Torino Film Festival 2001 – Concorso Lungometraggi PDF 
di Mauro Brondi   

Dopo una settimana di film appassionati (Zir-E-Poost-E Shair), lirici (Chingu), e in fondo anche originali (Et Rigtigt Menneske), il sottotono Mein Stern, che la giuria ha potuto visionare soltanto in videocassetta per problemi legati a un ritardo della spedizione della pellicola (il film arrivava dal London Film Festival), è stato premiato come miglior film. In sostanza la lentezza della spedizione è stata inversamente proporzionale alla velocità con la quale la giuria ha premiato il film.

In Mein Stern vengono proposte le classiche tematiche rohmeriane con protagonisti adolescenti (qui la vera unica originalità del film): la regia però non convince nel momento in cui vuole vedere e far vedere questi adolescenti come se fossero adulti. La distanza e l'oggettività della mdp in questa storia non risultano sincere, si avverte un distacco esageratamente costruito, e quindi tutta la leggerezza rohmeriana viene persa privilegiando invece la seriosità e la lentezza.

L'operazione di Valeska Grisebach risulta quindi piuttosto deludente, così come una certa recitazione scarna ma inefficace dei giovani attori. Se, come sosteneva Truffaut, il bambino dimostra una propria genuinità e originalità nel semplice proporsi davanti alla mdp, così non è per un adolescente, che "deve" necessariamente recitare a causa della sua consapevolezza: nessun reportage è dunque possibile nel momento in cui si vuole raccontare una storia d'amore tra adolescenti.

Ben più autenticità e originalità nell'americano Ghost World, un film anch'esso fatto da adolescenti. Tratto dal fumetto di Daniel Clowes, il film di Zwigoff riesce a presentare dei personaggi ricchi di sfumature; eppure il rischio era quello di trasformare le due protagoniste del fumetto in semplici macchiette prive di spessore. Ma la sceneggiatura, che evita abilmente la struttura episodica del fumetto, approfondisce alcuni nodi drammatici importanti e gli attori dimostrano una grande capacità nell'interpretare personaggi che stanno a metà tra la finzione filmica e quella disegnata.
Thora Birch (Enid) passa senza soluzione di continuità da un cinismo distaccato a una sincera passionalità vissuta con istinto e tenerezza, e il bravissimo Steve Buscemi (Seymour) inventa con la sua maschera un personaggio che il disegno di Clowes solo in parte aveva rappresentato.

Anche dal punto di vista dei temi Ghost world è uno dei film più maturi del concorso: la vita di due adolescenti non omologate, alla ricerca di un futuro, fra alti e bassi, in una società americana dipinta con uno sguardo colorato ma non per questo banale e semplicistico. Anzi, la miseria che Ghost world dipinge è tanto più forte quanto sembra essere colorata e naïf in quanto il tono di certe scene contrasta con lo spessore dei personaggi.

Chingu di Kwak Kiung-taek, altro film interessante che ha già avuto un notevole successo in patria, superiore rispetto al connazionale Numnul, anch'esso in concorso, ha colpito per la bellissima fotografia e per la sceneggiatura ricca e complessa. Il film è quasi un romanzo di formazione (o di distruzione?) a quattro voci, la storia è quella di quattro amici che crescono insieme tra le bande di giovani teppisti liceali. Con momenti lirici di grande intensità (sempre ben dosati e soprattutto supportati da una costruzione drammatica convincente) sono dipinte le azioni di personaggi vivi e ben delineati (rimangono alla memoria le corse dei ragazzi, i dialoghi vivi, lo scontro al cinema con la banda rivale e soprattutto la nuotata al mare che chiude liricamente il film).
L'impressione è quella di una grande forza vitale che muove l'immagine in superficie.

Vitalità e forza muovono anche il bellissimo Zir-E-Poost-E Shair della bravissima Rakhshan Bani Etemad che, sullo sfondo del nuovo Iran, racconta vicende e drammi di una famiglia popolare.
Il sapiente uso del piano sequenza fa di questo film uno dei più emozionanti di tutto il festival: la scena centrale in cui ogni membro della famiglia nel cortiletto fuori casa si dispera per un affare andato male dimostra ancora una volta la maturità del cinema iraniano contemporaneo. Anche il finale, con la figura della donna protagonista che si rivolge alla cinepresa e pone la domanda (ironica e polemica): "ma questi film dove vanno a finire?", porta il discorso oltre il metafilmico, ponendo una riflessione sulla problematica relativa alla visione, alla fruizione, alla distribuzione, che il postmoderno ha superato con superficialità e rapidità.

Et Rigtigt Menneske, film dogma danese di Ake Sandgren, ha raccontato una favola amara e divertente al contempo, in cui un ragazzo poco più che adolescente, concretizzatosi dal nulla, uscendo dalle pareti di una vecchia casa, incontra il mondo sconosciuto, con le sue regole variamente culturali, vivendo da disadattato o, addirittura, da ritardato. Tramite la narrazione di situazioni particolari (il ragazzo innocentemente gioca con alcuni bambini e viene arrestato per pedofilia, viene introdotto al sesso da un omosessuale con cui si diverte a guardare film a luci rosse), il film illustra il cammino della perdita di innocenza di un ragazzo-bambino che scopre, pian piano, il mondo adulto, con le sue malvagità, le preoccupazioni, le perversioni, i tradimenti.

Alla luce di questi film deludono le opere italiane (Giravolte di Carola Spadoni e Benzina di Monica Stambrini). Soprattutto Benzina, che dal punto di vista linguistico ha fatto intravedere un tentativo di sperimentazione, si è rivelato ingenuo nel tentativo di fare un road movie "Thelma e Louise all'italiana" (progetto di per sé interessante) partendo da un fatto gravissimo (l'uccisione della madre di una delle due protagoniste compiuto da una delle ragazze) portato avanti per tutto il film con tanta leggerezza da far innervosire...

 


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