Babel e gli altri: il Senso, Dio, il Caso e la Morte PDF 
di Umberto Ledda   

Iñárritu e Arriaga: appunti di schizofrenia autoriale
Il sodalizio fra Guillermo Arriaga, sceneggiatore, romanziere e demiurgo, e il regista Alejandro Gonzales Iñárritu sembra definitivamente concluso: in parte per incomprensioni interne alla coppia, in parte per l'esaurimento della spinta creativa che lo aveva sostenuto. I tre film di cui sono intestatari (il frammento solista di Iñárritu di 11/9 è trascurabile) hanno costruito uno dei sistemi poetici più compiuti e densi degli ultimi anni, un corpus complesso, dove sorge naturale il problema dell'attribuzione di paternità, la definizione di chi fra i due sia l'autore e chi l'esecutore. Certamente, l'apporto maggiore è quello del loro geniale sceneggiatore, Guillermo Arriaga, più che di Iñárritu. Indicativo, in questo senso, è Le tre sepolture, firmato da Arriaga per la regia di Tommy Lee Jones: anche prescindendo dal tratto distintivo degli script dello sceneggiatore messicano - la continua scomposizione della linea temporale e narrativa -, e focalizzandosi invece sugli aspetti tematici (la morte, il caso, la colpa e la redenzione), occorre riconoscere come l'unità contenutistica dei film di Iñárritu sia opera di Arriaga. Amores perros, 21 grammi e Babel sono opere di sceneggiatura, dove l'apporto registico non fa altro che sottolineare con i mezzi che gli competono quanto detto dalla struttura.

Eppure, sempre utilizzando come metro di paragone Le tre sepolture, appare chiaro come qualcosa distingua i lavori realizzati in coppia da quello affidato all'esecuzione asciutta e classica di Tommy Lee Jones, e come anche la personalità di Iñárritu influenzi direttamente le direzioni prese dallo sceneggiatore. Mentre il texano Jones e Arriaga condividono grossomodo la stessa visione del mondo, consentendo uno scorrere semantico lineare e coerente (emergono nuclei tematici più tradizionali, di solito più nascosti, come l'amicizia maschile), fra lo sceneggiatore e il regista Iñárritu le differenze sono tali e tante da determinare una vera e propria dialettica interna alla linea tematica portante. Arriaga è uomo di sinistra, ateo, pur se di un ateismo messicano, figlio di una cultura teocentrica e tanatocentrica, e quindi comunque intriso di cattolicesimo e ossessionato dalle sue tematiche. Iñárritu, cattolico e più conservatore, occupa un punto distante dello spettro politico e religioso: in altre parole, nei film della coppia l'occhio vede il mondo con valori diversi da quelli che la mente intendeva veicolare. Il cinema di Arriaga guadagna nel confronto con l'opposta visione del regista, in un'ambiguità che spesso si fa coscienza critica, aggregandosi in una ulteriore problematizzazione all'interno di un corpus già dominato dall'idea del dubbio: un cinema schizofrenico, intriso di misticismo ateo, in costante interrogazione circa il mistero del caso che domina le vicende umane (Arriaga), ma anche costantemente alle prese con il peccato, la colpa e l'idea di provvidenza (Iñárritu). È un elemento dalle chiare valenze religiose, il fato, ad essere portante nei tre film della coppia: in Amores perros le tre vicende sono legate da un solo evento scatenante, l'incidente stradale in cui sono coinvolti due dei tre protagonisti, e che determina le azioni del terzo; la storia di 21 grammi ruota intorno ad un trapianto di cuore che lega il trapiantato, la donna del donatore (poi donna del trapiantato) e l'uomo che ha ucciso il donatore; in Babel, il dono di un fucile in Marocco da parte di un giapponese porta la tragedia negli Stati Uniti e in Messico, in una spirale di assurda consequenzialità. Tutto è fatalmente legato nei film di Arriaga e Iñárritu, tutti gli eventi si intrecciano verso direzioni che appaiono ineluttabilmente decise, e che non possono portare altro che dolore e sofferenza. Il fato è una volontà maligna e insensibile agli uomini, puri strumenti usati in giochi imperscrutabili ma già decisi. Confrontandosi con la sensibilità cattolica di Iñárritu, però, questo fato cieco si trasforma in provvidenza, restando però provvidenza malvagia: Jack, l'ex galeotto invasato di 21 grammi, costituisce una tematizzazione perfetta di questa volontà perversa: convinto di come tutto sia volontà del signore, dopo aver vinto alla lotteria il furgone con cui poi ucciderà tre persone (attuando una totale sovrapposizione fra caso e providenza), arriva a convincersi che sia Cristo ad aver deciso la sua colpa. Si tratta, dunque, di un cinema sì fortemente mistico (molto più che nell'Arriaga solista de Le tre sepolture), ma di un misticismo problematico e non rassicurante: il problema che si pone Arriaga è quello da cui partono tutte le teologie, il problema del senso degli eventi umani. In altre parole, se le azioni abbiano un significato in sé, se esista una sovradeterminazione che conferisce loro una forma unitaria. Arriaga pone le domande da ateo, Iñárritu da cattolico: il problema, però, rimane identico. La dicotomia fra realtà e significato diventa interrogazione circa l'esistenza di un senso superiore, di una volontà che guidi le azioni umane, scandagliando il dissidio fra casualità asignificante (la realtà, nel suo scorrere inconsapevole) e la presenza di un'entità superiore organizzatrice (il logos, che è sia dio, che la parola, che il pensiero). Non ci sono risposte a questi dilemmi nei film di Arriaga/Iñárritu, ma solo un continuo interrogarsi, tanto radicale e fondamentale da non prevedere soluzione.

