4bia PDF 
Gianmarco Zanrè   

I film a episodi, resi celebri nel corso del biennio Settanta/Ottanta da certo cinema di genere (commedia e fantascienza/horror su tutti), hanno rappresentato fino ai nostri giorni una forma cinematografica alternativa capace di regalare sorprese e visioni inedite di grandi e piccoli autori “costretti” a cimentarsi con un minutaggio inferiore rispetto al loro standard abituale. 4bia, blockbuster in patria, pur se di nicchia fra gli appassionati di genere, non mantiene tuttavia le promesse che il suo formato ha garantito, in passato, a generazioni di spettatori.

Al contrario, infatti, di piccole pietre miliari come Ai confini della realtà, Storie incredibili o del più recente – e geograficamente più vicino alla pellicola analizzata – Three Extremes, 4bia, complice una qualità non eccelsa dei registi al lavoro sui quattro episodi, fatica a mantenere costanti attenzione e tensione dello spettatore, sfiorando talvolta il ridicolo involontario. A complicare il lavoro dei cineasti, un comparto effettistico effettivamente discutibile, troppo legato all’utilizzo della computer graphic o giocato più semplicemente su trucchi banali, che vorrebbero sconvolgere ma finiscono per essere dei divertenti escamotage. Il primo episodio, passando ad un’analisi più dettagliata, risulta essere senza dubbio il più interessante dei quattro, sia per scelte visive – buone le visuali dei grattacieli a metà fra decadenza e tecnologia – che per trovate narrative: se, infatti, la tipica trama legata alla ghost story sa di già visto, l’idea di fare del cellulare e della connessione ad internet il fulcro della comunicazione “muta” fra i due protagonisti è azzeccata quanto estremamente attuale, così come l’inaspettato finale che rivela l’identità del persecutore e la storia legata alla condizione d’infermità della protagonista. Sicuramente, per spunti ed inventiva, e con un minutaggio maggiore a disposizione, sarebbe potuto diventare un ottimo prodotto.

La situazione precipita, invece, con il secondo capitolo della raccolta, che affronta – sfruttando un gruppo di attori decisamente poco espressivi – il tema del bullismo per ridurlo però ad una mera rappresentazione della macchiettistica di rito, dalla persecuzione del nerd di turno alla sua rivincita/vendetta per mezzo della magia nera. È in questo racconto che l’utilizzo della computer graphic pesa come un macigno sulla resa definitiva del lavoro, rendendolo grottesco e a tratti ridicolo, soprattutto in quello che dovrebbe essere il crescendo di tensione conclusivo. Con il terzo cortometraggio qualche segno di ripresa c’è, grazie anche all’operato di uno dei due registi di Shutter, già molto noto in patria, che trasforma la classica situazione da “horror da campeggio” in un’ironica e divertita serie di citazioni che passano da E.T. – sulla t-shirt di uno dei protagonisti – a Il sesto senso e The Others per culminare con Un tranquillo weekend di paura e Stand By Me. Le soluzioni attuate e le suggestioni dei protagonisti – questi sì, credibili nelle loro realtà giovanili – tengono viva l’attenzione dello spettatore e la sua curiosità fino allo scioglimento della trama, che purtroppo si rivela essere il vero punto debole del corto, limitandosi a creare un legame con l’ultima parte di questo “mosaico del terrore”. Neppure il tempo per una timida speranza e si torna a precipitare nello sconforto. Protagonista del quarto episodio è una giovane hostess amante di un principe cui viene assegnata l’assistenza della moglie nel volo di ritorno al loro paese. Ovviamente le sorprese e il calvario per la malcapitata saranno solo al principio con il decollo, ma neppure lontanamente risulteranno all’altezza dei momenti di vero terrore regalati da John Lightgow nel corto che lo vide protagonista in Ai confini della realtà – Il film, rimanendo in tema di “paura ad alta quota”.  Al contrario della parte della pellicola firmata da George Miller, le scelte narrative e le soluzioni visive qui adottate risultano spesso piatte e prive di fondamento, problema profondamente radicato nell’horror contemporaneo, che fatica a trovare un’identità forte e, soprattutto, narratori d’eccezione per quello che si rivela sempre più come uno dei generi più ostici per qualsiasi cineasta, e ha visto capitolare anche le sue promesse più interessanti (Rob Zombie su tutti, perso nei meandri degli omaggi ad Halloween dopo lo splendido La casa del diavolo).

Nella speranza di una rinascita che – come fu con The Descent di Neil Marshall o The Host di Joon Hoo Bong – possa tornare a far saltare sulla sedia gli spettatori, non resta che archiviare 4bia come un esperimento decisamente non riuscito e un’indicazione preziosa rispetto al da farsi quando anche qui in Italia avremo modo di incrociare la strada del suo già annunciato sequel.

TITOLO ORIGINALE: See prang; REGIA: Banjong Pisanthanakun, Paween Purikitpanya, Youngyooth Thongkonthun, Parkpoom Wongpoom; SCENEGGIATURA: Banjong Pisanthanakun, Paween Purikitpanya, Youngyooth Thongkonthun, Parkpoom Wongpoom; FOTOGRAFIA: Eakasit Thairatana; MONTAGGIO: Paween Purikitpanya; PRODUZIONE: Thailandia; ANNO: 2008; DURATA: 120 min.

 


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