|
A vent'anni di distanza da Ghostbusters, un altro personaggio interpretato da Bill Murray si trova a fare i conti con i fantasmi. Ma questa volta si tratta dei fantasmi del passato: scoperchiati grazie a una misteriosa lettera anonima scritta su carta rosa, riemergono inesorabilmente e scuotono la vita di Don Johnston, attempato dongiovanni in tuta, apatico e indolente. Broken Flowers è un film solo apparentemente semplice, è minimalista nel senso più positivo e puro del termine, quello stesso senso che lo accosta all'indimenticabile opera di Jean Eustache, al quale il film è dedicato (La maman et la putain). Parla del rimpianto, dell'incomunicabilità, degli amori spezzati. In modo elegante, sincero, comico e struggente.
Don, aiutato e "manovrato" dall'amico Winston, il suo esatto opposto (sposato, iperattivo, chiacchierone, padre di cinque figli), intraprende un viaggio alla scoperta di un mistero. E per svelarlo utilizza armi totalmente inadeguate (suggerite da Winston, irresistibile Sherlock Holmes dilettante dell'era telematica), che infatti si rivelano inefficaci. Ma nel frattempo Don viene riportato alla vita. E la soluzione del mistero è chiaramente un pretesto. Il viaggio "in automatico", deciso e organizzato da Winston fin nei minimi dettagli (dalla prenotazione degli alberghi alla colonna sonora etiope di Mulatu Astatké da ascoltare durante i tragitti nelle auto noleggiate) avvicina Don, almeno per un attimo, al suo passato. Il protagonista si trova faccia a faccia con le sue ex, un campionario di meravigliosi "broken flowers": Laura (interpretata da una splendida Sharon Stone), organizzatrice di armadi e madre senza ironia di una lolita inconsapevole; Dora (Frances Conroy), spenta e malinconica agente immobiliare; Carmen (Jessica Lange), animal communicator ambigua e scostante; Penny (Tilda Swinton), bellezza selvatica, spettinata e arrabbiata. La speranza che si affaccia dietro a ogni incontro è tenue come il colore delle rose che appassiscono nel salone di Don durante la sua assenza e rimane irrimediabilmente delusa.
Broken Flowers è un film di falsi indizi: i falsi indizi della vita e i falsi indizi del cinema. Insieme a Winston lo spettatore indaga, almeno finché non si rende conto che l'indagine non conta. Allora smette di indagare e osserva i tentativi andati a vuoto di Don, che si susseguono senza sosta - con effetti comici e amari - fino a quando Don, ormai risvegliato dal suo stato di abulia, vuole riconoscere a tutti i costi in un semplice ragazzo in viaggio il figlio mai conosciuto, forse mai avuto. È come se Winston fosse lo spettatore (o forse il regista?) del film che Don sta vivendo: lo aiuta, empatizza, cerca indizi insieme a lui. Se ci si trovasse di fronte a un film giallo in cui, alla fine, il mistero si risolve, una lettera anonima rosa, una macchina da scrivere rosa buttata su un prato, un ragazzo in viaggio alla ricerca di risposte con un fiocco rosa sullo zaino, potrebbero essere considerati indizi, pezzi di un puzzle. Ma in un film che parla della vita essi diventano - dolorosamente - false tracce, inspiegabili casualità, un semplice filo (ovviamente rosa) che conduce il protagonista alla scoperta di se stesso. Don cerca di districarsi tra la sovrabbondanza di indizi in cui si imbatte. Inizia il suo viaggio con distacco e scetticismo, ma finisce per rimanere impigliato in un groviglio di segni ai quali si aggrappa, caricandoli di un significato che in realtà non hanno. Attraverso le bellissime e efficaci soggettive dei deliri onirici del protagonista durante i viaggi in aereo, lo spettatore osserva quello che Don ha osservato, posa insieme a lui lo sguardo su nuovi particolari, partecipa alla sua buffa e disperata confusione.
Broken Flowers presenta molte analogie con l'ultimo film di Wim Wenders, Non bussare alla mia porta. Due viaggi alla ricerca del figlio perduto, paralleli ma con esiti opposti, accomunati peraltro dalla presenza di Jessica Lange. Nel film di Wenders il protagonista sembra trovare delle risposte e approdare faticosamente a una speranza. Il viaggio di Don è invece inconcludente. La ricerca di un nuovo inizio si rivela una delusione che porta il protagonista a riaffermare la sua esile filosofia - "il passato è passato e il futuro non è ancora arrivato, l'unica cosa che esiste è questo, il presente" – in un malinconico, quanto amaro, finale.
|