Blair Witch War – Tra Catalizzazione Mediatica e apparente Innovazione PDF 
Filippo Magnifico   

Come troppo spesso accade, ci si ritrova a parlare di film ormai dimenticati nel momento in cui nuove pellicole, di stampo similare, riescono a creare veri e propri fenomeni mediatici. E’ questo il caso di “Blair Witch Project”, progetto “rivoluzionario” a suo tempo, ben presto dimenticato e per causa di forza maggiore tornato alla ribalta grazie alla recente uscita di titoli come “Cloverfield”, “Rec” e “Diary of the Dead”, opere cinematografiche che devono il loro successo ad un impianto narrativo pseudo amatoriale e, soprattutto nel caso di “Cloverfield”, ad una furbissima campagna pubblicitaria, frutto di originali (in alcuni casi più interessanti del film stesso) operazioni di marketing. Ma la pubblicità e il passaparola sono riusciti a fare molto anche in quel lontano 1999 ed è più che doveroso quindi riportare alla memoria questa singolare operazione (cinematografica solo in parte), restata sulla bocca di tutti per un anno circa e a sua volta debitrice di ben più importanti operazioni di “massificazione mediatica”.

“Blair Witch Project” (da questo momento lo chiameremo “BWP”)nasce nel 1993 da un’idea di due giovani cineasti Statunitensi, Eduardo Sanchez e Dan Myrick. Il progetto è semplicissimo: alcuni giovani ragazzi, persi all’interno di un bosco durante la registrazione di un documentario, si ritrovano alle prese con inquietanti fenomeni paranormali, legati alla figura leggendaria di una strega (la “Blair Witch” del titolo). Nel 1997, una volta scelto il cast (due uomini e una donna) e ultimata una sceneggiatura di circa 35 pagine (più che altro un’indicazione per gli attori) cominciano le riprese che, per circa otto giorni, sono affidate all’autodirezione dei protagonisti, impegnati a intervistare cittadini ignari (ma molto collaborativi e pronti ad assecondare l’idea di un bosco maledetto) e lasciati soli all’interno della fitta vegetazione, con pochi punti da seguire e liberi di dar sfogo ad un’improvvisazione in realtà più vera di quanto possa sembrare. Da questo punto di vista, risulta alquanto singolare definire i due giovani ideatori del film “registi”, ma se guardiamo alla traduzione letterale del vocabolo inglese (“Director”, “Direttore”), si può benissimo intuire come il termine si addica maggiormente.

Sanchez e Myrick infatti non hanno fatto altro che dare direttive al cast, lasciandolo solo nel bosco (più precisamente facendoglielo credere, in realtà gli attori sono sempre stati seguiti e sottoposti a loro insaputa a scherzi di vario genere) con poche indicazioni e affidando le riprese al semplice uso di telecamere amatoriali, cosa che ha ovviamente contribuito a rendere quel senso di realtà, essenziale alla buona riuscita del film, soprattutto durante il lancio pubblicitario.

Non dobbiamo infatti dimenticare che l’impianto narrativo della pellicola è in prima persona, affidato alle immagini riprese dagli stessi ragazzi e, come specificato dalle didascalie poste all’inizio del film, montato in seguito al ritrovamento dei nastri, avvenuto durante le ricerche dei giovani scomparsi. Una mossa che si è rivelata vincente per due motivi principali:
• La veridicità presunta del documentario;
• Il “coinvolgimento” provocato dalla narrazione in soggettiva.

Cose comunque non nuove, che traggono spunto da titoli altrettanto famosi e controversi. La tecnica del finto reportage infatti era già stata utilizzata in passato (stiamo parlando del 1979) da Ruggero Deodato, che all’interno del suo raccapricciante, ma alquanto profetico, exploitation movie “Cannibal Holocaust” aveva alternato riprese filmiche “classiche” ad altre facenti parte di un presunto documentario ritrovato nella Foresta Amazzonica, unica testimonianza di un gruppo di “ricercatori” scomparsi misteriosamente. C’è da dire che il comportamento tenuto da Deodato prima dell’uscita del film, ricorda sotto alcuni aspetti quello dei giovani registi di BWP. Per circa un anno infatti i protagonisti di “Cannibal Holocaust” furono fatti sparire dalla circolazione. Un’operazione talmente riuscita che provocò al regista la pesante accusa di omicidio e il sospetto di aver girato in realtà uno “Snuff Movie”[1]. Ovviamente le accuse si rivelarono infondate.
Altra visione “amatoriale”, altrettanto famosa, è stata “Il Cameraman & l’Assassino”, pellicola del 1992 diretta da Rémy Belvaux (morto suicida nel 2006 a soli 39 anni). Tale titolo si presenta come un documentario sulla vita di un serial killer e, come l’opera di Deodato, contiene al suo interno una riflessione sul concetto di Media e Realtà, visti nella loro fusione e trasfigurazione di un “Cine Occhio” falso e seducente (ma nel modo più malsano). Risulta singolare inoltre vedere come tutti e tre i film siano accumunati, oltre che dall’impianto narrativo, dal medesimo finale (ovviamente per quanto riguarda “Cannibal Holocaust” il riferimento è alla conclusione del documentario ritrovato), consistente in una “caduta libera” della soggettiva. Caratteristica che accomuna anche un altro titolo recente, “Rec” di Jaume Balagueró. La motivazione di tale scelta è semplice: all’interno di un lungometraggio “tradizionale” il concetto di “regia silenziosa” ipotizza un’ideale inconsapevolezza da parte dello spettatore, il quale dovrebbe astrarsi a tal punto da dimenticare tutto ciò che c’è dietro una ripresa. Un documentario è diverso.

