Eyes Wide Shut: i colori del (doppio) sogno PDF 
di Andrea Castelli   

"Il cinema è la fotografia della fotografia della realtà"

Stanley Kubrick

Ciò che risulta immediatamente evidente in ogni film di Stanley Kubrick è senza dubbio la grande densità di significati che è possibile cogliere non solo all'interno di ogni suo singolo film, ma perfino in ogni minima sequenza o inquadratura. Sono infatti veramente numerosi i livelli di significazione (tematico, figurativo, sociologico, mitico) in base ai quali è possibile analizzare le opere del grande regista. In questo lavoro ci concentreremo principalmente sull'aspetto figurativo ed in special modo mi servirò dei codici cromatici per cercare di far affiorare i significati particolari legati all'uso di uno specifico tipo di colore o di illuminazione. La cura assolutamente maniacale con cui allestisce il proprio lavoro trova riscontro nella ricchezza di elementi formali ma anche nel notevole valore estetico delle immagini; ciò è determinato dall'unione di diversi fattori quali il tipo di illuminazione, il tipo di obbiettivo utilizzato, il formato della pellicola, i particolari colori scelti per gli arredamenti o per i costumi. L'approccio di analisi testuale di cui ci serviremo farà affidamento in gran parte agli strumenti messi a disposizione dalla semiotica visiva, ma cercheremo altresì di collocare l'opera esaminata all'interno della filmografia del regista, provando a far affiorare le possibili connessioni, a livello tematico o puramente visivo, con i suoi precedenti film.
 

Kubrick e il colore


Da autore a tutto tondo e innovatore quale è sempre stato, Kubrick ha sempre considerato ogni innovazione tecnica come una nuova possibilità espressiva da poter sfruttare per raggiungere quella perfezione da lui sempre ricercata. Così è stato anche per il colore, mezzo che teoricamente permette di fornire una rappresentazione più verosimile del mondo, in quanto maggiormente capace, rispetto al bianco e nero, di riprodurre fedelmente le sfumature cromatiche della realtà. E' solo da 2001: Odissea nello spazio (1968) che Kubrick inizia ad utilizzare il colore , ma già da subito si rivela anche in questo campo un profondo sperimentatore. Il suo scopo non è però quello di dare rappresentazioni realistiche degli elementi profilmici ma piuttosto quello di far assumere ad essi dei significati che naturalmente non assumerebbero. Sembra paradossale come nel suo primo film a colori a risaltare maggiormente siano tinte neutre come il bianco e il nero, in un film che tratta temi "universali" come l'Uomo, il Tempo, la Storia. Il suo cinema sembra infatti caratterizzarsi per un doppio movimento: in avanti verso la sperimentazione tecnica (uso di speciali obiettivi ottici, scelta di particolari formati nella pellicola), all'indietro nel tentativo di recuperare caratteristiche rappresentative di altre discipline, come la fotografia o la pittura (Eugeni). Proseguendo in ordine cronologico incontriamo Arancia meccanica (1971) in cui l'uso del colore è fortemente antinaturalistico, anzi fumettistico, coerentemente con lo stile generale del film ed il tipo di recitazione, caratterizzati da toni farseschi o quantomeno artificiali; in questo caso infatti a balzare agli occhi sono le tonalità pastello del rosso e del blu.