Intorno a questo asse portante, ruotano poi tutta una serie di altri temi: di essi, i più ricorrenti sono la colpa e la redenzione, anche in questo caso in un groviglio di laicismo agnostico e di cattolicesimo (in questo caso, ovviamante, la colpa si trasforma in peccato). È una storia di redenzione quella del barbone assassino di Amores perros, di una negazione di redenzione quella di Jack in 21 grammi (o, meglio, una false redenzione); ne Le tre sepolture, invece, il tema è radicalmente laicizzato, spogliandosi delle sovrastrutture per risolversi su un piano etico. Il tema del caso, quello della colpa, della redenzione e del peccato si uniscono fatalmente nella morte, minaccioso sottotesto di tutti i film della coppia. Legata strettamente al problema del senso ultimo della vita, la morte è analizzata non tanto in una prospettiva escatologica (sorprendente in un cinema così intriso di misticismo non esista in realtà alcuna valida prospettiva ultraterrena), quanto nella sua fisicità e nella sua evidenza. Tutti i film di Iñárritu, in particolare 21 grammi (il cui titolo allude direttamente al passaggio fra vita e morte), scandagliano le dinamiche dell'elaborazione del lutto altrui e della preparazone al proprio. Come, del resto, fanno anche i romanzi firmati da Arriaga: uno su tutti, Un dolce odore di morte, costruito narrativamente sul processo di accettazione della morte nella sua fisicità carnale. Quella verso la morte è una vera e propria ossessione le cui origini risiedono solo in parte nella cultura di Arriaga ed Iñárritu, quella messicana, forma ibrida discendente da cattolicesimo controriformista e paganesimo tanatocentrico, apparendo invece del tutto organica con la poetica espressa nei loro film: la morte come contrafforte tragico al caos e al fato, fine di tutti i disegni superiori ed, in ultima analisi, corrispondente con il senso stesso della vita.