La sua stessa essenza presuppone una consapevolezza da parte del pubblico, cosciente del fatto che c’è un uomo a reggere quella telecamera. Far cadere precipitosamente il piano di visuale, pur non provocando alcuna immedesimazione, riesce a far scattare nella mente dell’osservatore una serie di ragionamenti elementari, ma di sicuro impatto (è caduto il protagonista? E’ morto? Chi lo ha colpito?). La narrazione in prima persona, estraniante ma al tempo stesso molto funzionale, non è a sua volta un concetto nuovo per il grande schermo, basta citare titoli come “Una donna nel lago” o “La fuga”, lungometraggi che basano il loro impianto narrativo quasi esclusivamente sulla soggettiva, anche se il risultato non può dirsi del tutto felice. Se da un lato la prima persona si presenta come un gustoso esercizio di stile (come nel caso dello stupendo incipit di “Omicidio in diretta”, film diretto da Brian De Palma), dall’altro non potrà mai del tutto riuscire nel compito da lei prefissato. Difficilmente un film può provocare un’immedesimazione totale.

A questo proposito risulta esemplificativa l’opera prima di Spike Jonze, “Essere John Malkovich”, pellicola “metacinematografica”, che riflette sul concetto precedentemente accennato di immedesimazione totale tra soggetto vedente e film. Cosa di fatto impossibile. Vedere ciò che vede il protagonista di una storia non comporta infatti una presa di coscienza, questo può succedere solo nella fantasia. Le cose cambiano però se ci troviamo di fronte ad un Horror. Sappiamo benissimo come all’interno di tale genere, soprattutto nei classici, la visione assume un’importanza assoluta. E’ infatti grazie ai movimenti della macchina da presa che lo spettatore si trova, suo malgrado, a dover fare i conti con ciò che non vorrebbe vedere, costretto quindi ad osservare l’orrore (e pellicole di registi come Roger Corman o Mario Bava sono lì a dimostrarcelo). All’interno di BWP l’occhio della telecamera coincide con la visione dei protagonisti, creando un gioco che, pur non provocando immedesimazione, riesce a catalizzare l’attenzione dello spettatore per due semplici motivi:
• La visione disturbata del mezzo non professionale;
• La “diretta sfasata”.

La telecamera amatoriale ci costringe a guardare l’orrore, eliminando però allo stesso tempo ogni tipo di forzatura. L’immagine sfocata e mossa, spinge lo spettatore a mostrare più attenzione nei confronti dei particolari creando un risultato di mediazione tra osservatore e film (il solito concetto del “non visto”, più terrificante dell’orrore in se). Oltretutto all’interno del documentario la concezione di montaggio onnisciente cade, creando una sorta di visione “in diretta” (gli stacchi temporali sono solo in crescendo).Come abbiamo visto, BWP si basa su presupposti non di certo nuovi, ma allora a cosa è dovuta l’enorme catalizzazione mediatica?

Tralasciamo per un attimo il film, per riportare alla memoria un analogo caso. Il 30 Ottobre del 1938 la CBS, come di consuetudine, trasmise il programma “Mercury Theatre on the Air”. La scaletta prevedeva una trasposizione radiofonica, diretta da Orson Welles, del romanzo fantascientifico di H. G. Welles, “La guerra dei mondi”. Cosa accadde in quell’ora di trasmissione è cosa nota e indubbiamente leggendaria. Su circa sei milioni di ascoltatori, quasi un sesto fu persuaso a tal punto da credere realmente che la loro nazione, il loro stato, la loro città, fossero invase dai marziani, cosa che diede luogo a scene di isterismo di massa. L’opera orchestrata da Welles si dimostrò come uno dei più importanti fenomeni di persuasione mediatica, provocando enormi grane ma anche tantissimo successo al futuro regista.
Possiamo elencare alcune motivazioni principali di tale “successo”: [2]

