

Ghosts... of the Civil Dead, lungometraggio d’esordio di John Hillcoat, regista australiano già attivo nel mondo dei videoclip, venne presentato per la prima volta al festival di Venezia nell’edizione del 1988, durante la settimana della critica, e uscì ufficialmente a dicembre dello stesso anno nelle sale europee. La stesura del soggetto, ispirato alla biografia del celebre criminale statunitense Jack Henry Abbot vede la collaborazione dello stesso Hillcoat, di Evan English, già produttore del film, del musicista Nick Cave, autore insieme a Blixa Bargeld e Mick Harvey anche della colonna sonora, di Gene Conkie e Hugo Race. Questo primo, freschissimo lavoro di John Hillcoat mette in scena una sorta di strumentalizzazione socio-politica della detenzione coatta messa in atto da un potere forte affinché “liberando un prigioniero si riesca ad incarcerare il resto del mondo”. La riflessione va ben oltre la denuncia dei soprusi e delle vessazioni subite dai detenuti, siamo lontani dal classico high concept da filone carcerario: niente piani d’evasione, né rocambolesche fughe catartiche. L’amarezza del meccanismo coercitivo con cui un essere umano viene privato di tale status rimbalza dalle asettiche pareti di un carcere di massima sicurezza alla pallida galleria di una stazione metropolitana. After us, comes you, scriveva Abbot nelle pagine di In the Belly of the Beast, controverso libro che racconta le sue memorie, riferendosi al grave danno che il sistema di detenzione arreca alla società nel suo contribuire a fomentare l’omofobia.

La figura del detenuto, del delinquente irrecuperabile confinato in un inferno senza uscita, appare dunque perfettamente funzionale, o se ci si vuole spingere oltre addirittura necessaria all’esercizio del potere, che ostenta valori imprescindibili, la sicurezza su tutti, e che ha morbosamente bisogno di un selvaggio, buio e urlante contraltare per affermare la propria immagine di civiltà, a patto che tale nemesi (nell’accezione più anglosassone del termine) giaccia stordita, innocua e incatenata. Liberare la bestia ha senso solo nella misura in cui si voglia dimostrare al mondo, almeno a quell’ampia fetta di mondo abbagliata dall’illusione dell’autodeterminazione, che l’isolamento delle mele marce, il lockdown, è essenziale, inevitabile, perché prima o dopo il criminale infrangerà nuovamente la legge, facendosi beffe dell’ordine costituito. La paura consentirebbe loro di controllare tutto, e in questo modo nessuno sarebbe libero. Queste le conclusioni a cui giunge il detenuto Glover alla fine del film e che contribuiscono a connotare la pellicola di Hillcoat come un lucido pamphlet di inusitata ferocia sulle dinamiche di controllo sociale.

People are scared. They're scared of each other because of people like me. That's the way they want it because then it always stays the same. They keep control that way. Fucking idiots. Fucking fools. I was never free. Nobody's ever free. One man released so they can imprison the rest of the world. E continua,  I was trained to do what I did. 'Convicted Killer Does it Again' screaming in the headlines and I remember an advertisement for home security alarms and an article 'Police Demand More Power'. They bred me to create fear and I did just what I was supposed to do. La questione è perfettamente in linea con la tesi esposta da Noam Chomsky nel saggio Media Control, dove lo studioso statunitense evidenzia quanto sia necessaria la pratica della distrazione sociale, perpetrata attraverso la diffusione di una paura generalizzata (You've got to keep them pretty scared!) che impedisca ai cittadini di dedicarsi al pericoloso esercizio del pensiero. L’idea di fondo è che sia la società stessa a generare deliberatamente determinati eventi, atti di estrema violenza nella fattispecie, per poterne trarre un vantaggio, economico ma non solo, attraverso un mirato sfruttamento e un’opportuna strumentalizzazione. Nello scarno ma interessantissimo sito web dedicato alla pellicola dal produttore Evan English (http://ghostsofthecivildead.com) vengono forniti spunti provocatori a questo riguardo.