Del 1975 è Barry Lyndon in cui il regista tenta di ricreare sullo schermo alcuni dipinti di paesaggi e ritratti del '600, '700 e '800 che vengono ripresi in modo ossessivamente fedele; i colori sono in questo caso quelli della campagna irlandese, non però ricreati in maniera realistica, bensì a come essi apparivano nei dipinti a cui il regista ha deciso di ispirarsi. In Shining (1980) invece, Kubrick ribalta i canoni del cinema horror, dove troviamo solitamente ambienti cupi e tenebrosi, illuminando gli spazi con una abbagliante luce bianca, producendo ugualmente un effetto di terrore, dovuto soprattutto all'uso insistito della soggettiva, grazie alla quale lo spettatore è trascinato nelle allucinazioni vissute dai protagonisti. Nel successivo Full metal jacket (1987) Kubrick si confronta con il film sul Vietnam. Il procedimento è qui in qualche modo opposto a quello utilizzato in Barry Lyndon: egli non vuole rappresentare il Vietnam così come è stato messo in scena dal cinema precedente (Coppola, Cimino e Stone - per citare i casi più rappresentativi), il suo intento è piuttosto quello di ripartire da una sorta di "grado zero" che restituisca un'immagine il più possibile reale di ciò che è la guerra, arrivando così a scardinare i meccanismi consolidati di genere, sia dal punto di vista rappresentativo che da quello narrativo. I due momenti in cui si divide il film, quello dell'addestramento e quello della battaglia, sono chiaramente distinguibili anche visivamente: nel primo dominano i toni freddi, mentre nel secondo lo stile documentaristico è associato all'uso di colori caldi.
 

Kubrick e la pittura


La ricercatezza nelle scelte cromatiche nelle opere di Kubrick va di pari passo con uno spiccato gusto per il riferimento pittorico, al punto da poter considerare ogni suo film come una sorta di trattato sull'arte e in special modo su un particolare periodo o movimento artistico. A cominciare dalla fotografia in stile metropolitano de Il bacio dell'assassino (1955) per arrivare al monolite di 2001: Odissea nello spazio, definito dallo stesso regista "un simpatico esempio di arte minimale", passando per la Pop Art e l'arte concettuale di Arancia meccanica, fino a Barry Lyndon, vero e proprio manuale sulla pittura, in cui Kubrick allestisce infatti dei magnifici tableaux vivants in cui riproduce dipinti del Settecento inglese e non (i paesaggi di Gainsborough e Constable, i ritratti di Hogarth, Reynolds, Gainsborough e Stubbs). Anche in questa occasione il suo intento non è però unicamente figurativo, egli vuole soprattutto dimostrare l'inaccessibilità del mondo che rappresenta per chi vuole conoscerlo. Nel caso di Eyes wide shut (1999) invece, Kubrick sembra in alcune sequenze voler richiamare in maniera più o meno esplicita i dipinti di Gustav Klimt e attraverso di essi il racconto cui il film è ispirato, Doppio sogno di Arthur Schnitzler, di cui Klimt fu concittadino e contemporaneo, essendo ambedue vissuti a Vienna agli inizi del secolo scorso. I richiami all'arte sono utilizzati da Kubrick non tanto per fini meramente estetici, quanto piuttosto per richiamare temi e contenuti collegati a determinate opere, oppure per evocare parallelismi tra le opere citate e le situazioni narrate nel film.

Così, per esempio in Barry Lyndon, i "quadri" che il regista mette in scena hanno la funzione di veri e propri media (nel senso di elementi di mediazione) per permetterci di addentrarci in un'epoca distante, e allo stesso tempo, nella loro distanza e fissità, essi alludono all'impossibilità da parte nostra di penetrare la Storia, la cui piena comprensione ci è negata. In Arancia meccanica sono evidenti i riferimenti alla Pop Art, che ben si accordano con la caricaturalità dei personaggi; anche in questo caso il rimando non è fine a se stesso ma assume molteplici significati: da un lato infatti serve a creare quel clima di finzionalità che pervade tutto il film, e dall'altro allude alla mercificazione di massa che coinvolge ogni aspetto della realtà. Questo insieme di rimandi e citazioni dà così vita ad una sorta di co-testo all'interno del quale si sviluppa la vicenda narrata, e con cui instaura una serie di isotopie tematiche che arricchiscono l'opera di notevoli significati.

