TFF 28/The Long Goodbye PDF 
Simone Dotto   

Da Dick Powell a Robert Mitchum: sono otto, in totale, i Philip Marlowe rappresentati su pellicola. Nove se si conta anche The Falcon Takes Over con George Sanders, primo e apocrifo adattamento del 1944. Numeri che rendono l’idea dello stretto rapporto tra Hollywood e il detective inventato dalla penna di Raymond Chandler: nato seriale sulla pagina, gode delle cure di autori sempre diversi sul grande schermo. Fino ad Howard Hawks, che con Il grande sonno calza a Marlowe i tratti definitivi, quelli di Humphrey Bogart, consacrando una volta per tutte la figura dell’investigatore agli annali del cinema noir.

Se Il grande sonno fu il capitolo che ne segnò l’esordio letterario e la fama cinematografica, per Chandler Il lungo addio (1953) è in un certo senso l’ultimo “vero” romanzo, scritto solo cinque anni prima di morire. Anni in cui farà in tempo a trovare pubblicazione anche Playback – Ancora una notte: una sceneggiatura risalente a qualche tempo prima, con Marlowe nuovamente protagonista, viene riadattata al formato libro dopo che – per crudele ironia della sorte – gli Studios l’ebbero rispedita al mittente. Nel 1958 lo scrittore muore: dopo aver saccheggiato il suo lavoro fino a ricavarne tre script in due anni, le sale hanno fatto a meno del suo investigatore privato per tutti gli anni Cinquanta, e non lo rivedranno nemmeno per quasi tutto il decennio a venire. Si limita a far capolino in un episodio isolato: una regia di Paul Bogart (nessuna parentela) intitolata semplicemente Marlowe. Poi, inaspettatamente, il detective torna ad indagare, nelle librerie come sulle pellicole: è il 1973 e Osvaldo Soriano prende in prestito il personaggio per mandarlo ad investigare sul presunto cartello delle Major ai danni di due vecchie stelle come Stanlio e Ollio. Nella fantasia dell’argentino, dal titolo appropriato di Triste solitario y final, Marlowe diventa ufficialmente maschera fra le maschere di una Hollywood decadente. Quello stesso anno Robert Altman firma Il lungo addio.

A ben vedere Soriano e Altman parlano della stesse cose, anche se in maniera diversa. L’uno spinge su un registro grottesco e surreale laddove l’altro punta tutto sull’understatement. La satira di Altman si rivolge ad un pubblico che, in quanto tale, deve avere ben assimilato schemi e dinamiche del genere ed è ormai maturo per osservarli mentre vengono smontati. Philip Marlowe è ritornato, ma è quasi irriconoscibile. Se a quello con il volto di Humphrey Bogart bastavano due minuti e trenta secondi (titoli di testa inclusi) per ritrovarsi una fanciulla fra le braccia senza aver mosso un dito, il Marlowe di Elliott Gould trascorre tutta la lunga sequenza inaugurale cercando di soddisfare gli appetiti di un gatto schizzinoso: quando va al supermercato alla ricerca del mangime giusto, risponde ad un commesso un po’ troppo approssimativo che “si vede proprio che lui non ha un gatto”. “Che me ne faccio di un gatto? – ribatte l’altro – io ho una ragazza”. Misoginia e maschilismo da sempre latenti nel carattere gli si sono rivoltati contro, la fascinosa solitudine del detective si è trasformata in asocialità patologica, una seria incapacità di venire a capo del proprio contesto sociale. “Questa è la storia di un uomo che perde il suo gatto e il suo migliore amico”, afferma lo stesso Altman. Da segugio, Marlowe si è fatto micio. Per questo, messo in un angolo dai gangster, a momenti rischia di venire castrato. Per questo ogni cane che lo incontra per strada non resiste all’impulso di abbaiargli contro: per via della sua natura felina o, forse, perché avverte in lui addirittura un corpo estraneo, ectoplasmatico.

Una delle modifiche sostanziali che il regista e lo sceneggiatore Leigh Brackett apportano al testo originale di Chandler riguarda l’ambientazione. Dall’America anni Quaranta, teatro abituale per le vicende gangster, si passa alla California contemporanea, terra di fermento socioculturale, di costumi che cambiano. In questo paesaggio nuovo Marlowe viene trapiantato così com’è, da fantasma di un’epoca che non esiste più, destinato a girovagare senza poter riconoscere più nulla di quel che gli sta attorno. Dice ancora Altman: “Avevamo soprannominato Gould ‘Rip Van Marlowe’. È un personaggio che si risveglia da un sonno ventennale e che non riesce a comprendere il mondo che lo circonda”. La comune delle giovani hippies che vive nel pianerottolo di fronte è la raffigurazione più evidente di un tempo radicalmente cambiato: quelle ragazze che gli stanno davanti mezze nude quasi intimidiscono l’investigatore. Davanti ad atteggiamenti così disinibiti della controparte femminile infatti, ogni allusione, più o meno esplicita, perderebbe di significato, e il detective è destinato a rimasticarsi le sue battute leggendarie tra se e sé mentre rincasa con una scatola di cibo per gatti. Più in generale, se il sarcasmo di chi la sa lunga prima indicava un pieno e costante controllo su ogni situazione, anche – soprattutto – quelle di rischio, ora l’ironia diventa sintomo di un totale spaesamento. Al Marlowe di Gould pare tutto assurdo e non trova miglior reazione che scherzarci su: con il volto truccato “blackfaced” durante l’interrogatorio che lo porterà in carcere, si riduce a fare “il pagliaccio”, insulto per antonomasia in ogni vocabolario da duro che si rispetti. E infatti le sue battute, come notano prima i poliziotti e poi i criminali, “non fanno ridere nessuno”.

Uno dei pochi caratteri che il personaggio ridisegnato da Altman conserva rispetto alla propria storia è la volontà di andare oltre al caso che gli viene affidato. Aver chiarito i rapporti intricati tra Eileen Wade (moglie di Roger, scrittore in crisi) e l’amico uxoricida Terry Lenox non gli basta. Marlowe  raggiunge il compagno che ha coperto al principio della storia per scoprire che non si è suicidato come credeva: i capisaldi di lealtà e complicità su cui si regge l’amicizia virile predicata da Hawks tornano fuori tutti in un solo momento, la morale che da sempre muove il personaggio viene ribadita solo nel suo ultimo gesto. In quel Terry Lennox che sta sdraiato su un’amaca a godersi la vacanza in anonimato, Marlowe vedrà la viltà impenitente di chi, dopo aver tradito amici e moglie, non ha avuto la decenza di uscire di scena per conto proprio. È l’ennesimo guanto di sfida, forse l’affronto più grave alla sua visione del mondo: Marlowe fa appello a tutti i suoi antichi valori e, finalmente, spara. Altman e Brackett hanno dirottato il personaggio dal percorso che Raymond Chandler aveva previsto per lui per spingerlo a fare i conti con se stesso e tutto ciò che rappresenta: per lui immaginano un destino profondamente diverso, verso un finale che sia sul serio triste y solitario.

TITOLO ORIGINALE: The Long Goodbye; REGIA: Robert Altman; SCENEGGIATURA: Leigh Brackett; FOTOGRAFIA: Vilmos Zsigmond; MONTAGGIO: Lou Lombardo; MUSICA: John Williams; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1973; DURATA: 121 min.

 


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