1. Pianificazione del Radiodramma:
Su circa sessanta minuti di trasmissione, quaranta sono impostati come radiocronaca in diretta, con tanto di collegamenti con esperti, personalità politiche e riferimenti a luoghi realmente esistenti.
2. Catalizzazione dell’attenzione:
Prima della messa in onda effettiva, preceduti da una breve introduzione di Welles, sono stati mandati in onda due singolari bollettini meteorologici, ovviamente falsi, i quali illustravano strani fenomeni avvenuti su Marte. [3]
3. Tempi di ascolto:
Ovviamente ha molto contribuito il momento in cui ogni utente si è sintonizzato sul programma. Chi, all’oscuro di tutto, si è trovato nel bel mezzo della trasmissione aveva decisamente più motivazioni per allarmarsi.
4. Importanza del mezzo radiofonico:
La fine degli anni ’30 ha rappresentato un periodo d’oro per la radio in America. Da quella scatola usciva regolarmente la voce del Presidente e i bollettini radiofonici godevano di molto prestigio tra la popolazione.
Una sorta di cieca fiducia dunque, ciò che usciva da quel mezzo doveva per forza essere vero.

Risulta evidente come alcuni di questi punti, dovutamente adattati, possano calzare anche per BWP. Proviamo ad elencarli:

1. Pianificazione del documentario:
Ci siamo già soffermati sull’essenza “reale” del progetto, che segue, a differenza della trasmissione di Welles, lo stesso impianto narrativo fino alla conclusione. Le persone intervistate all’interno della storia, oltretutto, contribuiscono a dare un senso di verità alla vicenda.
Bisogna inoltre sottolineare che i contributi esterni, da parte dei cittadini, non sono pianificati:
Chi aiuta a dare credibilità alla falsa leggenda non è un attore. Anche in questo caso inoltre il riferimento a luoghi reali, come lo stato del Maryland, contribuisce a dare al tutto un forte senso di verità.

2. Catalizzazione dell’attenzione:
Questo è forse il fulcro principale dell’intero progetto. Gran parte della fortuna del film infatti l’hanno fatta il marketing e il passaparola mediatico iniziati un anno prima dell’effettiva uscita della pellicola e affidati in gran parte ad un mezzo che verso la fine degli anni ’90 stava affermando la sua grandezza: Internet. Le notizie riguardanti la possibile scomparsa dei tre ragazzi nei boschi del Maryland, hanno letteralmente invaso la rete, culminando nel sito www.blairwitch.com.  All’interno di tale indirizzo web era possibile (e lo è tuttora) raccogliere informazioni sulla presunta Strega di Blair, ma soprattutto sui tre protagonisti del filmato ritrovato (fatti preventivamente sparire dalla circolazione durante tutta la campagna promozionale). Del tutto in linea con il progetto di catalizzazione mediatica, organizzato a suo tempo da Welles, è stata inoltre la diffusione di un altro finto documentario dal titolo “Curse of the Blair Witch”, comprendente svariate interviste a familiari dei ragazzi scomparsi, forze dell’ordine, esperti di occultismo e storici locali (tutto rigorosamente inventato). L’operazione è risultata talmente efficace che i tre attori del film sono stati inizialmente dichiarati come “missing presumed dead” sul sito IMDb (Internet Movie Database).

3. Importanza del mezzo “televisivo”:
E’ inutile sottolineare l’importanza che lo schermo (televisivo, cinematografico) ha avuto e continua ad avere sull’opinione pubblica, ma è altrettanto vero che, a ridosso del ventunesimo secolo, il rapporto tra spettatore e mezzo di comunicazione di massa è molto cambiato, giungendo ad una sorta di cooperazione che porta ogni fruitore a mediare il tipo di informazioni che lo raggiungono. Non ci troviamo più di fronte ad una cieca fiducia nei confronti di una voce “Autorevole”, come è stato per la radio. L’efficacia del messaggio è affidata esclusivamente al buon senso del pubblico e alla sua capacità di discernere tra possibile e impossibile (capacità per altro non così scontata). Sotto quest’ottica il successo di un’operazione come BWP può stupire.  Cosa quindi ha contribuito ad aumentare la curiosità delle persone?