Eyes wide shut e Arancia meccanica: due modi di usare il colore

 

Ho già parlato dei diversi modi in cui Kubrick usa il colore e le potenzialità di significazione da esso offerte nei suoi film. Qui mi spingo più nel particolare mettendo a confronto due opere, Eyes wide shut e Arancia meccanica, nelle quali l'aspetto cromatico, pur assumendo in entrambe un'importanza rilevante, viene trattato con notevole differenza: definirò queste due differenti modalità rispettivamente "emozionale" e "finzionale". Ho già sottolineato come in Arancia meccanica Kubrick utilizzi un genere di forme dell'espressione profondamente artificioso: questa osservazione non riguarda solo il colore, ma anche i procedimenti linguistici (largo uso di accelerazioni e ralenti, obbiettivo grandangolare, particolare uso della soggettiva), la "teatralità" delle immagini, il linguaggio parlato dai personaggi, al punto che si è arrivati a parlare di "schizofrenia del linguaggio" . In realtà è abbastanza improbabile ipotizzare un atteggiamento schizofrenico per un regista che ha sempre fatto del controllo una delle sue più grandi ossessioni; è più giusto pensare a un'idea "totale" di regia che non coinvolga solamente la macchina da presa ma anche la fotografia, la scenografia, ecc. Per tornare all'aspetto che più ci interessa, quello figurativo, ricordiamo i già citati riferimenti alla Pop art; questi riferimenti, come sempre in Kubrick, non si limitano a sintetizzare un décor, ma lo fanno diventare un protagonista dell'intreccio; ciò è riscontrabile soprattutto nella rappresentazione della sessualità (i quadri nella casa della signora dei gatti, la grande scultura fallica) con l'intento di degradarla, e contemporaneamente se ne vuole sottolineare l'aspetto mercificatorio ed onnivoro. Allo stesso modo è ironico l'uso del colore, ed in particolare del bianco, da sempre simbolo di purezza, che qui diventa all'opposto simbolo di violenza e di morte (il latte-più, la scultura fallica) (Cremonini).

In Eyes wide shut invece, le scelte sul piano cromatico paiono a prima vista più tradizionali. I colori si accordano e in un certo senso fungono da contesto in cui prendono vita gli stati d'animo dei personaggi, tanto da apparire come dei veri e propri "sottotesti emozionali" . Parlerò più avanti nello specifico di questo argomento, ma adesso ritorniamo ai riferimenti a Gustav Klimt presenti nella pellicola; l' artista viennese rappresentava un mondo onirico di fasto e decadenza e nelle sue opere era spesso il colore oro a dominare lo sfondo, proprio come accade nel film nella scena del ballo, in cui le cascate di luci danno vita ad una meravigliosa luce giallo-oro che sembra provenire dallo schermo. Eyes wide shut è certamente uno dei film più "pittorici" di Kubrick ed in certe scene sembra quasi che egli abbia disposto i suoi colori con estrema cura su una parete bianca come un vero pittore.

Eyes wide shut e i colori delle emozioni

Concentrando il discorso su Eyes wide shut, possiamo osservare come nel film sia stata attribuita grandissima attenzione all'aspetto figurativo ed ai colori in particolare. Le tinte coprono l'intera gamma dello spettro: il caldo arancio della casa degli Harford, il bianco asettico dello studio medico, il potente rosso nella villa dell'orgia (Ghezzi). Nel libro da cui la pellicola trae spunto non sono però presenti espliciti riferimenti ad elementi cromatici; ci permette questo di affermare che la trasposizione operata da Kubrick non è fedele? Assolutamente no, piuttosto l'autore ha saputo prendere le distanze dal testo di partenza, adattandolo mediante il ricorso ai codici specifici del mezzo. Si può ugualmente affermare che quello di Kubrick è un adattamento fedele, in quanto ha saputo trasportare nel film l'atmosfera del racconto di Schnitzler non riproducendola "alla lettera", bensì appunto mediante i codici specifici del mezzo cinematografico, non più la parola scritta ma l'illuminazione, i movimenti di macchina, ecc. In tal modo le scelte operate dal regista si sono dimostrate assolutamente originali e, grazie ad esse, il testo filmico si è arricchito di significati ed interpretazioni rispetto al libro di partenza. Attraverso un'attenta analisi dei colori è possibile osservare anche come il medesimo ambiente in differenti momenti del film possa assumere connotazioni diverse seconda il modo in cui è stato illuminato e delle tinte che il regista ha voluto evidenziare; ad esempio la camera da letto degli Harford così come tutta la casa, che nella prima parte è dominata da un caldo rosso-arancio, assume nell'ultima parte una tonalità blu molto più fredda. Abbiamo qui a che fare con un insieme di testi iconici (le immagini del film) nell'accezione data da Greimas, cioè organizzati non solo in formanti plastici ma anche figurativi con in più alcuni effetti di senso specifici che potremmo chiamare "di realtà" o "di verità" (Pozzato). Quello che Kubrick ha saputo fare è stato far corrispondere ad elementi cromatici altri elementi situati a livello patemico: per capirci, tornando alla scena nella camera da letto qui il rosso-arancio sta ad indicare l'amore coniugale che unisce marito e moglie; al contrario nella medesima scena il blu elettrico che si scorge al di fuori della stanza suggerisce il pericolo insito nella trasgressione delle norme su cui si fonda il matrimonio.

