Dalla (cinematograficamente) prolifica Corea arriva nelle sale italiane, dopo essere passato da Cannes, l’ultimo film di Im Sang-soo, melò al femminile e presunto remake del celebre omonimo film di Kim Ki-young. Pur conservando l’ispirazione alla base dello storico film del 1960, la rivisitazione di Im si configura da subito come corpo indipendente, se non estraneo, sia per sceneggiatura che per scelte registiche. Film profondamente orientale, eppure fortemente fruibile anche da un pubblico occidentale, The Housemaid è prima di tutto la storia di un dramma alto-borghese che si consuma interamente tra le pareti di una gabbia dorata, dove i ruoli sociali determinano le azioni e il loro esito.
Il regista coreano mette al centro della vicenda le sorti della cameriera del titolo, oggetto delle attenzioni sessuali del padrone di casa e vittima sacrificale della vendetta spietata della mogliettina annoiata e insipida e della sua feroce madre. A metà tra Chabrol e Fassbinder, il melò si dipana longilineo, con un andamento piuttosto “classico” e qualche virata verso tinte thriller. Im dimostra di utilizzare il genere senza diventarne schiavo, eleggendolo, viceversa, a strumento di rappresentazione di una lotta di classe inconsapevole in cui il potere, l’ambizione e il denaro decidono chi è il predatore e chi la vittima, con scarse, se non nulle, possibilità di colpi di scena. Il rapporto tra serva e padroni è capace di originare atti feroci, vendicativi e violenti, laddove chi non dovrebbe si sente minacciato. Im costruisce un microcosmo malato eppure avvolgente, un nido materno in cui la gestazione, e dunque la filiazione, è cosa da ricchi, in un sistema in cui è la capacità finanziaria a decidere ruoli e destini. Ciò che non rientra in questo schematismo viene necessariamente rigettato come corpo estraneo. La protagonista è avulsa da un meccanismo che non capisce, nemmeno intuisce, e si ritrova, suo malgrado, a percorrere l’irta strada dall’inconsapevolezza alla follia, attraverso il dolore di un figlio strappato.
Im struttura e accompagna la messa in scena senza mai lasciare nulla al caso, scandendo tempi e porzioni di spazio secondo un oculatissimo, eppure apparentemente spontaneo susseguirsi di inquadrature ribassate, zoom/carrelli in avanti e indietro, giochi di linee e luci. L’elegante freddezza con cui la macchina accarezza gli arredi e le stanze sontuose è prova di grande maestria. Lo è ancor di più la capacità del regista coreano di cambiare registro, quasi dividendo il film in tre parti. Come in un sillogismo, la sequenza di strada del prologo si contrappone per stile registico al restante corpo del film, salvo poi “suggerire” il finale che a sua volta, in uno scatto improvviso, apre al clima straniante degli ultimi definitivi minuti della pellicola. La distorsione comportamentale dei personaggi si fa visiva, ritraendo un folle microcosmo di cattivo gusto in cui colori plastici scolpiscono le forme. La parabola di una povera donna è tutta qui. Ma The Housemaid, oltre ad essere la storia minimale del destino sfortunato dell’ingenuità a contatto con l’arroganza, è un film fortemente politico. Se il potere va a braccetto con la possibilità e capacità di avere una prole, che a sua volta viene educata all’arroganza, il destino della società è segnato. All’onestà, al merito, alla verità, sembra dirci Im, non rimane che estinguersi rapidissimamente, come in un incendio improvviso e spaventoso.
TITOLO ORIGINALE: The Housemaid; REGIA: Im Sang-soo; SCENEGGIATURA: Gina Kim; FOTOGRAFIA: Lee Hae-jun; MONTAGGIO: Lee Eun-soo; MUSICA: Kim Hong-jip; PRODUZIONE: Corea del Sud; ANNO: 2010; DURATA: 106 min.
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