TFF 26/Bob le Flambeur. Prodromi dello stile Melville PDF 
Matteo Demichelis   

“[…] sono un uomo della notte e un uomo del mattino, dell’alba, prima di andare a dormire. Henry (Henry Decaë, il direttore della fotografia di Jean-Pierre Melville, ndr) è molto più regolare di me, torna a casa presto, mentre io comincio a vivere verso le undici di sera. Prima di ammalarmi, andavo a letto sempre verso le cinque o le sei del mattino. L’alba a Pigalle era il momento in cui facevo colazione, prima di andare a letto.” (1)

Bob le Flambeur è il film di Jean-Pierre Melville che inaugura, nel 1956, un punto di non ritorno per il cinema del suo tempo. Ancora oggi, a più di quarant’anni di distanza, è un “noir” esemplare da riscoprire e riesaminare per l’indubbia modernità di temi e stilemi che non hanno mai smesso di circolare. Basti pensare che lo stile Melville ha ispirato l’universo pulp americano di Quentin Tarantino, che ammise la sua passione sviscerata per Le Doulos ai tempi di Reservoir Dogs (Le iene, 1992). Fino ad arrivare a Johnny To, il regista che ad Hong Kong ha riscritto una sua originalissima concezione di film “poliziesco” (con un capolavoro come PTU, girato nel 2005). Il film si apre con una panoramica sui tetti di Montmartre. È notte, o meglio, è il limitare della notte, quando il cielo inizia a rischiarare la cupola di Montmartre e Pigalle, il quartiere della vita notturna parigina. Bob lancia per l’ultima volta i dadi sul tavolo da gioco e rientra a casa. Ma sulla strada del ritorno si intrattiene in un bar dove ritrova Paulo, un giovane che inganna il tempo giocando a sua volta a dadi sul bancone del locale e che sembra imitarlo e seguirlo in tutto. Il gioco pare stabilirsi in ogni piega di Pigalle. Una voce off ci informa che Bob non rientra mai a dormire prima delle sei del mattino. La gente del quartiere lo rispetta e lui domina il quartiere dalla vetrata panoramica del suo appartamento che dà direttamente sull’imponente basilica. Per una buona parte, il film indugia sugli spostamenti di Bob, senza interessarsi a seguire un’azione precisa. Un andamento narrativo che si discosta per questo già molto dal cinema classico americano e francese. E in realtà, delinea gradualmente quell’universo notturno e ambiguo di Pigalle, fatto di giocatori, carte, dadi, uomini che sembrano soggiornare da sempre in quei locali, che si intrattengono senza uno scopo preciso, in attesa di fiutare nell’aria qualche affare ai limiti della legalità. E tutto questo è filmato con una leggerezza di stile e grazia letteraria (dovuta all’uso della voce off) che ritroveremo solamente nel successivo Deux hommes dans Manhattan (1959). Nelle opere successive a quella del 1959, infatti, Melville adotterà uno stile più controllato e meno divertito, perché cambieranno temi e personaggi. In Le Doulos (1962), il tema è la vendetta e i personaggi sono sempre più soli. Un film da cui si esce con la sensazione di non potersi mai più fidare di nessuno.

Ma qui, invece, c’è Anne. Bob la scorge per la prima volta mentre vaga senza meta, all’alba, in una piazza di Pigalle abitata dagli ultimi reduci della nottata, dei marinai in libera uscita. Anne è nuova nel quartiere, e quando Bob la ritrova nei locali la mette in guardia e le lascia i soldi per pagarsi una notte all’hotel. In un incontro successivo, le lascerà le chiavi di casa favorendo la relazione amorosa tra la ragazza e Paulo. Ma Anne e Bob in realtà si amano? E chi è veramente Bob? Quando sembra di afferrare un personaggio, Melville lo ha già spedito dritto verso un destino sfuggente. Anche questo è lo stile Melville che spiazza, sempre. In Le Doulos i colpi di scena nascono dal tradimento continuo della fiducia. Qui è il carattere mutevole e inavvicinabile di Bob a confondere. Ma anche quello di Anne, la figura più ambigua del film (interpretata da Isabelle Corey, qui al suo esordio). Bob è conosciuto come “Bob il giocatore”. Esteriormente, sembra un gangster uscito dai film americani ambientati negli anni Trenta, molto amati dal regista. Indossa l’immancabile impermeabile Burberry (che Melville portava sempre) e gira con un’automobile scoperta. Ma non ha nessun interesse per i soldi. Apprendiamo solo molto più tardi che Yvonne, la proprietaria del bar “Pile ou face”, aveva ricevuto in passato un cospicuo prestito da Bob per rimettere in sesto il suo locale. Bob ha un comportamento deciso e risoluto, guidato da una morale austera. Cerca di tener lontano Paulo da tipi poco raccomandabili, si prende cura di Anne. Ma quando si guarda nello specchio di una vetrina, ammette di avere una faccia da delinquente. Non c’è mai nessun compiacimento in lui. Per l’interpretazione di Bob, Melville scelse un malvivente vero, Roger Duchesne. Lo era diventato dopo essere stato attore. Anne finisce per trasferirsi a Pigalle lavorando nei locali. La ritroviamo in guepière mentre distribuisce ai tavoli rose e sensualità. Prosegue come entreneuse e poi come ballerina. È naturale accostare Anne a Bob, per il raccordo perfetto tra questi due personaggi. Anne può così naturalmente entrare nella sfera affettiva di Bob proprio perché sembra non volere nulla dalla vita. Non esiste mai una motivazioni utilitaristica che la spinga ad agire, e lo stesso vale per Bob.