Diamo uno sguardo al periodo. La fine degli anni ’90 coincide con l’affermarsi di nuovi format televisivi che contribuiscono a confermare nuove esigenze da parte del pubblico. Sono gli anni d’oro del Talk Show che, alimentando quello spirito voyeuristico tipico dello spettatore moderno, apriranno la strada a quella che, di lì a poco, sarà conosciuta come l’era del “Reality”. Il pubblico comincia ad interessarsi a storie di gente comune, perfetti sconosciuti (e i protagonisti di BWP lo sono) con cui potersi, in qualche maniera, immedesimare. Oltretutto il 1995 vede l’uscita di un altro “falso clamoroso”, ben più longevo e sensazionalistico: “Alien Autopsy”, il controverso video amatoriale dell’autopsia aliena. Un filmato che ha fatto il giro del mondo, alimentando speranze, paure e aprendo la strada ad un ondata di “plausibilità” mediatica, riconoscibile in quel famoso motto, “I want to Believe” (voglio crederci), ancora duro a morire.

Risulta ovvio come l’opera di Sanchez e Myrick sia il risultato di una fusione tra vita reale e mistero, capace quindi di catalizzare l’attenzione di un pubblico nascente, ma già ben delineato, desideroso di “credere” e “osservare il prossimo”.

Identificate le possibili cause di un successo calcolato, ma non per questo immeritato, non possiamo tralasciare l’inevitabile clamore giunto a “fenomeno svelato”. Per moltissimo tempo infatti BWP è riuscito a godere di una “luce riflessa”, dovuta ad una massiccia dose di pubblicità più o meno volontaria, che ha contribuito ad aumentare curiosità e aspettative in un pubblico facilmente influenzabile. Una volta conosciuta la storia del “progetto”, si è sentito il bisogno di osservare personalmente la causa di tale “scompiglio mediatico”, cosa che ha dato luogo ad un nuovo e altrettanto fortunato passaparola. Quando una cosa diventa moda la si deve obbligatoriamente vedere, anche solo per poter dare un’opinione a proposito.

Giunti alla conclusione di questo breve percorso, possiamo benissimo affermare che “Blair Witch Project” è un stato un progetto cinematografico solo in parte, che ha saputo aprire la strada ad una nuova concezione di Marketing cinematografico giunta fino ai giorni nostri. La promozione mediatica è essenziale alla buona riuscita di un film, specialmente se si stratta di Blockbuster (come ha saputo insegnarci George Lucas). Sanchez e Myrick, con un occhio al passato, hanno saputo attualizzare tale concetto, ispirandosi a più modelli e creandone uno nuovo e incredibilmente funzionante. Che oggi si stia tentando di riproporlo non può certo stupire. La cosiddetta “You Tube Generation”, appena nata ma già affermata, è solo una delle nuove cause di tale ritorno. Mai come oggi l’illusione di protagonismo può trovare terreno fertile.

[1] Nel gergo pornografico, gli “Snuff” sono pellicole amatoriali estreme, all’interno delle quali torture e omicidi sono assolutamente reali. L’esistenza di tali film non è mai stata confermata, donando all’argomento uno tono che si potrebbe definire leggendario.
Molti registi hanno trattato tale tematica all’interno delle loro opere, come Joel Schumacher con il suo “8mm – Delitto a luci rosse”.

[2] Secondo gli studi effettuati da Hadley Cantril.
[3] “Signore e Signori; interrompiamo il nostro programma di musica da ballo per leggervi un comunicato speciale del Giornale Radio Intercontinentale arrivato in questo momento. Alle ore 19.40, ora locale, il Prof. Farrel dell’Osservatorio del Monte Jenning, Chicago, Illinois, dichiara di aver osservato diverse esplosioni di gas incandescente, a intervalli regolari sul pianeta Marte.”

 


#01 FEFF 15

Il festival udinese premia il grandissimo Kim Dong-ho! Gelso d’Oro all’alfiere mondiale della cultura coreana e una programmazione di 60 titoli per puntare lo sguardo sul presente e sul futuro del nuovo cinema made in Asia...


Leggi tutto...


View Conference 2013

La più importante conferenza italiana dedicata all'animazione digitale ha aperto i bandi per partecipare a quattro diversi contest: View Award, View Social Contest, View Award Game e ItalianMix ...


Leggi tutto...


Milano - Zam Film Festival

Zam Film Festival: 22, 23 e 24 marzo, Milano, via Olgiati 12

Festival indipendente, di qualità e fortemente politico ...


Leggi tutto...


Ecologico International Film Festival

Festival del Cinema sul rapporto dell'uomo con l'ambiente e la società.

Nardò (LE), dal 18 al 24 agosto 2013


Leggi tutto...


Bellaria Film Festival 2013

La scadenza dei bandi è prorogata al 7 aprile 2013 ...


Leggi tutto...


Rivista telematica a diffusione gratuita registrata al Tribunale di Torino n.5094 del 31/12/1997.
I testi di Effettonotte online sono proprietà della rivista e non possono essere utilizzati interamente o in parte senza autorizzazione.
©1997-2009 Effettonotte online.