Speciale Redacted. Dopamina per spettatori attenti PDF 
Tiziano Colombi   

ImageLa sostanza

La dopamina è un neurotrasmettitore che agendo in una particolare zona del cervello detta nucleus accumbens si occupa di monitorare i livelli di soddisfazione percepiti. In buona sostanza se un fumatore incallito viene privato della sigaretta mattutina questi si sentirà particolarmente deluso e frustrato, e tale stato di insoddisfazione sarà appunto dovuto a un abbassamento dei livelli di dopamina. Il film di De Palma, mai distribuito nelle sale e di fatto pellicola fantasma pur essendo stata in concorso al festival di Venezia, si incarica di riequilibrare il sistema dopaminergico dello spettatore attento.

Il film

Il quadro d’insieme è la guerra in Iraq. La storia che l’autore assembla è lo stupro da parte di due soldati americani di una giovane di 14 anni e lo sterminio della sua famiglia avvenuto nel marzo del 2006 a Mahmoudiyah, a 30 km da Baghdad (reato per il quale i militari coinvolti sono stati condannati). Qualcuno ricorda il film che lo stesso De Palma girò nel 1989 intitolato Vittime di guerra? Se avete buona memoria non c’è bisogno di andare oltre a scandagliare la trama del racconto: follia, ferocia, danno collaterale e degenerazioni affini. La guerra è guerra sembra ripetere il regista a un ventennio di distanza dalla sua storia sul Vietnam. Quello che manca oggi è l’indignazione, la risposta a tutto questo, la rivolta. "In America ci vengono mostrate tante foto del conflitto: ma le più terribili, quelle che mostrano la sofferenza, non vengono pubblicate. Sul Vietnam sono circolate immagini crudissime. Le vere foto sull'Iraq potrebbero davvero fermare il conflitto, se venissero messe sotto gli occhi del grande pubblico. Se accadesse, la gente forse si arrabbierebbe, e pretenderebbe dai propri rappresentanti al Congresso di fermare tutto. E invece no, e l'America continua a ripetere gli stessi errori". Così De Palma spiega il perché di Redacted. Ok, tutto come da copione. Gli USA bombardano un loro vecchio amico, lo impiccano, mettono a ferro e fuoco un paese senza saperlo collocare sulla cartina geografica, rimettono in piedi la farsa del golfo del Tonchino (il buon vecchio Gore Vidal metterebbe nel lotto anche la sacralità della reazione dopo gli attacchi a Pearl Harbor) mandando Colin Powell a mentire su fantomatiche armi di distruzione di massa. Un regista scava nelle cronache di guerra e scova un episodio feroce quanto basta per farne un film che rimane seppellito sugli scaffali di casa sua e, quando esce, un centinaio di persone vanno a vederlo, si indignano e un poco però si compiacciono per la maturità mostrata nell’essersi alzati dalla poltrona di casa e aver adempiuto al loro dovere di cittadini. La dopamina fa il suo dovere e riporta a regime i livelli di soddisfazione. "Bombardali e sfamali, bombardali e sfamali", urla il pilota dell’elicottero su cui si trova lo scrittore Michael Herr, autore di Dispacci, forse il miglior libro sulla guerra mai scritto (da lì arrivano Apocalipse Now e Full Metal Jacket) . Quello era il Vietnam e la gente a cui non andava stava in piazza con i cartelli, i film sarebbero arrivati dopo. Oggi è l’Iraq, e i soldati di De Palma non possono che pensarla nella stessa maniera. Noi intanto stiamo davanti agli schermi. A ognuno il suo posto. Segno dei tempi? Va peggio o siamo nel migliore dei mondi possibili come sosteneva il filosofo Popper? Forse, almeno fino a quando le bombe cadono lontane. 

Il linguaggio

De Palma mette in scena una doppia finzione: materiali raccolti dalla rete, testimonianze dirette e filmati amatoriali sono riscritti, recitati e ricostruiti. Rimane poco chiaro dove stia il confine tra scelta stilistica e necessità legali. L’effetto è da insalata russa ma rimane in qualche modo affascinante fino a quando non ci si ferma a chiedersi il perché di tanto caos visivo. Secondo le parole del regista "gli spettatori televisivi guardano soprattutto i reality, credendo che ciò che vedono sia la realtà: mentre invece, vista la presenza delle telecamere, si tratta di una verità costruita..." e "...guardare Redacted è un'esperienza dolorosa, dura, difficilissima: non è quel tipo di pellicole che fanno trascorrere un piacevole sabato sera. Ma spero lo stesso che una risposta, da parte degli spettatori, ci sarà". Ecco dove la questione sbanda. De Palma vuole scavare nella verità, vuole a tutti i costi scorticare gli occhi dello spettatore intorpidito, ma non si limita a mettere insieme i materiali che ha scovato sul web (dove per altro gli stessi soldati li avrebbero messi a disposizione di milioni di potenziali spettatori): ci mette in mezzo la sua narrazione, le sue telecamere, l’effetto drammaturgico. Sul punto, per altro, ci sarebbe poco da eccepire tenendo conto della tecnica del racconto adottata da numerosi autori, i quali contaminando la cronaca con la finzione narrativa sono stati in grado si scardinare miti e far emergere la complessità della Storia meglio di un’istantanea rubata da un reporter. Quello che manca però è un’idea chiara dello scopo di un film come Redacted, anche alla luce delle parole che ancora una volta l’autore usa a commento dell’opera: "Il materiale che ho utilizzato in Redacted è già tutto lì, su internet: You Tube, blog, post dei soldati. Io l'ho solo messo insieme, per renderlo disponibile a un pubblico più ampio. Se la gente sapesse cosa accade davvero, se vedesse ad esempio le foto non censurate che mostro alla fine del film, potremmo fermare la guerra in Iraq". Che un film, per quanto popolare, possa raggiungere un pubblico più ampio di quanti navigano in rete è convinzione cha va eliminata e fatta a pezzi perché ha il grande limite di ridurre tutti a semplici spettatori dopaminici. Che Redacted possa fungere da riduttore di complessità e avvicinare ai fatti chi si è preso la briga di andare a vederlo lascia perplessi. De Palma sale sul pulpito, non spinge chi guarda a volerne sapere di più (al massimo auspica che altri, vedi i grandi network, facciano come lui) a fare il lavoro sporco ci hanno già pensato lui e il suo staff voi accomodatevi in poltrona e se riuscite non copritevi gli occhi.