Il tempo, il senso, la tragedia
Il cinema di Arriaga è un cinema che, analizzando il fato (sovradeterminazione significante di eventi non significanti), utilizza forme filmiche che ne imitino i processi: la struttura stessa è una parte del senso, e non soltanto una strategia per veicolarlo. Una coerenza fra struttura e significato raggiunta attraverso una estrema concentrazione narrativa, nel tentativo di conferire un significato, un senso, a tutti i segni percepibili, con il minimo rumore possibile. Battute ridotte all'osso, inizi in medias res, scene molto brevi, spesso prive di un significato primario chiaro, eppure necessarie. È un cinema della pienezza, in cui ogni elemento contribuisce a portare elementi utili ad un significato univoco: destrutturato nella forma, ma saldamente ancorato alla classicità nell'intento. Si veda la scena finale di Babel, in cui l'idea del suicidio della ragazza sordomuta, e forse di un delitto (seppure nel segmento meno perfetto, più ridondante, del film), è reso con la massima parsimonia di segni, lasciando allo spettatore il minimo necessario per ricostruire le azioni dei personaggi e il loro senso. Una concezione di tal genere è necessaria ad un cinema la cui struttura portante deve essere evidente, in quanto ne costituisce anche la chiave contenutistica. Secondo Arriaga, come esiste una volontà che decide e delinea le azioni degli esseri umani secondo logiche imperscrutabili, così all'interno dell'universo diegetico il montaggio conferisce il senso a vicende che, per conto loro, ne sarebbero prive. Le storie raccontate, prese singolarmente, non comunicano nulla: occorre un'entità superiore perché esse abbiano un senso. É stato notato come le singole linee narrative che compongono i mosaici della coppia siano spesso banali e non rifuggano i clichè: è vero, ma è paradossalmente uno dei punti di forza delle opere della coppia messicana. In Amores perros, l'unica storia ad avere una valenza importante è quella del vecchio sicario: le altre due appaiono già viste, stereotipate. In 21 grammi, l'unica linea narrativa ad avere una serie di risonanze profonde, è quella di Jack e del suo rapporto con la religione. Infine, in Babel, anche tralasciando il segmento giapponese, mai veramente organico, soltanto la vicenda marocchina possiede una qualche potenza espressiva indipendente. Prescindendo dal fatto che la banalità sia voluta o no (alcune sottolineature retoriche da parte della regia farebbero presupporre di no, mentre l'asciutta freddezza delle sceneggiature di Arriaga suggerisce un controllo maggiore del materiale ed una maggiore lucidità), risulta ovvio che ad Arriaga e Iñárritu sia proprio il significato che emerge dall'intrecciarsi di storie ad importare, piuttosto che le storie stesse: il centro di Amores perros non è certo una risaputa disquisizione sulla crudeltà umana, quanto una riflessione sulla spirale tragica del fato, e la tragicità di 21 grammi non si trova certamente analizzando le singole parti. Ogni vicenda si fa vettore primario di significato: materia grezza che componendosi nella scomposizione del montaggio crea il senso. Se significasse in modo indipendente, verrebbe impedita la mimesi fra struttura (riprocessazione filmica a conferire senso a storie banali) e contenuto (fato-provvidenza a conferire senso alle azioni umane) che costituisce il massimo interesse dei tre film. Arriaga sostituisce i nessi che regolano le azioni umane, casuali (fabula), con i nessi di volontà e logica, causali, del pensiero (intreccio, nella fattispecie il montaggio temporale). Non si tratta di destrutturazione, quanto di ristrutturazione, o anzi di strutturazione vera e propria del senso a partire dalla materia narrativa inerte.

