Pordenone - Silent film fest 2001 PDF 
di Lorenzo De Nicola   

Non sono mai abbastanza gli elogi per quella piccola/grande manifestazione che è il Festival del cinema muto. Giunta alla sua ventesima edizione, quest'anno ha portato sul grande schermo del teatro Zancanaro di Sacile quelle pellicole, per lo più misconosciute, che hanno radicato la settima arte nell'estremo oriente. La sezione Luce dell'oriente: cinema muto giapponese, 1898-1935 vantava la presenza di registi come Masahiro Makino, Tsuruhiko Tanaka, Kenji Mizoguchi, Daisuke Ito, Teinosuke Kinugasa solo per citarne alcuni. Di quest'ultimo si è potuta apprezzare l'opera Kurutta Ippeiji (Una pagina folle, 1926) - capolavoro dell'avanguardia giapponese - accompagnata per l'occasione dalla suggestiva colonna sonora del compositore Teho Teardo, esponente di punta della musica elettronica internazionale. E ancora bisogna menzionare il solito The Griffith Project, ennesimo tassello di una retrospettiva che dura ormai da cinque anni, e il progetto Oscar Micheaux and his circe, riguardante la produzione americana per spettatori di colore.

Ma il vero evento è stato la proiezione del Napoléon (1927), titanica opera culto di Abel Gance.Giunta al suo terzo restauro, curato dallo studioso inglese Kevin Brownlow, la pellicola del regista francese ha svelato un fascino al di sopra delle aspettative dei presenti. Il Napoléon è subito apparso come il capolavoro di una mente geniale. Gance (che interpreta la figura del terribile Louis Saint-Just) decide di seguire le gesta del soldato sin dall'infanzia, cercando di costruire una figura (o un'icona) predestinata al comando, al successo, alla conquista del mondo. Al tempo stesso affianca alla sua opera di mitizzazione, volontari momenti ironici che ridimensionano, nel complesso, il tono celebrativo.

Ma il soggetto e la sua maggiore o minore attinenza alla realtà, occupa realmente una posizione secondaria. Il Napoléon di Gance si contraddistingue per un estro artistico unico. Da subito il ritmo è incalzante e il regista dimostra di voler sfruttare a pieno le possibilità espressive del mezzo. La macchina da presa si muove continuamente (per l'occasione era stato messo a punto un modello leggero che permettesse riprese a mano, la Debrie Photociné Sept; venne inventato un ascensore di ripresa e un pendolo parallelogrammatico per sbilanciare i movimenti di macchina) e segue i personaggi nelle loro gesta. Che sia il campo di una battaglia furibonda, come una tempesta, come una riunione indemoniata, Gance non teme di lanciarvi la sua cinepresa generando così scene d'incredibile pathos e realismo.

La modernità di questo film, che costò alla coproduzione franco tedesca Pathé/Wengeroff-Stinnes la bellezza di diciassette milioni di franchi, è sbalorditiva. Il regista sembra non voler porre limiti alla propria libertà creativa che incontra il suo apice nella proiezione simultanea a tre schermi. Gance, come se non bastasse ciò che fino a quel momento aveva prodotto, decide di moltiplicare il punto di vista, triplicare (o ancora si potrebbe dire elevare a potenza se si considera il complesso lavoro di dissolvente e sovrapposizioni) il livello informativo. Il pubblico viene letteralmente investito e fagocitato dalla grandiosità delle immagini provenienti dallo schermo, dando vita ad un momento di fruizione collettiva senza precedenti. Il risultato è facilmente intuibile e s'iscrive, da subito, nelle pagine della storia del cinema. Nella versione restaurata la proiezione a tre schermi è stata circoscritta alla sequenza conclusiva dell'incitamento verso l'esercito e della partenza per la campagna d'Italia. Pochi minuti in cui comunque si può assaporare la grandezza di ciò che è stato, la magnificenza del regista francese.

 


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