TOFIFE 2004 / The Grudge PDF 
di Alessio Gradogna   

Il remake diviene ibridazione: di generi, di stili, di contesti, di culture. Sam Raimi, ormai pienamente inserito nella logica commerciale hollywoodiana, ha visto giusto anche questa volta: prendere un horror orientale di grande successo in patria, rifarlo mantenendo lo stesso regista del film d'origine, assoldare attori americani di richiamo, spostare la troupe in Giappone - e non viceversa, come da recente consuetudine - e favorire gli incassi attraverso un battage pubblicitario di notevole impatto.

Il film d'origine in questione è Ju-On, il regista è Takashi Shimizu, le star americane Sarah Michelle Gellar (Buffy L'Ammazzavampiri) e Bill Pullman (Strade Perdute), il produttore lo stesso Raimi.

L'infermiera americana Karen, in trasferta giapponese per motivi di lavoro, si scontra con le difficoltà di una lingua sconosciuta e di un paese straniero. Come primo incarico le viene assegnata la temporanea custodia di Emma, una sua connazionale (Grace Zabriskie, la madre di Laura Palmer in Twin Peaks) con gravi problemi di catatonia. Giunta in quella casa Karen scopre però un mondo di fantasmi, segreti, apparizioni, morti misteriose, maledizioni, scricchiolii ed eventi soprannaturali che metteranno in pericolo la vita sua e di tutti quelli che avranno (e che hanno avuto in passato) a che fare con quell'abitazione.

La carta vincente della versione americana di The Grudge, presentata in anteprima al Torino Film Festival e in uscita nelle sale il 5 gennaio, è proprio l'idea di lasciare alla conduzione Shimizu, e di lasciarlo libero di mantenere intatte le tematiche e i dettami stilistici del film prototipo. Chi dunque conosce già la versione giapponese noterà notevoli somiglianze visuali e sintattiche, nonché una riproposizione pressoché identica (nella scrittura e perfino nelle inquadrature) di alcune sequenze che si pongono come capitoli chiave nella progressione degli orrori indicibili ed inimmaginabili che popolano la casa, teatro di un'antica maledizione secondo la quale chi muore in preda alla rabbia e senza pace continuerà a tormentare chiunque metta piede in quel luogo. La lunghezza della pellicola è di circa 20 minuti più ampia rispetto al Ju-On nipponico, e l'unica concessione agli standard filmici americani è l'utilizzo di inserti, visivi e al contempo sonori, di facile impatto emotivo presso un pubblico soprattutto adolescenziale, oltreché una caratterizzazione della componente magica e sovrannaturale di più decisa impronta rispetto agli orrori terreni, quotidiani e per questo ancor più spaventosamente reali della cinematografia d'Oriente.

Ma la solidità di fondo di una storia che sa inquietare realmente non viene scalfita, i colpi di scena si susseguono quasi sempre nei giusti tempi e con efficaci scelte di ripresa, il mescolarsi di azioni al tempo presente e flash-back esplicativi non toglie densità e continuità alla vicenda, il montaggio sapientemente trattenuto concede spazio all'immaginazione dello spettatore scegliendo di volta in volta se mostrare il macabro o lasciarlo solo intuire, la maledizione della casa diviene soggetto portante della narrazione abbassando l'uomo a pedina semovente e impotente di fronte alla forza occulta di ciò che non si può combattere, e la Gellar, eroina del giovane pubblico americano, pur confermando limiti tecnici ben definiti, non sfigura, riuscendo con discreta resa a calarsi nelle maledizioni e nei traumi causati da gatti neri, cadaveri non propriamente tali, bambini vendicativi, padri impazziti e presenze oscure e invadenti.

Negli ultimi anni si è dimostrato con sufficiente margine di certezza come la cinematografia horror d'Oriente abbia saputo innovare se stessa e proporre prodotti qualitativamente superiori rispetto ai corrispettivi occidentali, legati in formule ormai stantie e incapaci di uscire dal muro di un preciso target di fruizione. Pellicole forse discutibili dal punto di vista concettuale ma sicuramente significative nella loro accezione puramente filmica come The Ring di Hideo Nakata, Audition di Takashi Miike (tra l'altro il poliziotto di The Grudge, incaricato di indagare sulle misteriose morti all'interno della casa, è proprio Ryo Ishibashi, protagonista del film di Miike), Suicide Club di Shion Sono, A Snake Of June di Shinya Tsukamoto (in cui l'horror si scioglie nelle presunte perversioni di un erotismo in realtà commovente e intriso di poesia), Dark Water dello stesso Nakata (anch'esso in vista di remake), e Battle Royale di Kinji Fukasaku, solo per citarne alcuni, hanno formato un nucleo di valore assoluto che poco alla volta, pur con molte difficoltà, ha saputo travalicare i confini geografici per giungere anche nei nostri paesi; un insieme di film in grado realmente (e finalmente) di far paura, come da prima legge atavica dell'horror, e di mostrarci senza freni consolatori come il suddetto orrore possa svelarsi sia attraverso gli archetipi della tradizione (fantasmi, maledizioni, magia), sia come fattuale metastasi in grado di crescere e svilupparsi all'interno delle nostre anime e del nostro quotidiano. Ju-On fa parte di diritto di questa piccola grande famiglia, ed il remake pensato e voluto da Raimi dimostra come sia possibile rifare con accortezza un film senza perderne per strada lo spirito e le significazioni originarie.

Che serva da esempio per il futuro.

 


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