Paul Haggis
Crash - Contatto fisico
di Viviana Eramo
È sempre difficile giudicare a posteriori un'opera che ha vinto l'Oscar più importante, quello per il Miglior Film. Lo si guarda necessariamente con qualche pregiudizio, qualsiasi opinione si abbia dell'Academy e delle sue sfavillanti celebrazioni. Per quanto ci si sforzi, non si riesce ad essere pienamente "lucidi" nelle proprie valutazioni, sia se si ritiene che l'Oscar rappresenti comunque il premio più prestigioso in ambito cinematografico, sia se si pensa invece che, in fondo, si tratta pur sempre di un premio relativo, assegnato con parametri sconosciuti, da una giuria altrettanto misteriosa, che rappresenta sempre le posizioni di tendenza della macchina hollywoodiana, la quale in quest'evento, più che altrove, celebra il suo "essere industria". Nel primo caso si è gonfi di aspettative, nel secondo forse troppo disincantati. Eppure Crash - Contatto fisico, sembra riuscire a mettere d'accordo entrambe le posizioni, in quanto è sì il film che meglio esprime l'attuale tendenza hollywoodiana, figlia di un America che fa autocritica, che si interroga, che scava nel sociale, ma non solo.
Scritto e diretto da Paul Haggis, qui esordiente alla regia, ma navigato sceneggiatore (già noto per Million Dollar Baby), Crash - Contatto fisico è l'affresco di diversi abitanti di Los Angeles, che pur non conoscendosi, saranno costretti ad incontrarsi, o meglio, a scontrarsi. Nell'arco di 36 ore si succedono eventi capaci di sconvolgere le vite di chi li mette in moto e di chi li subisce. Personaggi profondamente diversi tra loro, dal punto di vista etnico, sociale ed economico. Una casalinga, moglie di un procuratore. Un detective nero della polizia. Un iraniano proprietario di un negozio. Un fabbro ispano-americano. Il regista nero di un canale televisivo e sua moglie. Un neo poliziotto accanto al suo collega di ventennale esperienza. Due delinquenti neri. Una coppia coreana.
Per caso o per destino, le loro vite entreranno in collisione, generando una miscela esplosiva di cause ed effetti. Perché quello che hanno in comune tutti questi personaggi apparentemente così diversi tra loro, è proprio il terrore di un contatto tra le differenze che essi rappresentano. A causa di vecchi pregiudizi o di passate brutte esperienze, tutti sono restii ad accettare la coesistenza accanto alla differenza. E la forza della sceneggiatura (scritta a quattro mani con Bobby Moresco e vincitrice di un'altra meritata statuetta) sta proprio nel tratteggiare personaggi inizialmente equilibrati, moralmente sani, con cui lo spettatore tende ad identificarsi, ma che nella battuta o inquadratura successiva, dimostreranno invece di essere terribilmente razzisti e ipocriti. Dal primo all'ultimo. Tutti vittime e carnefici di un sistema intollerante e cieco, che strangola le possibilità di un contatto autentico e genuino. Così - come dice il detective nel prologo - gli abitanti di Los Angeles sono costretti a scontrarsi con le loro auto in cerca di quel contatto fisico che non riescono ad avere. Chissà che Haggis non si sia ispirato proprio al Crash precedente, quello di Cronenberg, dove le auto e gli incidenti sono strumenti di piacere anche sessuale di uomini e donne che vedono i propri rapporti minacciati dalla tecnologia. Ma nel film di Haggis, tuttavia, si respira un'aria diversa. È un film corale, dove le vite si condizionano l'una con l'altra senza un contatto, come a dire che è inutile tenersi tanto a distanza, perché si vive tutti più o meno in prossimità. Sensazione, questa, restituita perfettamente dalla macchina da presa che spesso sale e ci offre una veduta d'insieme, un territorio comune, ma saturo di fratture interne, che il sapiente montaggio (premiato anch'esso con l'Oscar) evidenzia e insieme dissolve, legando a filo doppio le vite di questi sconosciuti: bianchi e neri. Colori/non colori con cui anche la fotografia, sempre nitida e corposa, gioca molto. La notte è scura più che mai, la luce del giorno quasi abbacinante. Ma la luce e il buio, il bianco e il nero, per quanto sembrino non appartenersi, spesso li ritroviamo insieme. Haggis insiste molto sui grandi fari squadrati delle auto, sulle luci della notte, sugli abbaglianti della polizia, che erroneamente "schiariscono" la pelle a Thandie Newton.