La maniera di ritrarre i luoghi, in questo film in cui gli esterni sono protagonisti, rispecchia in tutto e per tutto i personaggi. L’universo del visibile melvilliano non è che una trasfigurazione dei luoghi per renderli coerenti ai suoi personaggi e piegarli alle sue tematiche predilette. La “magia” stilistica di Melville affonda sempre le sue radici nel sottobosco degenerato della società. Gli esterni sono ripresi prevalentemente di notte. Di giorno, Melville sceglie delle ambientazioni piuttosto desolate. Una spiaggia deserta alle porte di Deauville. La campagna aperta, attraversata in lontananza da alcuni cavalli in libertà, dall’impronta vagamente western (il genere americano preferito dal regista). L’unico posto affollato diurno, al di fuori dell’amato Montmartre, può solo essere l’ippodromo, dove Bob si gioca tutto quello che gli è rimasto scommettendo su un cavallo. La narrazione assume un ritmo più sostenuto quando Melville stringe i personaggi nelle maglie della fantasia di Bob. Ovviamente si tratta di un piano di immaginifica illegalità: svaligiare la cassaforte del casinò di Deauville. Melville voleva infatti concentrare la sua attenzione sul “prima” del colpo, ispirandosi a Giungla d’asfalto di J. Houston. Tradendo la promessa fatta al suo socio di non giocare il giorno della rapina, Bob, durante l’attesa all’interno del casinò, si avvicina alla roulette e punta. L’esito favorevole lo proietta gradualmente verso le sale in cui si gioca a baccarà. La messa in scena di Melville è perfetta. La gradualità con cui la fortuna irrompe è resa piazzando Bob, all’inizio delle puntate, negli angoli dell’inquadratura. A tratti, il regista lo nasconde parzialmente lasciandolo dietro alla lampada che illumina il tavolo da gioco, conferendo ai giocatori l’ambiguità della penombra. Quando inizia a vincere pesantemente, Bob è definitivamente al centro e dominano i primi piani, che si allargano solo per lasciare intravedere il pubblico dietro di lui, accorso per assistere ai prodigi della sua fortuna. Bob perde completamente di vista la rapina al casinò, pur avendola preparata con il rigore di un addestramento militare. Melville sembra suggerire che ogni intenzione, anche una rapina da favola, può sfumare nella vertigine del gioco, del caso, immersi in quei primissimi piani della roulette che gira, delle fiches che attraversano l’inquadratura per sfilare verso il vincitore, di numeri astratti eppure così concretamente incisi sui gettoni. Ovviamente, il denaro non compare mai.

Il gioco, posto così insistentemente in primo piano, restituisce per intero l’identità di Bob e contribuisce a creare la visione del mondo secondo Melville, indissolubilmente legata ad uno stile che ha segnato il cinema.

Note:
(1) Estratto dall’intervista di Claude Beylie e Bertrand Tavernier a Jean-Pierre Melville


TITOLO ORIGINALE: Bob le Flambeur; REGIA: Jean-Pierre Melville; SCENEGGIATURA: Jean-Pierre Melville; FOTOGRAFIA: Henri Decaë; MONTAGGIO: Monique Bonnot; MUSICA: Jean Boyer, Eddie Barclay; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 1955; DURATA: 100 min.

 


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