Ghost... of the Civil Dead, realizzato in piena neo liberal age, prenderebbe dunque le mosse da una palese critica alla logica di auto-evidenza che ha consentito a statisti quali Reagan e Thatcher di imporre il dogma del neoliberismo in tutto il mondo economico occidentale, quasi fosse una legge di natura. La privatizzazione dei beni statali, la deregolamentazione dei mercati finanziari e l’infiltrazione progressiva delle leggi di mercato nella vita quotidiana hanno contribuito alla netta trasformazione della società odierna e ad una tutt’altro che equa ridistribuzione delle risorse e della ricchezza. Il benessere, the wealth, è ormai concentrato nelle mani di un’oligarchia, un piccolo ma potente 1%, mentre si registra un sensibile incremento della surplus population di cui sono piene le carceri. Si calcola che negli USA la popolazione carceraria sia oggi tre volte e mezzo superiore a quella registrata nei primi anni Ottanta e che il bilancio del Dipartimento di Giustizia in venti anni sia cresciuto del 900%, mentre i princìpi di legge ed ordine vengono strombazzati in pompa magna ad ogni campagna elettorale. La costruzione di nuovi alloggi penitenziari segue un trend vertiginoso anche nel resto del mondo occidentale e tendono ad inasprirsi le regole punitive.

Il ricorso all’isolamento, una volta estrema misura d’emergenza, sembra essere divenuta ormai una sorta di buona pubblicità per esaltare l’efficienza di nuove strutture di massima sicurezza. E John Hillcoat parte proprio da questo presupposto per la sua incursione nell’universo carcerario. Un’onnipresente amministrazione, sorta di oppressiva quanto incorporea entità fuori campo, fornisce input negativi sia ai detenuti che alle guardie penitenziarie, attraverso la diffusione di droga, l'inserimento di soggetti a rischio (si veda la delirante interpretazione di Nick Cave) e costrizioni di sorta, in modo da scatenare un’apoteosi di violenza che giustifichi la procedura di lockdown, ovvero un isolamento continuativo dei prigionieri. Figure centrali del film sono i tendenziosi rapporti di un comitato d’indagine incaricato di stabilire le cause di tale isolamento, presentati allo spettatore attraverso sterili scripts che rendono ancora più avvilente la natura falsa e capziosa dei propri contenuti. Probabilmente, la qualità che rende il film di Hillcoat così disturbante è proprio l’asetticità dello sguardo elettronico, gli scatti repentini delle immagini sgranate riprese dal circuito di videosorveglianza in netto contrasto con la fluidità della macchina da presa che segue i personaggi immersi in un set saturo di giallo e blu, quasi fosse un centro commerciale più che un carcere. Si respira innegabilmente un’aria pop che contribuisce a sottolineare la contiguità, già evidenziata nella presentazione di Evan English, tra l’operazione lockdown e una subdola manovra economica di ampia portata.

A metà strada tra Warhol e l’apologo debordiano, Hillcoat mette a nostra disposizione in Ghosts... of the Civil Dead la sua esperienza nella società dello spettacolo, svelando gli inganni, la mistificazione del capitale che si fa immagine. Why they turning the TV's off? They could say what they liked about contraband and weapons and drugs because officially you weren't supposed to have stuff like that. TV's though? You don't turn somebody's TV off when he's stuck in his cell all day. You're asking for something to happen when you come with stuff like that. Uno degli input scatenanti la violenza e le azioni più efferate, non a caso, è l’interruzione della linea televisiva, medium dalla vocazione comunicativa ontologicamente unilaterale e unica finestra sul mondo esterno o, per meglio dire, sorgente della manipolazione e di un isolamento di secondo grado. Il detenuto diviene un civiliter mortuus, ovvero un essere umano che ha perduto ogni diritto civile, appunto un civil dead...

Si rende così ancora più palese l’interconnessione nel lavoro di Hillcoat tra istituzione carceraria e società: il microcosmo penitenziario altro non è che il riflesso del macrocosmo società, e l’originalità di Ghosts... of the Civil Dead risiede proprio nella capacità realizzativa di collocare il fulcro della crisi non tanto all’interno del carcere bensì nel cuore della civiltà capitalistica occidentale. L’industrializzazione priva la detenzione del proprio carattere propedeutico al reinserimento sociale, della correzione dell’aberrazione. I comportamenti violenti e l’insubordinazione vengono anzi scientemente provocati in modo da giustificare agli occhi dei contribuenti, dell’opinione pubblica, la necessità di edificare nuove strutture di massima sicurezza. In breve, tristemente, the future of containment.

TITOLO ORIGINALE: Ghosts…of the Civil Dead; REGIA: John Hillcoat; SCENEGGIATURA: Nick Cave, Gene Conkie, Evan English, John Hillcoat, Hugo Race; FOTOGRAFIA: Paul Goldman, Graham Wood; MONTAGGIO: Stewart Young; MUSICA: Blixa Bargeld, Nick Cave, Mick Harvey; PRODUZIONE: Australia; ANNO: 1988; DURATA: 93 min.

 


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