Lo studioso

A proposito dell’equazione spettatore=consumatore, Henry Jenkins, direttore del Corporative Media Studies Program del MIT, ha scritto un illuminante saggio intitolato Cultura convergente (edito da Apogeo), nel quale si spiega come nel mondo della convergenza mediatica non sia così scontato il ruolo del pubblico affetto da restaurazione dopaminica: "...voglio contestare l’idea secondo la quale la convergenza sarebbe essenzialmente un processo tecnologico che unisce varie funzioni all’interno degli stessi dispositivi. Piuttosto, essa rappresenta un cambiamento culturale dal momento che i consumatori sono stimolati a ricercare nuove informazioni e ad attivare connessioni tra contenuti mediatici differenti". Vale a dire che la funzione di un film come Redacted dovrebbe andare oltre l’intento didattico informativo che sembra aver mosso il suo autore, per spingersi oltre. Tanto più se teniamo conto del fatto che lo stesso De Palma non può “vantare” lo status di soggetto militante proprio, ad esempio, di un Michael Moore. Se infatti le ultime uscite del grillo parlante più grasso d’America forse non valgono quanto Redacted, hanno comunque avuto il merito di contenere al loro interno una forza propagandistica che le ha imposte nel chiasso del chiacchiericcio massmediatico, riuscendo quindi a divenire, con tutti i limiti che ciò comporta, oggetti di denuncia. Il punto lo centrano i Wu Ming nel brano che fa da introduzione al libro di Jenkins: "oggi abbiamo a disposizione diversi canali per far conoscere le nostre idee a una platea molto ampia. Certo non basta aprire un blog o una pagina su Mypace: si tratta di una competenza che va appresa e affinata. […] Purtroppo, invece di interrogarsi su come formare individui che sappiano maneggiare certi strumenti si preferisce evocare spettri. Ultimo esempio: la “nuova” ondata di teppismo giovanile – subito definito cyberbullismo – sarebbe partita da internet, perché la possibilità di filmare le proprie bravate, caricarle su You Tube e diventare famosi funzionerebbe da incentivo".

La sostanza (parte seconda)

Esiste una seconda fase nella meccanica del cervello identificata dai neuroscienziati come quella del piacere che è regolata dalle droghe naturali prodotte dal corpo, gli oppioidi. Ecco cosa è necessario evitare, che dopamina e oppioidi smettano di essere elementi di origine fisiologica e diventino lubrificanti della comunicazione, anestetici per spettatori attenti, cittadini responsabili e infine rassegnate prime donne della società civile. Le immagini che scorrono al termine della proiezione di Redacted non devono limitarsi ad alimentare l’indignazione. Se devono procurare uno shock questo deve sfondare l’idea che siamo circondati da una congiura del silenzio che ci impedisce di sapere e di agire. È sufficiente constatare che si tratta di umana ignoranza. Se non sappiamo e perché alcuni (molti) nel mondo dei media preferiscono il mestiere di anestesisti a quello di informatori, ma questo non ci dà nessun diritto di non lottare per non essere adulti/bambini, come sostiene George Will: "la nostra è un’epoca intontita dall’intrattenimento grafico. E in una società sempre più infantilizzata, in cui la filosofia morale si può ridurre a una celebrazione della scelta, gli adulti sono sempre meno distinguibili dai bambini per il loro assorbimento nell’intrattenimento, e per i tipi di intrattenimento da cui sono assorbiti: videogiochi, giochi per computer, giochi manuali, film su computer e così via. Questo è il progresso: una forma sempre più sofisticata di stupidità". Bhe!!! Gente evitiamo di farci sorprendere mentre lecchiamo lo zucchero filato davanti alle vittime dilaniate dell’ennesima guerra, allontaniamo la farsa, rifuggiamo il grottesco. In definitiva, smettiamo di fare i guardoni.

 


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