Inizia con una gran confusione sul piano uditivo e titoli di testa su sfondo scuro, uno dei film considerati “minori” di Federico Fellini. Originariamente pensato per la televisione, della durata di soli settanta minuti, Prova d’orchestra è in realtà, per ispirazione e risultati, una pellicola che non può dirsi del tutto estranea alle opere maggiormente conosciute del regista riminese. E non solo perché Fellini utilizza i codici del mockumentary, componendo con innegabile maestria mirabili giochi a livello narrativo ed enunciativo. Questo finto documentario, che racconta un giorno di ordinaria follia di un’orchestra e delle persone che vi gravitano attorno, si presta, infatti, come forse troppo poco succede per altre opere del regista, a letture più o meno esplicitamente politico-etiche.
Non senza quel gusto tipico di Fellini per l’immaginifico, per personaggi e atmosfere clownesche, Prova d’orchestra mette in scena un’umanità in profonda crisi, in cui nessun ruolo sembra possedere verità e umiltà. Gli orchestrali si presentano (guardando in macchina) come una massa piuttosto infantile, variegata ed egocentrica, preoccupati più che altro di difendere le straordinarie caratteristiche del proprio strumento a discapito di quelli degli altri. Il direttore, dal canto suo, è evidentemente metafora di un certo intellettualismo di maniera, un’autorità una volta forte e tuttavia in declino. La comediè humaine messa in piedi da Fellini, all’interno di un oratorio dall’acustica perfetta, è in fondo un concentrato degli estremismi più diversi. La rivendicazione del valore del lavoro e la non sudditanza al “potere del dittatore” sono in effetti i capisaldi di un sistema democratico o che aspira a farsi tale. Eppure il numeroso gruppo di orchestrali non sa far altro che far degenerare la situazione arrivando a ribellarsi e compiendo atti vandalici, mentre il direttore, conscio di aver perso la propria autorità, si lancia in onanistiche considerazioni. Quando tutto sembra già deciso, un deus ex machina inaspettato mostrerà la debolezza di questa rivoluzione per restituire il potere all’autorità.
Film della fine degli anni Settanta, Prova d’orchestra fotografa, forse più implicitamente di quanto non si sospetti, la crisi di un sistema democratico, la difficoltà a distinguere i “cattivi” dai “buoni” e la confusione ideologica di quegli anni. Rivista oggi, la pellicola non smette di raccontarci cosa eravamo e cosa siamo. Il tutto funziona anche e soprattutto perché Fellini incastona questa riflessione all’interno di un discorso metalinguistico, realizzando uno dei più taglienti finti reportage mai visti e facendo dell’intervista il mezzo attraverso il quale i personaggi rivelano tutta la loro insolenza, a loro insaputa. Il loro guardare in macchina e il nostro guardare a loro costituisce il profilo di un piacere voyeuristico all’interno di un mondo che, in ogni momento, denuncia la sua natura fittizia. Non è un caso che nel prologo, quando il Cerbero custode dell’oratorio introduce gli spazi alla macchina da presa, degli spartiti cadano senza che se ne veda la ragione fisica. Fellini invita il suo spettatore a entrare in un universo “vero come la finzione”, che racconta un microcosmo ricco di saltimbanchi e clown travestiti da persone normali. A fare da straordinario collant è la musica, nella sua eterea (in)consistenza, l’unico vero valore capace di elevarsi e al quale si ritorna dopo la baraonda che, in definitiva, contro ogni guizzo, anarchia e riflessione, ribadisce lo status quo.
Titolo originale: Prova d’orchestra; Regia: Federico Fellini; Sceneggiatura: Federico Fellini, Brunello Rondi; Fotografia: Giuseppe Rotunno; Montaggio: Ruggero Mastroianni; Scenografia: Dante Ferretti; Costumi: Gabriella Pescucci; Musiche: Nino Rota; Produzione: Daimo Cinematografica, Radiotelevisione Italiana, Albatros Filmproduktion; Distribuzione: Gaumont; Durata: 70 min.; Origine: Italia/Germania Ovest, 1979
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