Va notato a questo proposito che il cinema di Arriaga e Iñárritu è decisamente più realistico di molti altri stilemi che procedono ad una frammentazione spazio-temporale intradiegetica (un caso su tutti, l'ultimo Lynch): il tempo costruito da Guillermo Arriaga, una volta composti i tasselli, funziona, la destrutturazione è solo linguistica, extradiegetica. Il tempo è realistico a livello narrativo, cessa di esserlo a livello di sovrastruttura linguistica. In una tale visone del cinema, è la macchina da presa, e non il montaggio, ad accollarsi la responsabilità di guidare la storia, di creare la diegesi. La macchina di Iñárritu opera su un livello zero, interno alla storia, veicolando le linee narrative attraverso i suoi movimenti: limitata la regola del campo/controcampo, il movimento di macchina si sostituisce al montaggio, creando di fatto una serie di piccoli piani sequenza di lunghezza corrispondente alla scena, dove i rapporti tra sguardi sono ottenuti con rapidi movimenti, sfocature e zoom. Il montaggio ha un ruolo più profondo, sovradiegetico: non come ordinatore della fabula, ma come organizzatore del senso ultimo. Arriaga lascia alla macchina da presa il compito di costruire la storia, scegliendo il montaggio come forma di sovradeterminazione di significati, e creando un montaggio analogico puramente linguistico, senza ricorrere ad apparati simbolici e metaforici. Strutturando i propri film secondo le logiche della cosmogonia descritta in essi, Arriaga e Iñárritu possono coerentemente utilizzare aspetti formali per rendere efficacemente la matematica ineluttabilità del fato, la condanna al male, la morte. In questa ottica, ha un ruolo determinante il lavoro svolto sulla focalizzazione: le sceneggiature di Arriaga forniscono allo spettatore informazioni in anticipo rispetto al presente diegetico (non si ha mai una scomposizione temporale completa: c'è sempre un tempo di riferimento, nonostante i continui andirivieni: in 21 grammi è quello fra le due agonie di Paul, in Babel quello del ferimento della turista americana), creando l'effetto di ineluttabilità che tanta parte ha nella sua poetica. Lo spettatore sa ciò che avverrà, sa che ciò che accade è destinato ineluttabilmente a compiersi. Appare quindi sensato parlare di tragedia: la strutturazione a mosaico, dove le storie assumono un senso solo grazie alla riprocessazione di una mente superiore che le investe di valenze, unita alla lucida volontà di offrire il significato in modo particolare, da farlo percepire come ineluttabile, contribuisce a creare un mondo dove il male non può essere evitato, dove non esistono possibilità di fuga. La struttura dei film di Arriaga e Iñárritu è circolare: ponendo una situazione di crisi che attraverso il caso e il fato coinvolge strettamente tre nuclei umani differenti, il film la segue snodandola fino a trovarne una di equilibrio, che però finisce col corrispondere con l'inizio di un'altra crisi di cui lo spettatore già era cosciente e di cui già conosce l'irrisolvibilità: Paul morente in 21 grammi, che apre la storia e la chiude, passando per una soluzione fittizia, ne è l'esempio più calzante.

Una trilogia zoppa
Non esiste un movimento dialettico unitario fra Amores perros, 21 grammi e Babel: non si tratta quindi di una trilogia propriamente detta. L'universo poetico rimane sostanzialmente invariato dal primo al terzo lavoro, senza particolari variazioni (vi è piuttosto un ampliarsi dello spettro tematico, fino ad arrivare ai chiari intenti anticolonialisti di Babel): ad evolversi, adattandosi e perfezionandosi, è piuttosto la struttura dei film, la sua concezione formale. Amores perros, primo film come sceneggiatore di Arriaga e prima regia di Iñárritu, imposta con chiarezza la struttura linguistica, ma non porta ancora alle estreme conseguenze il lavoro di strutturazione del senso. Viene inaugurato l'attacco non tanto in medias res, quanto proprio dal termine degli avvenimenti. Con una strategia in parte simile a quella di Memento, viene sistematizzato l'uso dell'anticipazione: si sa quindi che la situazione dei protagonisti è destinata al dolore e alla crisi, ma sarà solo la scoperta delle modalità di questo dolore a dare una valenza tragica al tutto (una buona lezione di cinema su come creare un climax drammatico partendo da un finale noto). La struttura mantiene ancora una qualche forma di linearità: diviso in tre segmenti di cui solo il primo abbondantemente scomposto e scandito da inserti estranei, è attraversato da una fitta serie di isotopie (prima fra tutte, i cani), e costruisce il discorso sul fato utilizzando un unico elemento catalizzatore: l'incidente dell'auto guidata da Octavio, che rovina la vita alla modella Valerie e che la cambia al Chivo, killer girovago dal passato travagliato. Una struttura in fondo ancora unitaria, con un centro e tre propaggini sincroniche e interrelate. A livello registico, Iñárritu ha il compito di tradurre in immagini la forte astrazione strutturale, attraverso un uso quasi esclusivo della camera a mano e un ricorso ossessivo a focali lunghissime: filma da lontano e predilige i primi piani, spesso ponendo ostacoli fra l'obbiettivo e il soggetto. La macchina inquadra esclusivamente ciò che è necessario inquadrare, gli spazi vengono tenuti incompiuti (evitando l'uso dei totali a favore dei particolari), coerente in questo con la ricerca della massima significazione e del minimo rumore. In 21 grammi le impostazioni visive rimangono inalterate (e così sarà anche con Babel, pur con una minore mobilità e astrazione visiva), mentre si fa più esplicita e radicale la linea strutturale. Arriaga porta lo spettatore ai limiti dell'incomprensione, lasciando il film nel caos più assoluto nei primi 35 minuti, in cui lo spettatore è lasciato in balia di storie già iniziate, non ancora finite, strettamente legate, ma senza indicazioni circa la natura di questi legami. Dei tre film, questi primi trentacinque minuti sono l'unico momento in cui viene a perdersi l'esistenza di un tempo di riferimento, in una deriva che si coagula in senso, improvvisamente, un attimo prima di diventare irrecuperabile. Dopo tutto questo, la seconda parte segue una linearità maggiore, se non assoluta, inaugurando un'impostazione bipartita che sarà utilizzata da Arriaga anche ne Le tre sepolture. Come già in Amores perros, il fitto legame fra le storie si risolve nel finale (inteso in senso non cronologico ma logico, come compimento delle geometrie narrative), raggiungendo una tridimensionalità che si fa tragedia. La beffa dell'agonia di Paul, che lo spettatore vede all'inizio e crede risolta dallo svolgimento, che si rivela solo all'ultimo istante come conseguenza e non come causa, è una suprema irrisione del concetto di lieto fine.

