My Son, My Son, What Have Ye Done PDF 
Umberto Ledda   

Introduzione
Dev'essere una caratteristica della mente umana quella per cui, quando si discute o si analizza criticamente qualcosa, la valutazione di grado solitamente predomina su quella qualitativa: l'intensità, la potenza di un libro, di un film, di una scarpa o di un amore vengono percepiti e discussi prioritariamente, spesso relegando sullo sfondo la sostanza. Portando il discorso a un caso più specifico, il cinema, questa tendenza può essere utile per chiarire un po' una delle piccole ambiguità che trapelano dalla semiosfera cinematica. A leggere gli articoli, a sentir parlare gli esperti, finisce sempre che sembra che due registi come Herzog e Lynch possano essere in qualche modo comparabili, compatibili, assimilabili.  Gli aggettivi che li corredano tendono infatti ad essere sempre gli stessi e ad essere tutti di grado, di intensità: estremo, violento, devastante, eccessivo. Ora, anche tralasciando il fatto che estremo non vuol dir molto finchè non viene detto che cosa è portato all'estremo  (ed è stupefacente quanto in pochi facciano seguire una spiegazione all'aggettivo), questo finisce col far sembrare simili cose che simili non sono. Sicuramente Lynch ed Herzog hanno in comune una certa veemenza nel rapportarsi al cinema e alle immagini, un’attitudine ad andare sempre fino in fondo, e con violenza, nei mondi che affrontano. Questo spiega molto, forse, sul loro carattere, ma non elimina il fatto che come registi, come creatori di mondi, i due finiscano sempre per creare mondi molto diversi fra loro, quasi gli uni la nemesi degli altri.

A leggere le tracce scritte provocate dall'uscita a sorpresa, a Venezia 2009, del film che univa i due registi in un'unica entità (Herzog alla regia, Lynch alla produzione esecutiva, ma è evidente che il confine è meno definito di quanto non trapeli dai titoli di testa), si nota uno stupore superficiale, legato principalmente al godimento morboso e un po' nerd nel vedere  due pezzi da novanta del cinema incontrarsi e ibridarsi in una macroentità filmica, una cosa del tipo "crossover fumettistico".  Molta della poca carta e quasi tutti gli html scritti in proposito compiono due gesti importanti: a) danno per scontato che il film è il risultato di una vera e propria interazione creativa di un qualche tipo fra i due; b) danno per scontato che, al di là del godimento del fan, questa unione possa avvenire tranquillamente, perché si tratta in fondo di due registi compatibili, menti strane, menti distorte, registi estremi ed eccessivi e profondissimi, e questo basta e avanza perché si possa azzardare un travaso di immaginari. In realtà il rischio di un film del genere, incontro di due mentalità di intensità simile ma di direzione diversa, era che si annullassero a vicenda riducendo il tutto a una poltiglia informe: perchè non c'è davvero molto a unire i due (piccole ossessioni come quella di entrambi per i nani sono solo folklore). Lynch è un regista del negativo e della distruzione; Herzog è nonostante tutto ancorato alla sfera positiva, costruttiva, della mente umana. Lynch è un sabotatore che prende per il culo il suo pubblico disgregando ogni più piccolo brandello di senso, rivoltandolo contro se stesso; Herzog è un regista di rivelazioni, che al pubblico svela frammenti di verità. Oltre al fatto che uno è molto ma molto americano, l'altro è molto ma molto tedesco. Mentalità non solo differenti, ma proprio opposte. 

