In Bruges - La coscienza dell'assassino PDF 
Fabio Fulfaro   

ImageCi sono due modi per vivere da turista una città: lasciarsi conquistare dall’arte e dalla cultura, oppure tuffarsi nella vita mondana, tra pub e bordelli. Ray (Colin Farrell) e Ken (Brendan Gleeson), due killer in fuga da Londra verso l’apparente rifugio della tranquillità medioevale di Bruges, rappresentano questo duplice atteggiamento nell’esplorazione di nuovi mondi e nuovi sistemi, in una perenne oscillazione tra serio e comico, tra malinconico e grottesco, che è la caratteristica dominante di questa opera prima del 42enne drammaturgo irlandese Martin McDonagh. Molto vicino al teatro dell’assurdo di Beckett e Pinter (e di quest’ultimo eredita l’incomprensibilità di certi dialoghi), Martin McDonagh, dal punto di vista cinematografico, è più vicino a Trainspotting di Boyle o a The Snatch di Ritchie che a Tarantino o ai i fratelli Coen. In realtà certi dialoghi sembrano richiamare quelli  famosi tra Vincent e Jules in Pulp Fiction, e in alcuni momenti il modello di riferimento è talmente manifesto da risultare un po’ fuori dalle righe (parole come “fucking” o “fuck” ricorrono alla media di più di una al minuto, 126 totali per 107 minuti complessivi di film).

I due killer in vacanza attendono il giorno del giudizio universale, preannunciato dalle tele cupe e infernali di Hieronymus Bosch (nel Gronigen Museum), che hanno un corrispettivo cromatico nelle atmosfere tetre di un film che si sta girando contemporaneamente nella cittadina belga, con protagonista un nano americano e tante altre maschere bizzarre e angoscianti che sembrano provenire direttamente da Don’t Look Now di Nicholas Roeg. Tenuto conto dell’atmosfera natalizia e del tono prevalente di commedia pulp smitizzata da dialoghi autoironici, è strano che i distributori italiani non abbiano pensato ad un titolo del tipo A Bruges, un dicembre rosa salmone. A parte gli scherzi, un difetto del film può essere identificato nell’ambivalenza del doppio registro del tragico e del comico che tende a confondere lo spettatore soprattutto nella scene più drammatiche (come i pianti e i rimorsi di Colin Farrell per avere fatto fuori un bambino) e in quella dell’incontro con le prostitute dove si sprecano le battute politicamente scorrette su nani, neri, obesi, non fumatori e omosessuali. Anche la scelta dei doppiatori di dare un’inflessione bizzarra alla voce dei personaggi che nel film sono americani può risultare discutibile, seppur in linea con l’antiamericanismo di Ray (che vuole vendicare l’assassinio di John Lennon, ma se la prende con un canadese!). I punti di forza sono invece la sceneggiatura scritta con maniacale attenzione al particolare (ogni dettaglio, anche quello apparentemente più insignificante, trova la sua esatta collocazione nei magnifici venti minuti finali del film) e la grande prova degli attori protagonisti, oltre ai già citati killer in deriva esistenziale Brendan Gleeson (già protagonista del corto Six Shooters di McDonagh, Oscar 2006) e Colin Farrell (l’attore sembra proprio rinato e con le sue smorfie assomiglia al Mel Gibson di Arma letale), troviamo il boss etico Ralph Fiennes (irresistibile la scena della cartina di Bruges posizionata nel verso giusto o quella dell’insulto alla moglie in un momento di rabbia), la cui coerenza morale si trova alla fine schiacciata dall’illusorietà dell’apparenza. McDonagh cita L’infernale Quinlan (vediamo un frammento del famoso lungo piano sequenza iniziale) proprio per ricordare una certa grandezza nella malvagità, quella totale aderenza a certi principi morali che a volte può regalare qualche attenuante anche all’azione più invereconda.

Nonostante qualche battutaccia sui belgi (con un richiamo alla cronaca per i noti fatti del mostro di Marcinelle), la città di Bruges (che ha concesso di mantenere gli addobbi natalizi fino a marzo per conservare l’atmosfera natalizia del film) diventa lo splendido sfondo, tra musei, canali simil veneziani e architettura gotica, di una storia che potrebbe scivolare nel luogo comune e nelle regole ferree della black comedy e invece si sviluppa in maniera avvincente, istillando nello spettatore la voglia di visitare la piazza del mercato, il lago dell’Amore, la basilica del sacro sangue, il Museo Gronigen. Certo, è necessario salire sulla torre per vedere le cose dall’alto, come in un quadro apocalittico cui potere prendere le misure: il dialogo tra Gleeson e Fiennes nella resa dei conti dell’ultimo duello è sintomatico dell’assurda distanza tra i pensieri dei personaggi e le azioni criminose che sono costretti a compiere, quasi forzando la propria naturale tendenza. Così il rimorso e il senso di colpa conseguenti sono rimossi nelle contemplazione della bellezza artistica o in una storia d’amore con la misteriosa Chloe (Clemence Poesy, nota per aver impersonato la campionessa Tremaghi Fleur Delacour nel film Harry Potter e il Calice di Fuoco), un piccolo pezzo di paradiso nell’inferno dei viventi.

Pur nella dicotomia tra serio e faceto cui abbiamo fatto riferimento nell’introduzione, questa opera prima di McDonagh sembra promettere bene e attendiamo con curiosità le future prove del cineasta irlandese, che chiude il suo film con una citazione diretta del Carlito’s Way di Brian De Palma. Solo che stavolta il monologo interiore del killer agonizzante non ci strappa lacrime di commozione, ma un’improvvisa, sincera, amara risata.


TITOLO ORIGINALE: In Bruges; REGIA: Martin McDonagh; SCENEGGIATURA: Martin McDonagh; FOTOGRAFIA: Eigil Bryld; MONTAGGIO: Jon Gregory; MUSICA: Carter Burwell; PRODUZIONE: Belgio/Gran Bretagna; ANNO: 2008; DURATA: 101 min.

 


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