Nel film coesistono dramma, tensione, azione e persino ironia ed esagerazione. I dialoghi abbondano di parole come negro e razzismo, accanto a colorite espressioni ed epiteti. E lo spettatore ne è spiazzato, perché catapultato in un contesto in cui tutto sembra girare intorno al tema razziale, dove tutti non fanno altro che parlarne e agire di conseguenza. Forse manca il realismo, in senso stretto. Eppure sulla realtà si è costretti a riflettere. Il film punta proprio sul fatto che non si è abituati a sentir parlare direttamente della razza, dei suoi problemi, e delle conseguenze che il pregiudizio genera. E il senso di ansia e di claustrofobia che ne deriva dimostra senza dubbio come quella che qualcuno potrebbe definire una parodistica esagerazione sia, in realtà, fin troppo efficace. Crash - Contatto fisico è dunque un film dove i dialoghi sono fondamentali, ma dove anche il silenzio acquista importanza, laddove le parole a nulla servono. Come dimenticare l'indefinibile sguardo che si scambiano il poliziotto Matt Dillon e Thandie Newton, dopo che il primo ha rischiato la propria vita per salvare la donna da un incendio, nonostante poche ore prima l'avesse palpeggiata davanti al marito, abusando del proprio potere?
È proprio il poliziotto interpretato da Matt Dillon il personaggio più sfaccettato, in un film che non ha la pretesa di spiegare la vita e le ragioni di questi personaggi, in cui la mdp sembra irrompere piuttosto che affiancare. È fin troppo facile condannare i loro atteggiamenti e forse pure le loro giustificazioni, ma ci si ritrova, a tratti, a non biasimarli, poiché probabilmente quello di cui blaterano non è poi così lontano dalle nostre paure e dai nostri pensieri. Ci si ritrova così a fraternizzare con Matt Dillon, riprovevole poliziotto razzista che nelle proprie mura di casa combatte un dramma, quello del padre che ha perso il lavoro "a causa dei neri" e la dignità per una malattia che non gli permette nemmeno di riposare in pace. E magari ci si ritrova a provare compassione per la spocchiosa moglie bianca di un procuratore (un'insolita Sandra Bullock), che si rende conto di quanto sia importante la sua inserviente solo quando è l'unica ad accorrere in suo aiuto dopo una banale caduta dalle scale. E si è spinti persino a sorridere, di un sorriso amaro, quando si scorge una bandiera a stelle e strisce sventolare dietro la testa del proprietario iraniano di un negozio che ha appena attentato alla vita di un'innocente bambina. O quando ci si accorge che la città è costellata di abeti addobbati per un Natale che mai si nomina, né fa sentire la sua "benefica" influenza.
Il film è un cerchio che si chiude, poiché l'inizio corrisponde alla fine e nel mezzo c'è una lunga analessi. Tutti sembrano imparare qualcosa da ciò che gli accade, anche se non percepiscono di essere le tessere di un puzzle, o meglio, di un domino in precario equilibrio. Eppure non c'è lieto fine. "Questa è l'America, qui il tempo è denaro" urla uno dei due delinquenti neri liberando dei poveri thailandesi, merci di un traffico illegale. E questi si ritrovano a vagare per una città così lontana geograficamente e culturalmente dalle loro, e a guardare un po' spauriti e affascinati le vetrine di un negozio hi-tech, bianchissime nel loro splendore e nella loro incomprensibilità.
Come un cane che si morde la coda, l'America continuerà a sentire i crash degli scontri tra automobili, tra le diverse etnie e i loro pregiudizi. Nonostante la neve che improvvisamente fiocca, in una gelida notte buia, ricordi idealmente quanto naturale dovrebbe essere l'armonia tra bianco e nero.
CRASH - CONTATTO FISICO
(USA/Germania, 2004)
Regia
Paul Haggis
Sceneggiatura
Paul Haggis, Robert Moresco
Montaggio
Hughes Winborne
Fotografia
James Muro, Dana Gonzales
Musica
Michael Becker, Paul Haggis, Mark Isham, Oliver Nathan
Durata
113 min