Dopo aver dato voce ai bambini dell'Uganda con il documentario ABC Africa, Kiarostami ritorna all'Iran contemporaneo per filmarne i volti e le ragioni delle sue donne in una sorta di docu-fiction sperimentale.
Come un filo rosso che lega tutta la sua produzione, Kiarostami non rinuncia a dedicare uno spazio strategico all'infanzia, che viene incarnata dal vitalismo prepotente del figlio della protagonista. È la sola voce maschile a fare da contrappunto al discorso femminile e rappresenta una sorta di stilema contenitivo volto a fare da cornice al film, aprendo e interrompendo le conversazioni che compongono l'intreccio non-narrativo.
Con la semplicità di sguardo di poche inquadrature fisse, Kiarostami ci catapulta nello spazio-mondo di un'automobile, nella vita di una donna, per intraprendere un viaggio il cui percorso viene depositato nelle mani dello spettatore.
Non ci sono tracce segnaletiche di luoghi nel cammino della protagonista, solo qualche segno intermittente della confusione di una grande città come Teheran. Unici indizi che scandiscono il tempo: la luminosità del giorno e il buio della notte.
Come per Il sapore della ciliegia, l'automobile della protagonista, su cui trasbordano i destini di altre persone, diviene il luogo eletto allo scioglimento dei grandi temi della vita.
Mentre nel Sapore della ciliegia la programmazione del suicidio del protagonista è lo spunto riflessivo che allarga il discorso sulle ragioni della vita e della morte, in Dieci i problemi contingenti delle donne, che raccontano se stesse negli "interluoghi" del loro transitare, tracciano un selciato che conduce alle questioni fondamentali della vita di ogni donna e di ogni uomo: l'amore, la famiglia, il matrimonio, il sesso, il sacro, il destino. Perché, come afferma il regista, "i nostri dolori, gelosie, paure sono uguali in ogni luogo. I principi base sono ovunque molto simili al di là della cultura e della religione."
Geniale orditore di trame incomplete che chiedono allo spettatore di essere portate a compimento, Kiarostami filma in dieci episodi i pensieri e i drammi delle sue protagoniste come un viaggiatore che può registrare solo brevi istanti del mondo che incontra. E come un viaggiatore, che coglie nei suoi scatti fotografici frammenti di luoghi e di vita per poi sviluppare le immagini a casa, allo spettatore resta il compito di rileggere quelle immagini con il dono di un'infinità di possibili sviluppi.
Quello di Kiarostami è un cinema che non tradisce mai l'assunto stilistico e morale da cui è partito, ma serra sempre di più nel rigore della semplicità un discorso che parte dalla vita per parlare della vita stessa, da essere umano a essere umano.
|