Babel è l'ultimo film del trittico, l'unico in cui il titolo rimandi fra l'altro alla struttura formale. La struttura ad incastri è maggiormente calcata, ma non per questo più radicale: è semplificata, spiegata, esposta, costruita sulla falsariga dei film precedenti, di cui però smarrisce la struttura circolare e tragica. Invece di tre storie legate a doppio filo in modo che entrambe finiscano ad essere contemporaneamente causa ed effetto delle altre, ci sono in Babel due storie (ambientate una in Marocco, l'altra fra gli Stati Uniti e il Messico) che alternativamente diventano causa degli sviluppi dell'altra, ed una terza, in Giappone, che è logicamente antecedente alle prime due e che solo marginalmente ne viene influenzata: le indagini della polizia (alla ricerca delle origini di quel fucile che ha "creato" le altre due vicende) contribuiscono ad alimentare la crisi della giovane protagonista sordomuta, ma senza costituirne l'origine prima. Amores perros e 21 grammi erano nuclei diversi di storie che costituivano un unico groviglio di eventi e tragedie: in Babel il segmento giapponese non acquista mai una vera organicità, rimanendo separato, parallelo, ma mai davvero legato. Inoltre, lo stesso gioco di ritardi e anticipazioni e la complessa gestione delle informazioni sono calibrati in maniera più classica: non più un accumulo di elementi apparentemente lontani che si uniscono improvvisamente in una vera e propria epifania, quanto una dosaggio graduale della comprensione. Gli stacchi fra scene appartenenti a segmenti diversi, affidati in Amores perros e 21 grammi al caso o ad analogie sottili, sono situati in Babel in corrispondenza dei climax e seguendo parallelismi espliciti, secondo una strategia di ricerca della suspence che semplifica il complesso lavoro di costruzione del senso fatto in precedenza, rifacendosi, invece, ai più noti stilemi hollywoodiani. Non c'è rischio di incomprensione, alla poetica della rivelazione si sostituisce quella del colpo di scena: la differenza è fondante perché comporta un diverso tipo di fruizione, eliminando di fatto il ruolo dello spettatore come creatore attivo di senso. Cambiando la strategia di focalizzazione e mancando una vera organicità fra le tre storie, viene in parte a mancare la sensazione di ineluttabilità: il dramma non diventa mai tragedia, il cerchio non si chiude, facendo di Babel un film incompiuto, non finito e zoppicante.

 


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