Philip Gröning
Il grande silenzio
di Claudio Cinus
Ci vuole pazienza per vivere in un monastero, per seguirne le regole, tutti i giorni fino alla propria morte. Ci vuole pazienza, seppur in misura molto inferiore, e solo per poco più di due ore e mezza, anche per guardare Il grande silenzio, che della vita di un monastero, quello certosino di Grenoble, non solo si fa carico di mostrare inediti squarci di ciò che dentro vi accade, ma, ambiziosa mente, cerca di comunicare l'essenza stessa di ciò che lo abita.
Il regista Philip Gröning si è immerso in una situazione insolita e difficile con umiltà, cogliendo i due aspetti che la caratterizzano: il tempo e il silenzio. Il tempo, perché non c'è nessuna fretta, nelle riprese calme di opere quotidiane distanti anni luce dai nostri ritmi concitati: la velocità e l'ansia restano fuori dalle mura, entro cui possiamo invece trovare preghiere, lunghe passeggiate, attività comuni e solitarie, ognuna delle quali necessita della propria intima durata, e di chi le sappia aspettare e riprendere, assecondandone i ritmi. Il silenzio, laddove la voce non serve se non per pregare, o per comunicare solo in precise circostanze, con la possibilità, quindi, di ascoltare il creato e di prestare attenzione a se stessi. Sensazione non comunicabile, se non salendo anche in questo caso al livello dei monaci, adagiandosi nella loro quiete, rinunciando ad ogni orpello musicale che avrebbe significato un tradimento ingiustificato nei confronti di chi ha deciso di donare parte di sé ad uno sguardo estraneo. Solo accettando questo accordo, la macchina da presa finisce per non disturbare la vita monastica, come un agente patogeno proveniente dal nostro mondo infetto, riuscendo anzi a sembrare quasi una presenza eterna, un occhio che c'è sempre stato e sempre ci sarà, che osserva quel microcosmo, e continuerà a riprendere con umiltà, anche quando noi spettatori saremo usciti dalla sala, lasciandoci alle spalle solo un ricordo.
Il film non è mai ripetitivo, perché dietro la disciplina comune ci sono volti differenti, che ci osservano con curiosità e forse con un po' di compassione. In ogni primo piano si può provare a cercare una storia diversa, in ogni occupazione e atteggiamento si nasconde una maniera personale di porsi di fronte alla propria scelta. La decisione di non utilizzare musiche di commento, ma di lasciare solo i rumori e le poche voci di sottofondo, accentua questo senso di scoperta, rendendo in qualche modo variegate anche le esperienze di ogni spettatore, e trasformando il film in un oggetto che non può mai essere due volte lo stesso. Il risultato ricorda quello di 4'33'', il lavoro di John Cage in cui un pianista si sedeva davanti ad un pianoforte senza fare nulla per i quattro minuti e mezzo del titolo, lasciando che fossero i rumori prodotti dall'uditorio a costituire il brano. Durante il film, mentre osserviamo i monaci che si attengono alla loro regola del silenzio, allo stesso tempo possiamo udire dentro al cinema un cellulare rimasto acceso, lo scricchiolio di una poltrona, le chiacchiere di qualcuno, un colpo di tosse. Ogni volta, una serie di percezioni nuove e diverse accompagna come colonna audio aggiuntiva le immagini che si ripetono, invece, sempre uguali. Tutti suoni estranei che servono a farci intuire quanta distanza ci sia tra noi che osserviamo, e coloro che stanno sullo schermo, la cui espressione, che pare di rimprovero, ci fa temere di aver mancato loro di rispetto.
Il nostro mondo forse non scavalcherà mai quelle mura, ma guardando il film in una sala, producendo i nostri rumori più o meno involontari, comprendiamo che neanche il loro mondo potrà mai attraversare lo schermo e giungere pienamente fino a noi.
IL GRANDE SILENZIO
(Germania, 2005)
Regia
Philip Gröning
Sceneggiatura
Philip Gröning
Montaggio
Philip Gröning
Fotografia
Philip Gröning
Durata
164 min