Intermezzo (del perché Lynch ed Herzog non avrebbero potuto fare un film insieme e del perché, per gli stessi motivi, un film del genere potrebbe essere molto interessante)
Da qualche parte Herzog ha detto o scritto di considerarsi sostanzialmente un bavarese di stampo medievale.  Le sue ossessioni sono in effetti molto medievali, molto tedesche: il rapporto fra l'uomo e l'infinito, fra l'uomo e la natura (il confine fra ciò che è uomo e ciò che non lo è, ma a cui l'uomo vorrebbe tanto arrivare), l'uomo e i suoi limiti di fronte all'esistenza, o al pensiero di qualcosa che è incommensurabilmente più grande di lui e che vorrebbe raggiungere ma che ineluttabilmente lo distruggerà. Dio, insomma, in tutte le sue forme. Herzog è un regista estremamente mistico, di sicuro il più spirituale degli ultimi cinquant'anni, anche se, per fortuna, non ha mai affrontato menate religiose esplicite né mai pronunciato il nome di Dio. Bavarese, medievale, inevitabilmente protestante, ma di ascendenza greco-tragica: il limite può essere superato soltanto a costo di se stessi. A Lynch di Dio non gliene può fregar di meno, nemmeno quel Dio inteso semplicemente come alterità a cui l’uomo punta senza grandi speranze da migliaia di anni. Se Herzog cerca di raccontare il rapporto fra l’uomo e il suo limite superiore, esseri umani che cercano di sfondare il tetto che l’ontologia ha messo loro di fronte (in Nosferatu la morte, ne La grande estasi dell’intagliatore Steiner il volo, in Grizzly Man l’unione con la natura, in Fitzcarraldo le leggi della fisica, eccetera ...), Lynch racconta, al contrario, di uomini che scavano sotto il pavimento. La famosa scena iniziale di Velluto blu, con la telecamera che si abbassa dal meraviglioso mondo americano color confetto verso l'oscurità e i vermi e il rumore bianco che stanno al di sotto, è ancora il suo manifesto.  Lynch mette in scena l’uomo al confronto con ciò che è, ma che non vorrebbe mai essere. Herzog è l'uomo che tende verso qualcosa, in Lynch c'è invece il tortuoso ripiegarsi verso l'infinitamente piccolo e l'infinitamente buio, dove la verità non esiste più e tutto è privo di senso.

My Son, My Son, What Have Ye Done. David Lynch presents a Werner Herzog film
Ciò che rendeva rischioso, ma anche interessante, un film del genere è proprio questo. Non sono due registi semplicemente diversi, quanto di identità opposte. Talmente opposte, forse, da permettere alla struttura di una di specchiarsi nell'altra. E magari di permettere di capire alcune cose di Herzog pensando a come Lynch ha influenzato, o riletto, il suo materiale. E viceversa. Sarebbe semplice se il ruolo di Lynch fosse stato semplicemente quello di detentore del progetto e suo custode. Ma non ci si riesce proprio. È un film strano My Son, my Son ...: a prima vista l'incontro sembra produrre una frammentazione riottosa dei due immaginari e delle due ricerche, come se le immagini di Lynch e quelle di Herzog proprio non riuscissero a mischiarsi, e allora si giustapponessero, un elemento lynchiano qui, poi uno di Herzog, e via così. Il giochino di capire che cosa appartenesse a chi ha coinvolto tutti coloro che hanno scritto del film.

Il giochino della proprietà
La provenienza cronachistica della storia è evidentemente herzoghiana, di matrice documentaristica. Anche se mitigato da una struttura più narrativa, è percepibile il tentativo non tanto di mettere in scena una storia, quanto di cercare di capire come un uomo appartenente al mondo reale possa aver fatto quello che ha fatto, che cosa possa aver scatenato una follia del genere. Il che ci porta a "La storia, che si direbbe di Lynch, se non fosse accaduta più o meno identica nel 1979 a San Diego". Sta di fatto che l'uomo che abbatte la madre psicotica con una spada feticcio regalatagli dallo zio allevatore di struzzi sembra rimandare più all'immaginario di Lynch che non a quello di Herzog. La musica appartiene a Herzog: quasi sempre, almeno. Il sound design è di Lynch, con la sua cura maniacale, le accurate dissolvenze dei suoni nel rumor bianco, il suo contrappunto stridente e la sua presenza costante. La struttura è di Lynch, pur avendo molto dell'andamento documentaristico dell'inchiesta. Ma il suo procedere per analogia, con un andamento non rigidamente logico, e soprattutto la tendenza a mischiare le carte passaggio dopo passaggio, sono lynchiane. Il nano è di entrambi, ma serve a poco. Grace Zabriskie è di Lynch, come di Lynch, al cento per cento, è il personaggio che interpreta, quello della madre assassinata. Personaggio importante che rende evidente quanto sia forte l'influenza dell'immaginario dell'americano. L'occhio è quello di Herzog, con la sua macchina a mano molto fisica, nervosa, pulita. Il Perù, terra vergine dove l'assassino, durante un viaggio di sport estremo con gli amici, inizia a covare la follia che lo porterà ad ammazzzare la madre, è ovviamente Herzog: l'immensità indifferente e potente della natura, la figurina solitaria e umana lì davanti, che non può fare nulla. Il riferimento alla tragedia greca (l'assassino era anche un buon attore; nei mesi precedenti il fatto avrebbe dovuto interpretare l'Elettra di Sofocle) è di Herzog. E poi ci sono cose che non sembrano appartenere a nessuno dei due, che producono nello spettatore una sensazione diversa dallo stordimento lynchiano o dall'appuntito cordoglio che di solito genera Herzog. Sono scene strane, dove forse avviene l'amalgama fra le due sensibilità. Non più di due scene, ma meravigliose. Quando accadono, il discorso sulla paternità effettiva del film diventa ridicolo.

