Cría cuervos PDF 
Martina Bonichi   

Un piccolo viso e degli occhi come specchi grandi, neri come il buio dello schermo prima che il cinema arrivi a mostrare l’immagine per eccellenza, quella reale, brutalmente mostrata per raccontare la verità di uno spazio di vita. Così sono gli occhi di una bambina, quelli che accolgono la realtà del suo mondo, dentro la sua casa, dentro i letti dove entrambi i genitori trovano la morte. La vita, nel breve spazio di un’estate, le mostrerà tra rantoli sommessi e lenzuola disfatte il corpo del padre, quasi congelato nella sua rigidità, costretto dall’infarto, arrivando quasi in silenzio come una morte sommessa, senza grida. Quella della madre invece, qualche tempo prima, straziante e sofferta tanto da costringere la piccola Ana a scappare, tapparsi le orecchie per non vivere quel momento che spezzerebbe l’incantevole equilibrio del ricordo che si è costruita.

Come l’ultimo trionfante film di De La Iglesia, Ballata triste de trompeta, anche Cría cuervos si apre con una serie di fotografie, come se uno occhio discreto sfogliasse un album dei ricordi che, indugiando tra un’immagine lieta della madre e l’altra, si scontra con le tronfie pose di un padre in divisa militare durante la dittatura franchista. Poi un lento carrello nel buio di una stanza lascia intravedere il vestito bianco di Ana, che segue dei sospiri oltre una porta chiusa. Sembra essere un film sulla morte, sull’idea che ci si costruisce sopra, sulla caducità, la fragilità di una piccola vita che si barcamena tra il senso di colpa, l’impotenza e la vendetta, eppure appare un discorso sulla vita quello che Cría cuervos racconta attraverso la purezza di una bambina che passa i suoi interminabili giorni d’estate acquistando lentamente la consapevolezza di essere stata allevata come un giovane corvo, così come recita il titolo. Così, a farla da padrona è inevitabilmente quel sottile spazio che separa il sogno dalla realtà, lo spartiacque tra l’amabilità di una madre e l’indifferenza del padre prossimo alla fine, come le ultime scintille di una dittatura che aveva servito fedelmente, riflettendosi negli occhi del protagonista per eccellenza, una bambina che come chiunque altro, prima di scegliere cosa sia bene e male, deve respirarli e sperimentarli entrambi, senza difendersi, senza battere ciglio, ma solo vivendo su di sé la dolcezza e l’incuranza. Solo dopo averle provate entrambe compie la scelta di costruirsi la propria realtà, quella in cui, di fronte ai suoi occhi sorpresi, si scorge durante la notte nella figura sottile e irreale della madre, sorprendendola nel letto ancora sveglia o mentre vaga da sola per la casa mentre tutti dormono.

Carlos Saura parte dal silenzio reale della morte del padre, allegoria della vecchia guardia franchista, e pochi altri elementi: una carezza sul letto di morte, la sua voce pacata che lo chiama, seduta di fronte allo specchio mentre la tata la pettina. Da qui inizia il suo viaggio nella memoria, quella che rammenta la madre come se ancora vivesse con lei. Riflessa nello specchio, la sua immagine sembra dare vita alla vita stessa, e, anche se ormai perduta, è la realtà, mutata dal ricordo, nella quale Ana vuole fondersi per sopravvivere, confondendosi con l’immagine sognante di Geraldine Chaplin. Così, lo specchio diventa il pretesto, l'espediente onirico per restituire vitalità alle carezza della madre, alle sue dolci parole rassicuranti, che tanto appaiono di conforto nella sua figura fiabesca e irreale accanto alla rigida e austera impassibilità di un padre indifferente. Vivendo come in un lungo sogno ad occhi aperti, la memoria diventa un magico scudo contro una realtà meschina, autoritaria, corrotta, al punto tale da suggerirle che la morte, dopo averle portato via la purezza, possa ora diventare sua alleata, dimostrandosi allettante tanto per vendicarsi del padre quanto per lenire le sofferenze umane.

Titolo originale: Cría cuervos; Regia: Carlos Saura; Sceneggiatura: Carlos Saura; Fotografia: Teo Escamilla; Montaggio: Pablo G. del Amo; Scenografia: Rafael Palmero; Costumi: Maiki Marín; Musiche: Federico Mompou; Produzione: Elías Querejeta Producciones Cinematográficas S.L.; Distribuzione: PAC; Durata: 110 min.; Origine: Spagna, 1976

 


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