Requiem for a Dream PDF 
Michele Segala   

Requiem for a Dream è la storia di Harry, eroinomane che scende e sale spirali e spirali di squallore nel tentativo di procurarsi una dose (prima), e (poi) di costruirsi una parvenza di vita compiuta, ragazza compresa, attraverso il traffico di droga messo in piedi con il compare Tyrone. A fare da contrappunto alle loro dipendenze, c'è la storia di Sara Goldfarb (Ellen Burstyn), la madre di Harry, che sviluppa una dipendenza, all’apparenza molto più socialmente accettabile, dalla televisione spazzatura, una dipendenza tale da spingerla ad inseguire una folle dieta dimagrante nella speranza di poter apparire un giorno in uno dei suoi show preferiti, e che ne fa (ironia della sorte) una tossica né più né meno del figlio Harry.

Girato con molta autoconsapevolezza da Darren Aronofsky, Requiem è un film postmoderno e fiero di esserlo: le suo barocche divisioni dello schermo (split screen), i tagli di montaggio ad alta velocità, l’inseguire soluzioni registiche ed espressive singolari, tutto è parte strutturale e strutturante del film. Aronofsky ha dimostrato con Pi greco di essere un giovane regista estremamente dotato, e con questo suo secondo lungometraggio fa un paio di passi in avanti, abbracciando trucchi di regia di grande effetto nel tentativo (non facile) di adattare al meglio per il grande schermo il quarto romanzo omonimo di Hubert Selby Jr. Il vortice ad alta intensità di montaggio del regista americano fa da contraltare al fìume di parole in (apparente) libertà della prosa di Selby: nessuna pausa, pochi istanti per metabolizzare crisi, pensieri, shock, e un’osservazione dello scorrere delle vite dei suoi protagonisti talmente vicino al loro sentire da dare l’impressione talvolta di stare osservando un crudele esperimento al microscopio, e allo stesso tempo di vivere sotto la pelle di Harry, Sara o Marion. La macchina da presa, e prima la penna di Selby, sembra trasformarsi in carta vetrata che si muove sulle ferite delle loro vite, passandovi sopra più e più volte, senza timore, con poca pietà, lasciando allo spettatore un sentimento di vicinanza e sconcerto (tanto visivo quanto emotivo) di non facile gestione.

Storie di droga e storie di dipendenza sul grande schermo riportano alla mente non pochi titoli, tra cui alcuni particolarmente importanti come Trainspotting o L’uomo dal braccio d’oro, e il lavoro di Aronofsky si muove in una direzione che non si può certo dire sconosciuta: quella di mostrare una sottocultura (qui dei drogati, siano essi di eroina o di televisione) abietta e disumanizzante, fino al punto di renderla rivoltante e psicotica. Gli squarci di umanità o di bellezza in Requiem sono rari e ridicoli (la storia d’amore vacua tra Harry e Marion), mezzi spicci per mostrarne la loro inconsistenza. Aronofsky pare piuttosto interessato alla psicosi cui portano queste dipendenze: braccia nere di cancrena che devono essere amputate come in un vecchio (e un po’ maldestro) Cronenberg, o la resa discretamente ridicola dello show televisivo che permea le fantasie della vecchia Sara (quale sia l’intenzione – critica sociale o ironica parodia – il risultato è debole e poco convincente), per non parlare del frigorifero che diventa un'enorme bocca affamata di carne umana (ancora Cronenberg e il suo Il pasto nudo?), e che per distorsione della percezione dello spettatore non va molto oltre la prova di un buon studente di scuola di cinema. Aronofsky, insomma, preme forte l’acceleratore su molti (e forse troppi) trucchi, mancando talvolta di fantasia, cercando di compensare con la disinvoltura nell’uso dei propri mezzi. Il risultato è un film che si muove interamente attorno a un montaggio drogato che nei momenti migliori (la sovrapposizione dei visi “fatti” dei personaggi e dell’oggetto delle loro fantasie tramite lo split screen) si fa mezzo ideale per la prosa urbana e densissima di Selby, ma che in altri – e la rapida sequenza di orrori che porta al finale del film è tra questi – calca la mano sui personaggi distorcendone la dimensione con il concreto rischio di declassarli a pupazzi da melodramma borghese in salsa post moderna. La madre, incapace di rimanere sola, non può che impazzire, mentre i drogati “tout court” saranno puniti con sarcasmo (mentre la brava ragazza della famiglia bene diventa una sgualdrina da circo per il piacere dei viziosi uomini d’affari di Manhattan).

Va aggiunto, in conclusione, che nel libro di Selby, per quanto basse e sordide potessero sembrare le vite dei personaggi, la prosa non mancava di far brillare di tanto in tanto, con rari raggi di inaspettata bellezza, le misere esistenze narrate, riuscendo così a far nascere nel lettore una compassione che è una delle chiavi della poetica dello scrittore americano. Nel suo corrispettivo per il cinema, invece, alla comprensione delle sofferenze umane (così ben descritta invece da Selby stesso negli extra del DVD) la narrazione di Aronofsky preferisce il solo carattere del grottesco: lo spettatore viene così stordito in una mirabolante, dettagliatissima, crepitante cascata di immagini tanto eccessive quanto portentose.

TITOLO ORIGINALE: Requiem for a Dream; REGIA: Darren Aronofsky; SCENEGGIATURA: Hubert Selby Jr., Darren Aronofsky; FOTOGRAFIA: Matthew Libatique; MONTAGGIO: Jay Rabinowitz; MUSICA: Clint Mansell; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2000; DURATA: 102 min.

 


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