So what?
Scena 1: Dio. La prima ha a che fare con dei fiocchi d'avena. Perchè il folle Brad sente Dio, sa che è nella casa, in cucina, per le precisione nel barattolo, o nel ritratto di un padre fondatore che sta sul barattolo dei fiocchi d'avena. Quando poi Brad si rintana in casa assediato dalla polizia, dopo l'omicidio, lascia scivolare verso gli asssedianti il barattolo per il semplice fatto che ora che ha ucciso la madre non ha più bisogno di Dio. La corsa del barattolo lungo il vialetto in pendenza, in pianosequenza, di fronte ai poliziotti circospetti e goffissimi, assume in qualche modo una strana rilevanza, una strana poesia. Il gesto ridicolo di regalare un Dio così delirante di fronte a personaggi obbligati dalla situazione a prendere sul serio tutto contiene in sé un monito sottile su ciò che sono gli uomini. Scena 2: I was born to preach the gospel. Una delle molte cose che ossessionano l'assassino è una vecchia canzone, un gospel sgraziato ed emozionante. La fa ascoltare alla sua ragazza spaventandola non poco, e, dopo l'omicidio, la fa ascoltare anche ai poliziotti fuori della casa, con il suo stereo portatile. Ovviamente i poliziotti sono un po' con le pistole puntate, un po' con le mani alzate per dimostrare che non stanno facendo i furbi e, anzi, vogliono aiutare e basta. Nessuno, ovviamente, parla. C'è un istante del film, durante questa canzone, in cui i movimenti dei poliziotti con le mani alzate sembrano quasi sincronizzarsi con la musica in una specie di goffo balletto religioso dove sbirri armati fino ai denti invocano il Signore a mani alzate con lo sguardo catatonico.  È solo un istante, ma è un istante meraviglioso, dove la distorsione e la bizzarria di Lynch vengono potenziate dall'allucinata intensità di Herzog.

Non succede sempre: in generale, My Son my Son ... è un progetto frammentario, pieno di momenti portentosi, ma dove si avverte fortemente la giustapposizione di due identità diverse. Era un progetto probabilmente già formato da Lynch, su cui, per la prima volta, Herzog si è trovato non tanto a eseguire (non ne sarebbe in grado, caratterialmente), ma a lavorare su un materiale a cui era già stata data una connotazione personale. Herzog ha tenuto conto della matrice parzialmente esterna del materiale, ma è andato avanti lo stesso, quasi omaggiando Lynch, senza stravolgere la strutturazione poetica del collega ma rivedendola, rifiltrandola attraverso la sua sensibilità. C'è una scena, verso il finale, dove compare un pianoforte, e in colonna sonora c'è una musica di pianoforte jazz, e tutto sembra molto semplice, salvo poi che quando la macchina da presa va a inquadrare il suonatore questi si alza e se ne va e la musica invece continua come prima: è un trucchetto di dispercezione e spaesamento molto simile a quello che Lynch aveva già messo in scena in Mulholland Drive. La paternità della scena è evidentemente lynchiana. Herzog la mantiene, senza snaturarla, ma poi fa sedere Brad davanti al piano automatico, con i suoi tasti che si muovono da soli, e lo fa rimanere lì seduto, con le mani in mano, a osservare il compiersi della musica al di là del suo controllo. L'atmosfera definitiva della scena, così come di quasi tutto il film, è herzoghiana, anche se è un Herzog che inevitabilmente si sente un po' un ospite, e come tale prova un po’ di imbarazzo nel fare come se fosse a casa sua. Il risultato è che, in alcuni punti, la mentalità di Herzog compie il miracolo, e, con la sua tensione comunque positiva verso un qualcosa, illumina l’assurdo di Lynch riuscendo però a non privarlo del suo elemento conturbante. In questi momenti il risultato è quasi superiore alla somma delle parti. In altri casi, i due cervelli si limitano a dividersi rispettosamente il territorio, ognuno illuminandolo a modo suo con le proprie idee. Probabilmente a creare questa bizzarra creatura a due teste sono state beghe produttive e non una comunanza artistica tale da portare i due registi a concepire insieme un progetto. Ciò nonostante, nel guardarlo è forse preferibile credere ad un'altra versione dei fatti: quella di un Herzog agli inizi di un nuovo ciclo americano di film narrativi che decide di guardare il nuovo paese attraverso gli occhi di Lynch, perché Lynch è il miglior paio di occhi attraverso cui guardare l’America.

 


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