Come abbiamo osservato sopra, queste corrispondenze colore-patema non sono universalmente valide in tutto il film, ma possono di volta in volta rinnovarsi dando vita a nuove connessioni e a nuovi livelli di significazione.
Analizzando poi il film nei suoi aspetti figurativi, vediamo come esso sia composto principalmente da inquadrature lunghe con movimenti di macchina per lo più lenti e dolci, vi è un'assenza quasi totale di soggettive, tranne quella della scena dell'orgia, che Bill attraversa quasi in trance a sottolineare il suo voler vedere ma anche il suo non poter agire; l'intento di Kubrick con il rifiuto della soggettiva non è tanto quello di mantenere a distanza lo spettatore quanto al contrario di farlo immedesimare con il protagonista ma dare allo stesso tempo una "rappresentazione iconica del linguaggio onirico" ; in un sogno infatti non agiamo mai in prima persona ma vediamo noi stessi agire. Kubrick ha perciò costruito il film come un lungo percorso onirico che ingloba al suo interno altri sogni (Alice che sogna se stessa mentre fa l'amore con altri uomini) ed inserti immaginari (Bill che immagina la moglie con il marinaio); in questo viaggio Bill, e con lui lo spettatore, si perde e guarda ma non agisce mai (il sesso è sfiorato-sognato-immaginato ma mai veramente vissuto). Per di più l'atto di guardare non si realizza del tutto consapevolmente, ma in stato di semi-incoscienza, proprio come in un sogno. Altro fatto significativo è che il tradimento di Alice con il marinaio, immaginato da Bill, viene rappresentato in bianco e nero; forse con ciò il regista vuole alludere al fatto che ormai il cinema è penetrato così a fondo nel nostro immaginario che l'immaginazione deve strutturarsi necessariamente secondo i codici del cinema.

Sulla base di questi e di altri elementi è possibile procedere ad un'analisi che evidenzi gli aspetti simbolici, facendo corrispondere ad un contenuto un'unità culturale, oppure gli aspetti semi-simbolici, mettendo in relazione categorie del piano dell'espressione e categorie del piano del contenuto. Così ad esempio, seguendo criteri del primo tipo, vediamo che Bill è sempre vestito con abiti neri (cappotto, giacca, mantello) proprio come un'ombra, un essere incorporeo che vaga per luoghi anch'essi irreali. Oppure la miriade di colori che Bill attraversa durante tutto il film evoca l'atmosfera di un mondo fiabesco; anche la sceneggiatura sembra ammiccare in alcune circostanze a questa strategia: le due modelle che Bill incontra al ballo iniziale gli propongono un'avventura "dove finisce l'arcobaleno", mentre il negozio di costumi in cui affitta il mantello si chiama "Rainbow". Oppure ancora i numerosissimi elementi di colore rosso che possono indicare secondo le volte il calore domestico (la casa degli Harford) ma anche una minaccia (il tappeto nella villa dell'orgia).

