Marco Bellocchio
Il regista di matrimoni
di Marian Degasperi
"Gli artisti vedono quello che gli altri non vedono". E Bellocchio, in questa sua nuova esperienza artistica, sembra infatti vedere oltre i confini della realtà, pur rimanendo in un contesto paradossalmente verosimile. In una fusione di colori, suoni inconsueti e personalità dai caratteri forti e caricaturali, il regista guida il suo spettatore all'interno di un paesaggio realista, in un romanzo corale che ricorda un po' la Sicilia di Sciascia, quella delle storie che vivono di bocca in bocca, dei personaggi dai tratti vistosamente marcati, delle vicende nebbiose e folcloristiche. Un racconto d'insieme, in cui spicca, ma senza grandi pretese, il ritratto di Franco Elica, regista di matrimoni alla ricerca di nuove destinazioni e di un nuovo istinto creativo.
Elica, eroe non dichiarato dell'opera di Bellocchio - di cui ne è protagonista passivo -, diventa il nostro soggetto solo perché è la sua arte, il suo istinto visionario, a portarlo ai nostri occhi. Sì perché la vera protagonista de Il regista di matrimoni è l'Arte. Ma non quella che si studia sui libri, nelle aule di università, ma l'arte concepita come un dono, una predisposizione innata che può far fare cose che gli altri non riescono nemmeno ad immaginare, che spinge a indagare la propria confusione interiore, alimenta la capacità di sognare, l'attitudine a creare, il talento. Franco Elica lavora ad un rifacimento de I Promessi Sposi, si è arenato nella difficile ricerca di un'attrice che possa incarnare idealmente il personaggio di Lucia. Scappato al sud alla ricerca di nuovi spunti creativi, si imbatte in un regista dilettante, Enzo Baiocco, che lo prende come punto di riferimento e sommo maestro, e di un suo collega, Smamma, che si finge morto per riuscire a vincere il tanto agognato David di Michelangelo (meglio non scomodare quello di Donatello!). Si ritroverà nel bel mezzo di un torbido intrigo, con risvolti da romanzo giallo, quando il Principe di Gravina gli commissionerà un film sulle nozze della figlia, Bona, principessa triste e costretta a vivere rinchiusa nel castello, ma con le ambizioni e gli istinti della ragazza moderna.
Sergio Castellitto, sempre alla ricerca di una verità o di un'illusione, domina la scena con il suo sguardo profondo e smarrito, con il suo spirito spontaneamente libero e ribelle. Il suo connubio con Bellocchio non può non riportare alla mente il precedente L'ora di religione, che a questo film è in qualche modo legato. E non solo perché regista e protagonista celebrano qui, ancora una volta, la loro felice collaborazione, ma anche perché in Elica ritroviamo quello stesso istinto indagatore che guidava anche Ernesto, quella curiosità di inseguire una verità importante e allo stesso tempo sfuggente. Al di là di Castellitto, che ci regala una delle sue interpretazioni più "tipiche", tutti i personaggi de Il regista di matrimoni sembrano cuciti addosso ai loro interpreti, da Donatella Finocchiaro (la Principessa Bona), anima malinconica e timore negli occhi, a Sami Frey (il Principe di Gravina), sregolatezza geniale ed eccentrica, il cui ego fa risplendere di luce riflessa, valorizzandoli nell'insieme, tutti i personaggi del suo bizzarro seguito. Se Il regista di matrimoni è quindi un film che vive dei personaggi che lo interpretano, è anche vero che esso trova la sua forza propulsiva nelle scelte che ispirano la messa in scena. Non si contano gli spunti creativi che Bellocchio ci offre, e grazie ai quali il regista, con uno sguardo forse un po' compiacente e beffardo, riesce nell'intento di restituire un senso del mistero che va oltre l'ovvio e il banale, caricando l'immagine di un senso che, spesso, sembra squarciare il velo della sua superficie.

L'opera di Bellocchio è forse film politico? Un film con pretese ideologiche? Una commedia romantica? Un giallo? Probabilmente è un po' tutto questo. Eppure il vero protagonista è l'occhio visionario del regista, la sua mente che viaggia per dimensioni insieme oniriche e realistiche, che riesce solo raramente, per sua stessa natura, a percepire la vera essenza della realtà, proprio perché ne vede un'altra. La futura suocera della Principessa Bona ricorda a Elica: "Guardi che Lei può fare questo lavoro, solo perché ci sono persone, come noi, che ogni giorno vanno a lavorare e guadagnano uno stipendio". Nella battuta intelligente di una suocera fin troppo lucida ritroviamo quasi un universo concettuale che ricorda le antiche Signorie del Seicento, alla corte delle quali l'artista di turno componeva opere d'arte per l'allegria e il divertimento di potenti e dei loro illustri ospiti. Un "impiego" che, tuttavia, non umilia(va) la sua condizione, ma che anzi la valorizza(va), proprio perché tale affermazione si basa su un concetto che ben rappresenta il presupposto stesso per l'esistenza dell'arte: il riconoscimento della sua unicità. Il talento esiste solo in certe personalità, riconoscere che l'artista è in possesso di queste qualità ci rende liberi di sognare insieme a lui. Il folle Principe di Gravina non ne è forse consapevole?
È evidente, dunque, come ne Il regista di matrimoni, anche se con una punta di sarcasmo e una vena di sottile polemica, traspaia la volontà di indagare più a fondo il ruolo dell'artista nella società di oggi. La sua esistenza, ci dice Bellocchio, sembra comunque avere ancora un senso, nonostante la sua opera venga per lo più riconosciuta, con un atto di ipocrisia, solo quando muore ("In Italia comandano i morti", grida Smamma). E non perché con la sua arte possa in qualche modo influenzare o modificare la realtà, ma, più semplicemente, per il suo naturale senso visionario, che lo porta a vedere qualcosa di assolutamente diverso, qualcosa che gli altri non riescono a vedere, qualcosa che vede soltanto lui e che soltanto lui può comunicare. E così anche la morte dell'artista, dettata da un fallimento personale e professionale, come quella di Smamma, proprio quando il premio materiale è stato conquistato, si trasforma nella scena di una morte esemplare, quasi un trapasso mistico, un sacrificio alla dea Arte, alla luce di una croce infuocata che veleggia nella notte di una processione religiosa. La rivincita dell'artista sta nel poter scegliere come girare una scena. Anche quella, magari l'ultima, della sua vita.
IL REGISTA DI MATRIMONI
(Italia/Francia, 2006)
Regia
Marco Bellocchio
Sceneggiatura
Marco Bellocchio
Montaggio
Francesca Calvelli
Fotografia
Pasquale Mari
Musica
Riccardo Giagni
Durata
107 min