Le uscite in sala non sono mai casuali, a dicembre meno che mai. Se a san Valentino vende l’amore, a Natale è la retorica dei buoni sentimenti che paga e sbanca al botteghino. Con la differenza che un buon film sul Natale riesce a mantenere salvi i sentimenti, mentre tutti gli altri della favola possiedono soltanto l’impianto retorico, come uno scheletro, del tutto immotivato e privo di vita. Hachiko è uno di questi.
Presentato in anteprima al Festival Internazionale del Film di Roma 2009, canonico film in tre atti, il film di Lasse Hallström resta a cavallo tra due protagonisti senza riuscire a sceglierne uno su cui puntare veramente. Da una parte il cane, Hachiko, un cucciolo di Akita andato perso durante un trasporto intercontinentale e ritrovato lungo i binari di una stazione di provincia. Dall’altro l’uomo che lo accoglierà nella propria casa e che diventerà il suo migliore amico, interpretato da Richard Gere, chiamato da tutti, in paese, “il professore”. Seppur davvero troppo prevedibile nelle scelte di adattamento, Hachiko è una storia vera: si tratta, anzi, di un remake del film di Seijiro Koyama uscito nel 1987, Hachiko Monogatari. È facile, quindi, che il pubblico in sala conosca per intero la storia che sta per vedere. In casi come questo probabilmente è l’originalità del racconto ciò che può legittimarlo e renderlo interessante. Hachiko invece fallisce anche in questo, pur muovendosi tra timidi tentativi di sfuggire al classico film hollywoodiano, prima con la ricerca delle soggettive del cane, in bianco e nero, poi con inquadrature dal basso e un'alternanza tra l’apparente realismo di una vita familiare, descritta con un linguaggio pubblicitario e falso ma canonicamente accettato come realista, e le istanze caricaturali di quanti si aggirano all’interno del paese e, ancora di più, attorno alla stazione.
Se l’intento era un’atmosfera magica e fuori dal tempo, Hallström avrebbe dovuto forse rischiare di più, alzare il tiro e non avere paura di scelte più radicali. Da Amelie a I Tennenbaum, avrebbe avuto a disposizione una gamma molto ampia di riferimenti al "fantastico". Lavorando nella direzione in cui ha lavorato, invece, resta in bilico tra due mondi, tanto dal punto di vista narrativo quanto da quello stilistico, creando di fatto una distanza notevole tra il pubblico e la storia. Salvo poi ricorrere ad espedienti strappalacrime che sul finale funzionano, perché in sala si piange, ma certo non gli fanno onore. Insomma, un film poco riuscito, che non ha retto neppure alla difficoltà di creare un buon prodotto di mercato.
TITOLO ORIGINALE: Hachiko: A Dog’s Story; REGIA: Lasse Hallström; SCENEGGIATURA: Stephen P. Lindsey; FOTOGRAFIA: Ron Fortunato; MONTAGGIO: Kristina Boden; MUSICA: Jan A.P. Kaczmarek; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 93 min.
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