Seguendo invece il secondo tipo di criterio, basato sugli aspetti semi-simbolici, possiamo notare diversi tratti in contrasto tra loro che richiamano il contrasto esistente tra categorie del piano dell'espressione e categorie del piano del contenuto. Per esempio nella già citata scena nella camera da letto, quando Alice confessa al marito il tradimento desiderato tempo prima, il caldo arancio della camera da letto contrasta fortemente con il blu glaciale dell'esterno, non solo l'ambiente esterno; con questa scelta cromatica il regista sembra volerci dire che l'uomo può trovare conforto solo in una sessualità realizzata all'interno del rapporto coniugale, in opposizione ai richiami del mondo esterno, dove il sesso è freddo e meccanico ed i pericoli sono sempre in agguato (Aids, tossicodipendenza).

Il ballo

 

C'è una scena nel film che risulta emblematica ai fini del nostro discorso sugli aspetti figurativi e cromatici; è la scena iniziale del ballo a casa degli Ziegler. La sequenza si apre con un'autocitazione da parte di Kubrick che nel campo totale sulla sala da ballo richiama un'inquadratura simile presente in Shining; poi si susseguono riprese lunghe con movimenti lenti e sinuosi della macchina da presa, rese possibili da un largo uso della steadycam. Le riprese sono per lo più in primo piano o in piano medio, mentre il colore che domina tutta la scena è il giallo-oro dovuto alla luce delle numerosissime lampadine che cadono lungo le pareti della sala e che richiamano il colore dei dipinti di Gustav Klimt; del pittore Kubrick sembra voler riprendere l'atmosfera di forte seduzione presente nelle sue opere: durante il ballo infatti Alice viene fatta oggetto di corteggiamento e la stupenda luce, insieme alla musica dell'orchestra, concorrono a creare clima di profonda sensualità. In particolare il dipinto cui il regista fa riferimento è Il bacio; ad un'attenta analisi il rimando appare talmente evidente tanto da permetterci di affermare che vi sia da parte dell'autore un chiaro tentativo di traduzione tra pittura e cinema. Questo processo si sviluppa a più livelli: a livello plastico, per la ripresa delle linee dei corpi; a livello figurativo per la prossemica che i due personaggi mettono in atto; infine a livello cromatico per il tipo di colori che vengono messi in scena, grazie a un particolare ricorso alla fotografia e alla scenografia. Allo stesso tempo però la citazione pittorica non viene usata per fini puramente estetici, al contrario funziona da allusione e insieme da omaggio per l'epoca viennese in cui sia Il bacio che Doppio sogno hanno visto la luce. Infine dal punto di vista patemico, la scena funziona ne3l creare un clima di diffusa sensualità, sensazione che non ritornerà più nel film poiché, anche quando il sesso verrà mostrato esplicitamente, come nella scena dell'orgia, la sua carica erotica verrà in un certo senso "raffreddata" attraverso l'uso di una musica insinuante e minacciosa.

Per concludere
 

Abbiamo visto come può essere importante l'aspetto cromatico in un film, non soltanto al fine di arricchire le immagini con elementi attrattivi, ma proprio perché la scelta di valorizzare determinati elementi cromatici rispetto ad altri ha ripercussioni sul significato di una scena, e talvolta su quello di un intero film. Per questo motivo è importante tenere presente, specie quando si ha a che fare con un regista come Kubrick, che ogni minimo elemento all'interno dell'immagine è il frutto di una scelta del regista (arredamenti, costumi, luci, ecc.) perché attraverso queste scelte è possibile dare vita a significati simbolici o semi-simbolici che concorrono ad arricchire l'opera di contenuti e di possibili interpretazioni. Allo stesso tempo chi si accinge ad analizzare un film non deve tralasciare alcun dettaglio e cercare anzi a capire quale intento significatorio si celi dietro determinate scelte.

BIBLIOGRAFIA
Bernardi Sandro, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Pratiche, Parma, 1990
Canova Gianni, Lo sguardo ottuso, in "Duel", n°74, Ottobre 1999
Cremonini Giorgio, L'arancia meccanica, Lindau, Torino, 1996
Eugeni Ruggero, Invito al cinema di Stanley Kubrick, Mursia, Milano, 1995
Ghezzi Enrico, Stanley Kubrick, Il castoro, Milano, 2002
Pozzato Maria Pia, Semiotica del testo: metodi, autori, esempi, Carocci, Roma, 2001
 


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